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Dolcemente, Emer posò la mano su quella di Carse, e disse:

«C’è sempre tempo per morire.»

Quando lei se ne andava, Carse cominciava a percorrere a grandi passi il piccolo appartamento, camminando su e giù per le stanze, inquieto, per ore e ore. Avrebbe voluto cercare l’oblio nel vino, ma era un rischio che non osava correre, per paura di addormentarsi. E quando infine la stanchezza aveva il sopravvento su di lui, le guardie lo legavano al letto, e un guerriero vegliava su di lui, con la spada sguainata, pronto a svegliarlo se egli avesse dato segno di sognare.

E infatti, Carse sognava. A volte non erano niente più che incubi, nati dalla sua disperazione, e a volte l’oscuro, profondo bisbiglio di una voce aliena pareva giungere quieto, insinuante, da qualche oscuro recesso del suo spirito, dicendo:

«Non aver paura. Lasciami parlare, perché io devo dirtelo.»

E molte volte Carse si svegliò, con l’eco delle sue grida di orrore ancora risonante nelle sue orecchie, e con la sfavillante punta della spada diretta minacciosamente contro la sua gola.

«Non ho alcuna intenzione malvagia. Potrei dissipare le tue paure, se soltanto volessi ascoltarmi!»

Carse si domandò più volte che cosa gli sarebbe accaduto prima: sarebbe impazzito, oppure si sarebbe gettato dal balcone per precipitare nel mare impetuoso che spumeggiava laggiù, lontanissimo, tra gli scogli?

Boghaz gli era sempre vicino, ora più che mai. Pareva affascinato dalla cosa che s’annidava in Carse. E pareva anche intimorito, ma quel timore non era sufficiente a impedirgli di rimproverare in ogni occasione, e spesso in tono furibondo, Carse, per avere rivelato il segreto della Tomba senza chiedere nulla in cambio.

«Ti avevo detto di lasciare a me tutte le trattative!» esclamava. «Hai tra le mani la più grande fonte di potere di Marte, e le regali ai primi che incontri! La regali, senza neppure ottenere in cambio la promessa che, una volta messe le mani su quelle armi, essi ti risparmieranno la vita!»

A questo punto, invariabilmente, levava al cielo le mani grassocce, e roteava gli occhi, sconvolto.

«Te lo ripeto, tu mi hai derubato, Carse. Mi hai derubato del mio regno.»

E in queste circostanze, per la prima volta da quando si erano conosciuti, Carse gradiva la presenza di Boghaz, assisteva di buon grado alla sua sfrontatezza, perche in questo modo non correva il rischio di rimanere solo. Boghaz sedeva in un angolo, bevendo incredibili quantità di vino, e di quando in quando si voltava a guardare Carse, e ridacchiava.

«Ah, quanta gente mi ha sempre ripetuto che io dovevo avere un diavolo in corpo! Ma tu, Carse… tu hai davvero il diavolo in corpo!»

«Lasciami parlare, Carse, e capirai! Ascoltami, Carse, e ti farò comprendere!»

Carse dimagriva, e i suoi occhi si facevano sempre più scavati, e in essi brillava una luce bizzarra, assai simile a quella della follia. Le mani gli tremavano, e il suo volto si contraeva nervosamente, come quello di un uomo sotto l’effetto di una droga.

E poi giunse la notizia, portata da un uomo alato che arrivò a Khondor in volo, stremato.

Fu Emer che venne a riferire a Carse ciò che era accaduto. Ma non ebbe bisogno di parlare. Nel momento stesso in cui Carse vide il suo volto, pallido come la morte, egli capì.

«Rold non è riuscito neppure a raggiungere la Tomba,» disse Emer. «Durante il viaggio di andata, la loro nave è stata catturata da una pattuglia costiera dei Sark. Dicono che Rold abbia tentato di uccidersi, per non svelare il segreto, ma non ci è riuscito. L’hanno condotto a Sark.»

«Ma i Sark non sanno che egli nasconde un segreto!» protestò Carse, aggrappandosi a quel fuscello.

Emer scosse il capo.

«I Sark non sono stupidi. Certo vorranno conoscere i piani di Khondor, e vorranno sapere per quale motivo Rold, il Re di Khondor, si dirigeva verso Jekkara, con una sola nave. Così, lo faranno interrogare dai Dhuviani.»

