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Allora, in un impeto furibondo, il terrestre corse verso la cabina. Certamente i Sark dovevano avere trovato strano il fatto che la loro principessa e il loro capitano non fossero apparsi sul ponte, a guidarli, ma l’attacco era stato troppo improvviso, e la mischia troppo furibonda, perché i soldati avessero potuto riflettere su altri problemi, all’infuori di quello di sopravvivere e vincere il nemico. Carse cominciò a picchiare furiosamente sulla porta della cabina, gridando il nome di Boghaz.

Il Valkisiano sollevò la sbarra, e Carse entrò nella cabina.

«Porta quella sgualdrina sulla piattaforma del timoniere,» ansimò. «Ti aprirò io la strada.»

Prese dal tavolino la spada di Rhiannon, la impugnò, e uscì di nuovo dalla cabina, seguito da Boghaz, che portava tra le braccia Ywain prigioniera.

La scaletta era a meno di due passi dalla porta. Gli arcieri erano discesi, per unirsi ai loro compagni impegnati in una furibonda serie di corpo a corpo, e sulla piattaforma non c’era nessuno, all’infuori del terrorizzato marinaio Sark che si aggrappava alla ruota del timone come se fosse stata un’ancora di salvezza. Carse, mulinando la grande spada, si aprì un varco, e presidiò la scaletta, mentre Boghaz saliva, con un’agilità insospettabile in un uomo così grasso, e, una volta giunto sulla piattaforma, metteva diritta Ywain, in modo che fosse visibile da tutti coloro che si trovavano in basso.

«Guardate!» gridò allora Carse, ai piedi della scaletta. «Ywain è in nostra mano!»

Ma in realtà, non c’era bisogno che egli lo dicesse. La vista della principessa, legata e imbavagliata, nelle mani di uno schiavo, fu come un terribile colpo inferto ai soldati, e come una pozione magica per i ribelli. Un gemito di disperazione e un urlo possente di esultanza si mescolarono, dai ponti insanguinati, e salirono al cielo.

Qualcuno trovò il cadavere di Scyld, e lo trascinò sul ponte. Vedendo che il loro capitano era morto, ed era tenuto alto dai ribelli, in modo che tutti potessero vedere, i soldati e i marinai di Sark, privi dei loro capi, persero ogni coraggio. Le sorti della battaglia si capovolsero repentinamente, allora, e gli schiavi non esitarono ad approfittare del loro vantaggio.

Era la spada di Rhiannon a guidarli, fendendo gli stendardi che portavano il drago di Sari:, e facendoli cadere come stracci dall’albero maestro. E sotto la scintillante lama caddero molti nemici, e infine cadde anche l’ultimo soldato di Sari:.

D’un tratto, ogni movimento cessò, e ci fu una pausa di silenzio, uno strano, profondo silenzio che incombeva solenne sulla nave conquistata. La nera galera galleggiava, sospinta dalla brezza, rollando e beccheggiando dolcemente sul bianco mare increspato. Il sole era già basso sull’orizzonte. Esausto, Carse salì fino alla piattaforma del timoniere.

Ywain, sempre stretta tra le braccia di Boghaz, seguiva ogni suo movimento, con occhi fiammeggianti di collera infernale.

Carse raggiunse l’estremità della piattaforma, e si fermò, appoggiandosi alla spada. Gli schiavi, esausti per la violenza della battaglia, e inebriati dai fumi deliziosi della vittoria, si erano radunati sul ponte inferiore, come un anello di lupi ansanti dopo una caccia felice.

Jaxart, che era andato a ispezionare le cabine, uscì dall’ultima di esse. Avanzò sul ponte, agitando la spada rossa di sangue verso Ywain, e gridando:

«Un degno amante teneva nascosto nella sua cabina! Il figlio di Caer Dhu, il fetido Serpente!»

La reazione degli schiavi a quelle parole fu immediata. D’un tratto essi parvero dimenticare la gioia della vittoria, la stanchezza della battaglia. D’un tratto essi parvero pervasi da un nuovo terrore, da un’angoscia tremenda, e si fecero più vicini gli uni agli altri, spauriti, malgrado il loro grande numero, anche solo nell’udire quel nome terribile e odiato. Carse riuscì a fatica a farsi udire.

«Non abbiate paura. Il Serpente è morto! Jaxart… vuoi ripulire la nave?»

Prima di obbedire, Jaxart si fermò, e lanciò uno sguardo bizzarro a Carse.

«Come hai fatto a sapere che è morto?» domandò.

«Sono stato io a ucciderlo,» rispose Carse.

