Guardò i campi, le cupole e le vie di comunicazione sottostanti. Il Rifugio era bellissimo nella dolce luce solare dagli UV filtrati. Le nuvole andavano alla deriva all’altra estremità; la squadra di manutenzione aveva programmato pioggia. Avrebbe dovuto controllare il calendario meteorologico.
Rifugio. (Santuario chiese› legge› la protezione di persona e proprietà› l’equilibrio dei diritti dell’individuo con quelli della società› Locke› Paine› ribellione› Gandhi› il crociato solitario su un livello morale più elevato…). Il Rifugio rappresentava tutto ciò, per gli Insonni. La sua comunità. Perché, allora, aveva la sensazione che la morte di Tabitha l’avesse spinta in un luogo (Beckett nella cattedrale, sangue sul pavimento in pietra) in cui l’asilo era violato? In un luogo in cui, dopo tutto, nulla era al sicuro?
Miri scese lentamente dalla bolla del campo giochi per andare a cercare Tony, che non avrebbe avuto le risposte ma che avrebbe capito almeno le domande. Avrebbe capito fino al punto in cui capiva lei il che, improvvisamente, non le sembrò molto lontano. Mancava qualcosa di vitale.
Cosa?
Nel tardo ottobre Alice ebbe un attacco di cuore. Aveva ottantatré anni. In seguito, giacque a letto silenziosamente, con il dolore lenito dalle medicine. Leisha rimase seduta accanto al suo letto notte e giorno, sapendo che non sarebbe durata a lungo. Alice dormiva per gran parte del tempo. Quando si svegliava, vagava in sogni drogati e mostrava spesso un breve sorriso sul volto avvizzito, Leisha, tenendole la mano, non aveva idea di dove stesse vagando la niente di sua sorella fino alla notte in cui gli occhi di Alice si schiarirono e si focalizzarono e lei rivolse a Leisha un sorriso di tale calda dolcezza da farle trattenere il respiro e da spingerla a chinarsi in avanti. — Sì, Alice. Sì?
Alice sussurrò. — Papà sta a-annaffiando le piante!
Gli occhi di Leisha bruciarono. — Sì, Alice. Sì.
— Me ne ha data una.
Leisha annuì. Alice ripiombò nel sonno, sorridendo, in quel luogo in cui una bambinetta aveva l’amore di suo padre.
Si svegliò una seconda volta, qualche ora più tardi, per stringere la mano di Leisha con forza inaspettata. Aveva gli occhi sconvolti. Cercò di alzarsi a sedere, ansimando. — Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta, sono ancora qui, non sono morta! — Ricadde sui guanciali.
Jordan, in piedi accanto a Leisha presso il letto della madre, voltò la faccia.
L’ultima volta che Alice si svegliò era lucida. Guardò Jordan con amore, e Leisha seppe che non gli avrebbe detto nulla perché non era necessario. Alice aveva dato al figlio tutto quello che aveva, tutto quello di cui aveva avuto bisogno e lui era al sicuro. Sussurrò a Leisha: — Prenditi… cura di Drew.
Di Drew, non di Jordan o di Eric o degli altri nipoti. Alice sapeva, non si sa come, dove il bisogno era più grande. Non lo aveva sempre saputo?
— Sì, lo farò. Alice…
Alice però aveva già chiuso gli occhi e il sorriso le era tornato sulle labbra che tremavano per i suoi sogni privati.
Successivamente, mentre Stella e sua figlia raccoglievano i radi capelli grigi e chiamavano il governo di stato per ottenere il permesso speciale di una sepoltura privata, Leisha si recò nella propria stanza. Si tolse tutti i vestiti e si mise in piedi davanti allo specchio. Aveva la pelle chiara e rosata, i seni le cadevano leggermente per i decenni in cui erano stati sottoposti alla forza di gravità ma erano ancora pieni e lisci, i muscoli delle gambe lunghe si indurirono quando puntò le dita dei piedi. I capelli, ancora biondo chiaro come li aveva ordinati Roger Camden, le ricadevano attorno al volto in onde morbide. Pensò di afferrare un paio di forbici e di tagliarli in ciuffi informi ma si sentì troppo vecchia, troppo stanca per un gesto teatrale. La sorella gemella era morta di vecchiaia. Addormentata per sempre.