Con un senso di orrore, Carse capì il significato di quelle parole. La scienza ipnotica dei Dhuviani era quasi riuscita a vincere la resistenza del suo cervello ostinato, alieno. Senza l’aiuto di Rhiannon, perfino la mente di un terrestre avrebbe potuto soccombere a quell’antica scienza. E quella stessa arma avrebbe impiegato ben poco tempo a strappare ogni segreto alla mente di Rold.

«Allora non c’è speranza?»

«Non c’è speranza,» disse Emer. «Né ora, né mai più.»

Rimasero in silenzio, per qualche tempo. Il vento gemeva e singhiozzava, e le onde si frangevano, con un rombo maestoso ed eterno, contro gli scogli, in basso.

«E ora, che si farà?» domandò Carse.

«I Re del Mare hanno avvisato dell’accaduto tutte le coste e le isole libere. In questo momento, tutte le navi e tutti gli uomini si stanno radunando qui, e partiranno alla volta di Sark, al comando di Barbadiferro.

«Il tempo a nostra disposizione è esiguo. Anche quando i Dhuviani si saranno impadroniti del segreto, impiegheranno del tempo per raggiungere la Tomba, e per trasportare le armi, e, infine, per scoprirne il segreto. Se riusciremo a sconfiggere Sark, prima che venga quel momento…»

«Ma è possibile che Sark sia sconfitto?» domandò Carse.

Lei rispose, sinceramente;

«No. I Dhuviani interverranno, in soccorso dei loro alleati, e anche con le sole armi che possiedono ora riusciranno a spostare la bilancia in loro favore.

«Ma noi dobbiamo tentare, e morire combattendo, perché sarà sempre una morte migliore di quella che ci toccherà poi, quando Sark e il Serpente verranno a distruggere Khondor, e ogni forma di vita che essa contiene.»

Carse rimase immobile, fissando la fanciulla, e gli sembrò che mai, in tutta la sua vita, ci fosse stato un momento più disperato e più amaro di quello che ora stava vivendo.

«I Re del Mare mi porteranno con loro?»

Era una domanda stupida. Poté capire la risposta, prima ancora che le labbra di Emer la pronunciassero.

«In questo momento, stanno dicendo che è stato un inganno di Rhiannon, un suo trucco per fare sì che fosse lo stesso Rold a portare il segreto a Caer Dhu. Ho detto loro che non è vero, ma…»

Fece un gesto, stanco, disperato, e volse il capo da un’altra parte.

«Credo però che Barbadiferro sia della mia stessa idea. Così, farà in modo che la tua morte sia rapida, e pulita.»

Dopo un lungo silenzio, Carse domandò:

«E Ywain?»

«È stato Thorn di Tarai: a occuparsi di questo. La porteranno con loro a Sark, incatenata alla prua della nave ammiraglia.»

Ci fu un altro lungo silenzio. A Carse parve che l’aria stessa fosse pesante, un peso immenso che gravava sul suo cuore.

Si accorse che Emer se ne era andata, in silenzio. Allora si voltò, e uscì, sull’angusto balcone, e rimase immobile, a lungo, guardando il lontano spumeggiare inquieto del mare.

«Rhiannon,» mormorò. «Ti maledico. Maledico la notte nella quale ho visto la tua spada, e maledico il giorno in cui sono giunto a Khondor, con la promessa della tua tomba.»

La luce stava svanendo. Il mare pareva un bagno di sangue, nel tramonto. Il vento portava a Carse l’eco di parole spezzate e grida che venivano dalla città, e lontano, in basso, le lunghe navi entravano veloci nel fiordo.

Carse rise, una risata senza allegria.

«Hai ottenuto quel che volevi,» disse alla Presenza che era dentro di lui. «Ma non potrai godere a lungo di questa vittoria!»

Era una soddisfazione ben misera, saperlo.

La tensione degli ultimi giorni, e quell’ultima, drammatica scossa, erano state troppo forti… più di quanto qualsiasi uomo avesse potuto sopportare. Carse sedette in un angolo, su una panca intarsiata di legno, si prese il capo tra le mani, e rimase così, un’immàgine di sconfitta, troppo stanco perfino per provare delle emozioni.

La voce del tenebroso invasore mormorava nel suo cervello, e per la prima volta Carse scoprì di essere troppo stanco per resistere, per contrastarla.

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