Cominciarono a discendere la lunga, lunghissima gradinata che portava al porto, e lungo quella discesa vertiginosa incontrarono un numero sempre maggiore di persone, ma nessuno prestò loro un’attenzione particolare, neppure in questa circostanza. Ogni abitante di Khondor era troppo immerso nella propria angoscia, troppo occupato nei preparativi dell’ultimo atto, in quella notte fatale, per prestare attenzione ai suoi vicini.
Malgrado ciò, il cuore di Carse batteva forte, e le sue orecchie erano tese per afferrare il primo segno d’allarme che sarebbe stato sicuramente lanciato, non appena fosse terminato il concilio di guerra dei Re del Mare, e Barbadiferro fosse andato a uccidere il suo prigioniero.
Finalmente, essi raggiunsero i moli. Carse vide apparire l’alto albero maestro della galera, che pareva torreggiare sopra le lunghe navi di Khondor, e rapidamente si avviò da quella parte, seguito da Boghaz, che ansimava alle sue calcagna, sotto il pesante fardello che portava in spalla.
Nel porto le torce ardevano a centinaia, rischiarando la notte di corruschi bagliori sanguigni. In quella luce, guerrieri e rifornimenti salivano a bordo delle navi, come una fiammata inarrestabile. Le pareti rocciose echeggiavano del frastuono e dell’animazione che regnavano intorno. Delle piccole imbarcazioni si muovevano tra le grandi navi, per raggiungere quelle che erano ormeggiate più al largo.
Carse, avvolto nel mantello e con la testa bassa, si aprì un varco tra la folla. L’acqua luminescente della rada era tutto un guizzare e un brulicare di Nuotatori, e sulle banchine c’erano molte donne, dai volti pallidi e tesi, che erano venute là per dire addio ai loro uomini che partivano per quella disperata impresa.
Quando infine si avvicinarono alla galera, Carse lasciò andare avanti Boghaz. Si fermò, celandosi al riparo di un mucchio di barili, fingendo di allacciarsi i sandali, mentre il grasso Valkisiano saliva a bordo, reggendo il suo fardello. Udì la ciurma, una torma di uomini dai visi cupi e nervosi, salutare a gran voce Boghaz, e domandargli notizie.
Rapidamente, Boghaz si liberò di Ywain, lasciando cadere nella cabina il suo fardello, con aria casuale; poi chiamò tutta la ciurma a prua, per tenere una specie di consiglio di guerra privato. Il Valkisiano era sempre stato pronto di spirito e di parola, e in questo caso aveva già imparato a memoria il discorso che avrebbe dovuto rivolgere alla ciurma.
«Chiedete notizie?» lo sentì dire Carse. «Ve le darò io, le notizie! Da quando Rold è stato preso prigioniero, c’è un’atmosfera orribile, in questa città. Ieri ci consideravano fratelli. Oggi siamo di nuovo dei fuorilegge e dei nemici. Li ho uditi parlare nelle tenebre, e vi dico che la nostra vita, qui, vale meno di un soldo bucato!»
Mentre la ciurma commentava, con un mormorio preoccupato, queste parole, Carse scivolò silenziosamente a bordo, da poppa, senza che nessuno lo vedesse. Prima di raggiungere la cabina, sentì la fine del discorso di Boghaz:
«Quando sono venuto qui, si stava già formando una folla decisa a venire a ucciderci! Se vogliamo salvare la pelle, sarà meglio fuggire ora, subito, finché ne abbiamo la possibilità!»
Carse era stato sicuro di conoscere in anticipo la reazione della ciurma alle prove di Boghaz, quando aveva fatto i suoi piani; ed era convinto che, in fondo, il racconto che egli aveva messo sulle labbra del grasso Valkisiano non doveva essere troppo lontano dalla verità. Già troppe volte era stato testimone di mutamenti anche improvvisi nell’umore della folla, e l’equipaggio della galera era formato da ex-prigionieri Sark, Jekkariani, e di altri regni… una ciurma eterogenea, che presto avrebbe potuto trovarsi in una brutta situazione, soprattutto perché in un certo senso l’arrivo della galera era stato causa di sventura, per Khondor; e nella tensione che regnava nella città, qualsiasi cosa avrebbe potuto accadere.