Tutti gli uomini lo guardarono, allora, con espressioni nuove e attonite, e nei loro occhi c’era un grande timore, come se egli fosse stato un essere sovrumano, e non un loro compagno. Tra le file dei ribelli si diffuse un mormorio, una voce che crebbe tutt’intorno, soffocata dall’eco lontano di ima oscura paura.

«Egli ha ucciso il Serpente!…»

Accompagnato da un altro uomo, Jaxart entrò di nuovo nella cabina, e portò fuori il cadavere. Un pesante silenzio cadde allora sul ponte. Nessuno parlò, e molti trattennero il respiro. La piccola folla si aprì, facendo ala al passaggio, scostandosi fino a creare un ampio corridoio, attraverso il quale i due portatori del cadavere passarono lentamente, avvicinandosi al parapetto della nave. Anche nella morte, il nero corpo informe, avvolto dal pesante mantello, il corpo senza volto, celato dal cappuccio nero come il mantello, era il simbolo del male, di un orrore antico e senza nome.

Carse dovette lottare nuovamente contro quella paura gelida e repellente, e contro quell’impeto di collera strana. Con uno sforzo di volontà, si costrinse a guardare.

Nell’immobilità del crepuscolo, il tonfo che il cadavere fece, cadendo, risuonò sorprendentemente alto e sinistro. Nel mare di fiamma bianca, ondulati cerchi concentrici di fiammelle guizzanti si formarono, e si spensero lontano, confondendosi con la bianca distesa.

Allora gli uomini ricominciarono a parlare. E cominciarono a gridare frasi oscene e offensive all’indirizzo di Ywain, minacciandola e schernendola in ogni maniera. Qualcuno chiese a gran voce il sangue della principessa, e molti si sarebbero avventati su per la scaletta, decisi a torturarla orribilmente e a ucciderla, se Carse non li avesse minacciati, con la grande spada sguainata, ergendosi come un difensore davanti alla scaletta.

«No! È il nostro ostaggio, e vale tanto oro quanto pesa!» gridò.

Non spiegò in qual modo avrebbe potuto usare la principessa, né entrò in particolari, ma sapeva che quelle argomentazioni sarebbero state sufficienti a soddisfarli, almeno per il momento. E per quanto egli potesse odiare Ywain, detestava l’idea di vederla torturare e fare a pezzi da quel branco di belve feroci, che poco o nulla avevano di umano.

Cercò di spostare su un altro argomento l’attenzione dei ribelli.

«Ora che abbiamo vinto e la nave è nostra, dobbiamo eleggere un capo. Chi scegliete?»

C’era una sola risposta possibile, a questa domanda. Il nome di Carse salì al cielo, urlato dai ribelli, ripetuto fino ad assordarlo, e Carse, nell’udire il suo nome scandito come un grido di battaglia, fu pervaso da un senso di esultanza, da una gioia selvaggia che per qualche istante lo inebriò completamente. Dopo quei giorni di umiliazione e di tormento, era meraviglioso sapere di essere di nuovo un uomo libero, un uomo vero, perfino in un mondo alieno e minaccioso.

Gridò, per dominare il tumulto, e quando riuscì a farsi udire, disse:

«Va bene! Adesso, ascoltatemi! I Sark ci uccideranno lentamente, tra le più atroci torture, per quello che abbiamo fatto… se ci prenderanno. Così, ascoltate bene il mio piano! Noi ci uniremo ai liberi naviganti, ai Re del Mare che regnano a Khondor!»

Tutti accettarono fino all’ultimo uomo, senza un attimo di esitazione, e il nome di Khondor risuonò alto nel cielo del crepuscolo.

I Khond che si trovavano tra gli schiavi parevano impazziti, in preda a una selvaggia esultanza. Uno di loro strappò una lunga striscia di stoffa gialla dalla tunica di un soldato morto che giaceva scompostamente sul ponte, e ne fece una bandiera, che issò sul pennone dove fino a poco prima aveva sventolato lo stendardo col drago di Sark.

Obbedendo all’ordine di Carse, subito Jaxart assunse il comando della nuova ciurma della galera, e Boghaz riportò in cabina Ywain, e ve la rinchiuse, Gli uomini si dispersero per tutta la galera, ansiosi di liberarsi dei cerchi di ferro che ancora stringevano i loro polsi, o delle catene che ancora appesantivano i loro movimenti, ansiosi di depredare i cadaveri dei soldati, prendendo i loro abiti e le loro armi, e ancor più ansiosi di tuffarsi negli otri di vino. Solo Naram e Sballali rimasero, con i grandi occhi fissi su Carse, negli ultimi chiarori del tramonto.

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