Leisha indossò i vestiti, senza guardare un’altra volta lo specchio, e andò ad aiutare Stella e Alicia con il corpo di Alice.
Richard, Ada e loro figlio arrivarono in Nuovo Messico per il funerale. Sean ormai aveva nove anni, figlio unico. Richard aveva paura che un secondo bambino sarebbe nato Insonne? Richard appariva contento, sistemato per quanto potesse esserlo nella sua vita di perenne migrazione con Ada, non sembrava invecchiato. Stava tracciando una mappa delle CQrrenti oceaniche in una sezione dell’Oceano Indiano dove l’itticoltura era altamente fiorente, appena oltre la zolla continentale. Il lavoro andava bene. Abbracciò Leisha e le disse quanto gli dispiacesse per Alice. Leisha sapeva che Richard diceva sul serio e, attraverso il lutto che provava, una parte della sua mente rifletté sul fatto che quello era stato l’uomo più importante della sua vita da adulta e che, mentre la abbracciava, lei non provava nulla. Era un estraneo, collegato con lei soltanto dalla scelta biologica dei genitori e dal passato dei sogni finiti.
Anche Drew tornò a casa per il funerale.
Leisha non lo aveva più visto da quattro anni, anche se ne aveva seguito la sfolgorante carriera sugli olocanali. Lo incontrò nel giardino a beole, reso vivace dai cactus mantenuti in fioritura forzata e dalle piante esotiche coltivate in bolle trasparenti a energia-Y dotate di un campo umidificato. Indirizzò la carrozzella verso di lei senza esitazione. — Salve, Leisha.
— Salve, Drew. — Lui aveva ancora l’intenso sguardo verde, anche se, sotto ogni altro punto di vista, era cambiato nuovamente. Leisha pensò al bambino di dieci anni ossuto e sudicio, al goffo ragazzetto che si sforzava di essere un Mulo in giacca e cravatta e buone maniere prese in prestito, al drammatico maggiorenne con i capelli tagliati corti e l’abbigliamento rétro con i polsini di pizzo, al vagabondo barbuto con occhi incavati e risentimenti deboli e pericolosi. Quel giorno Drew indossava abiti costosi ma semplici, se si eccettuava un singolo sgargiante e dozzinale diamante come gemello da polsino. Il suo corpo si era riempito, il suo volto era maturato. Leisha si accorse senza provare desiderio che era un bell’uomo. Tutto ciò che era oltre a quello aveva imparato a nasconderlo.
— Mi dispiace per Alice. Aveva l’animo più generoso che io abbia mai conosciuto.
— Sapevi questo di lei? Sì, lo aveva. E se lo è creato da sola, con pochissimo aiuto da parte di quelli che avrebbero dovuto aiutarla.
Lui non le chiese che cosa intendesse dire: le parole non erano mai state il mezzo preferito di Drew.
Le disse: — Mi mancherà tremendamente. So che non sono più venuto qui da anni. — Parlava senza il minimo tremito o imbarazzo. Apparentemente, Drew aveva fatto pace con l’ultimo e imbarazzante incontro con Leisha. Se così era, però, perché rimanere lontano per quattro anni? Leisha gli aveva inviato moltissimi messaggi per invitarlo a casa. — Ma anche se non ero qui, io e Alice parlavamo telefonicamente ogni domenica. A volte per ore.
Leisha non lo aveva saputo. Provò un guizzo di gelosia. Ma era gelosa di Drew o di Alice?
Gli disse: — Lei ti amava, Drew. Eri importante per lei. E sei menzionato nel suo testamento, ma tutto ciò potrà aspettare dopo il funerale.
— Sì — rispose Drew, senza mostrare apparente interesse all’eredità. Leisha si sentì felice per quello. Il bambino Drew era ancora lì, sotto lo sgargiante gemello e la bizzarra carriera che nessuno dei due menzionò. Eppure lei avrebbe dovuto parlarne, no? Era il lavoro di Drew, la sua realizzazione, il suo pregio individuale.
— Ho seguito la tua carriera sulle olotrasmissioni. Hai avuto un grande successo e siamo orgogliosi di te.
Una luce si accese nello sguardo di lui. — Hai guardato una rappresentazione olovisiva?
— No, non una rappresentazione. Solo le critiche, le lodi…
La luce si spense, ma il sorriso di Drew era ancora caldo. — Non importa, Leisha. Sapevo che non avresti potuto guardarla.