Ora, dopo avere chiuso e sbarrato la porta jdella cabina, egli appoggiò l’orecchio al battente, ascoltando ciò che accadeva fuori. Udì lo scalpiccio di piedi nudi che correvano sul ponte, udì gridare degli ordini aspri, in una rapida successione, e udì il cigolio del sartiame, mentre le vele venivano calate dai loro alberi. Le cime vennero ritirate a bordo. Le ancore uscirono dall’acqua, con un gorgoglio sordo. Libera dagli ormeggi, la galera galleggiava sulle acque della rada.
«Ordini di Barbadiferro!» gridò Boghaz a qualcuno che si trovava a riva. «Una missione, per Khondor.»
La galera parve sussultare, poi si mosse, mentre il ritmico rullare del tamburo echeggiava, acquistando rapidità e vigore. E poi, al di sopra della confusione e dei rumori del porto, al di sopra dei rumori e dei movimenti a bordo della galera, l’orecchio di Carse riuscì a captare il suono che aveva aspettato di udire… il lontano tumulto che veniva dalla sommità della rocca, l’allarme che scendeva con la violenza di un uragano per tutta la città, che scendeva verso il porto, portato di bocca in bocca, da coloro che si trovavano sulla lunghissima scalinata.
Rimase paralizzato, sconvolto dalla paura che tutti gli altri udissero quei suoni, e interpretassero il senso dell’allarme, anche senza essere informati… ma il fragore delle attività del porto coprì quel suono più lontano, e nessuno poteva comprendere il motivo. Così la galera ebbe il tempo di acquistare velocità, e di allontanarsi nell’imboccatura del fiordo, prima che l’allarme scendesse lungo la scalinata, e coloro che si trovavano nel porto fossero avvertiti di ciò che era accaduto.
Nell’oscurità della cabina, Ywain fece udire, sommessamente, la sua voce, che giungeva soffocata attraverso la stoffa che le copriva il volto:
«Signore Rhiannon… mi è concesso di respirare?»
Carse s’inginocchiò, e la liberò delle coperte con cui era stata avvolta; subito Ywain si mise a sedere, ansando.
«Grazie, mio signore. Ebbene, ora siamo usciti dal palazzo e dal porto, ma per conquistare la libertà rimane ancora il fiordo. Ho udito il tumulto che giungeva dall’alto.»
«Sì,» disse Carse. «E i Celesti porteranno l’allarme all’imboccatura del fiordo.» Rise, una risata aspra e sicura. «Vediamo se essi saranno capaci di fermare Rhiannon, lanciando delle pietre dall’alto degli scogli!»
Poi le ordinò di rimanere dov’era, e la lasciò, uscendo rapidamente dalla cabina, per ritrovarsi sul ponte.
Erano già a buon punto, lungo il canale, sospinti da una vogata rapida scandita dal veloce rullare del tamburo. Le vele già cominciavano a gonfiarsi, nel vento che soffiava tra le alte scogliere. Cercò di ricordare dove fossero sistemate le baliste che difendevano il fiordo, contando in cuor suo, sul fatto che esse erano state predisposte per proteggere l’accesso alla rada, non per impedire l’uscita di qualche nave da essa.
La loro arma migliore sarebbe stata la rapidità di movimento. Se fossero riusciti a spingere la galera a una velocità sufficiente, avrebbero avuto la possibilità di fuggire.
Nel debole chiarore di Deimos, nessuno lo vide. Nessuno lo vide, fino a quando Fobos non spuntò dagli aspri contorni rocciosi degli scogli, inondando il paesaggio di luce verdastra. E allora gli uomini lo videro lassù, con il mantello che si gonfiava, svolazzando dietro di lui nel vento, e la lunga spada tra le mani.
Uno strano grido si sollevò dalla ciurma… un grido che per metà era di benvenuto per il Carse che essi ricordavano, colui che li aveva salvati dalla schiavitù, il loro capo, e per metà era di paura, per quello che avevano udito narrare sul suo conto a Khondor.
Carse non diede loro il tempo di pensare, di superare quel primo momento di stupore. Levando alta la spada, gridò, con voce tonante:
«Remate, stupidi, remate con tutte le vostre forze! Altrimenti ci faranno colare a picco!»
Avevano udito molte cose sul conto di Carse, a Kliondor. Ancora non sapevano s’egli fosse un uomo o un demonio. Ma, uomo oppure demonio, sapevano che egli diceva la verità. Così remarono con vigore rinnovato.