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Scyld lanciò un grido rauco. Sguainò la spada, e si gettò verso Carse.

Avevano tutti dimenticato il grasso Boghaz, che se ne stava rannicchiato nel suo angolo. E in quel momento, il Valkisiano si alzò in piedi, muovendosi con una prontezza quasi incredibile per la sua enorme mole. Quando Scyld passò impetuosamente davanti a lui, egli alzò entrambe le mani, e poi calò pesantemente i pugni sulla testa di Scyld, con forza tremenda.

Scyld crollò sul pavimento, come un sasso.

E in quella breve pausa, Ywain ritrovò il suo orgoglio. La spada di Rhiannon si levò alta, pronta a vibrare il colpo mortale, e rapidamente, veloce come il lampo, la principessa sguainò la sua corta spada, e parò il colpo, quando la lama calò su di lei.

La forza del fendente le fece cadere di mano l’arma. Ora Carse doveva soltanto calare un altro fendente… ma gli parve che, in quel violento impatto, tutte le forze fossero sfuggite dal suo corpo, insieme alla volontà di uccidere. Vide Ywain aprire la bocca, per lanciare un’invocazione di aiuto, e allora la colpì sul volto usando l’elsa della spada, facendola cadere sul pavimento priva di sensi, con una ferita sulla guancia, là dove il metallo aveva colpito la carne.

E in quel momento Boghaz fu davanti a lui, si frappose tra la spada di Rhiannon e il corpo inerte della donna, dicendo:

«Non ucciderla! Potremo riscattare la nostra vita, in cambio della sua!»

Carse rimase immobile, mentre Boghaz legava e imbavagliava la donna, e la disarmava, sfilando dal fodero anche il corto pugnale che portava al fianco insieme alla spada.

In quel momento, il terrestre pensò che loro erano due schiavi che avevano sopraffatto Ywain di Sark, e avevano colpito e ucciso il suo capitano, e che la vita di Matthew Carse e di Boghaz di Valkis avrebbe avuto meno valore di un alito di vento, non appena la loro impresa fosse stata conosciuta.

Per il momento, non correvano pericoli immediati. Non c’era stato molto rumore, e dall’esterno non giungevano suoni di allarme.

Boghaz andò a chiudere la porta della cabina interna, come se avesse voluto nascondere perfino il ricordo di ciò che vi era nascosto. Poi si avvicinò a Scyld, chinandosi su di lui, per accertarsi che fosse morto. I polsi che erano stretti dai cerchi metallici si erano abbattuti sulla testa del capitano, uccidendolo sul colpo. Allora il grasso Valkisiano raccolse la spada di Scyld, e rimase immobile per qualche istante, trattenendo il respiro, rendendosi forse conto dell’enormità di ciò che avevano fatto.

Stava guardando Carse con un’espressione nuova, fatta di rispetto e di ammirazione, e anche di paura. Lanciò un’occhiata alla porta chiusa, e mormorò, come trasognato:

«Non l’avrei mai creduto possibile. Eppure l’ho visto con i miei occhi.» Si rivolse di nuovo a Carse. «Tu hai invocato il nome di Rhiannon, prima di colpire. Perché l’hai fatto?»

Carse, con impazienza, rispose;

«Ti sembra che si possa sapere ciò che si dice, in un momento simile?»

La verità era che neppure lui sapeva per quale motivo avesse invocato il nome del Maledetto. Poteva pensare soltanto che quel nome era stato ripetuto troppe volte, da quando era iniziata quell’incredibile storia, e il sentirne parlare continuamente doveva avere originato, in lui, una specie di ossessione. Lo strumento ipnotico del Dhuviano aveva prodotto certamente degli effetti bizzarri sulla sua mente, facendogli perdere per qualche minuto il controllo sui propri pensieri, e forse perfino la ragione. Riusciva a ricordare soltanto una terribile collera… e gli dei sapevano quante buone ragioni egli aveva per adirarsi, dopo tutto ciò che aveva dovuto subire.

La scienza Dhuviana non era riuscita a soggiogarlo completamente; ma questo non era del tutto inesplicabile. Dopotutto, lui era un terrestre, ed era figlio di un’altra epoca, un’epoca del futuro remoto, completamente diversa. Lui era il frutto di una diversa evoluzione, di un altro mondo e di un altro tempo; non c’era da stupirsi se gli strumenti scientifici di quel mondo, creati per dominare la mente dei suoi abitanti, su di lui non esercitavano l’effetto desiderato. Malgrado ciò, c’era mancato poco… ed era stato orribile. Gli parve ancora, per un istante, di trovarsi sull’orlo dell’abisso dischiuso dallo strumento Dhuviano. Sì, c’era mancato poco. E la sua mente non voleva ricordare. Lui desiderava solo cancellare quello spaventoso ricordo.

«Ormai è passato. Dimentichiamo tutto. Ora, dobbiamo pensare al modo di uscire da questa maledetta situazione.»

Il grasso Boghaz, apparentemente, aveva esaurito ogni riserva di coraggio. Era livido, depresso, e quando rispose, parlò con voce bassa e sorda.

«Se vogliamo uscirne nel modo migliore, uccidiamoci adesso, con le nostre mani, e non pensiamoci più.»

Carse capì che il grasso Valkisiano stava parlando seriamente. Lo guardò, e disse, con una punta di irnoia:

«Se la pensi così, per quale motivo hai colpito Scyld, per salvarmi la vita?»

«Non lo so. Penso che sia stato l’istinto.»

«Va bene. Il mio istinto mi dice che è bene cercare di sopravvivere il più a lungo possibile.»

Il più a lungo possibile… ma la situazione pareva indicare che non sarebbe stato per molto. C’era però una ferrea determinazione, in Carse… la determinazione di non accettare in nessun caso il consiglio di Boghaz, e gettarsi sulla punta della spada di Rhiannon, per trovare una morte rapida e pulita. Soppesò la grande spada, con la fronte aggrottata, immerso nei suoi pensieri; poi staccò lo sguardo dalla lama scintillante, ’e fissò Boghaz.

D’un tratto, ruppe il silenzio che si era creato, esclamando:

«Se potessimo liberare i rematori, essi sarebbero pronti a combattere. Sono tutti degli schiavi, dei condannati… non hanno nulla da perdere, perché il loro destino è quello di remare per tutta la vita, in catene, sulla galera di Ywain. Potremmo impadronirci della nave.»

Boghaz spalancò gli occhi, attonito, e un istante dopo li socchiuse, assumendo un’aria calcolatrice, evidentemente ponderando sull’idea di Carse. Dopo un breve intervallo di silenzio, alzò le spalle, e sospirò.

«Suppongo che non possa capitarci nulla di peggio che morire. E vale la pena di tentare. Vale la pena di tentare qualsiasi cosa, quando si è in una situazione disperata come la nostra.»

Provò il filo del pugnale che aveva tolto dalla cintura di Ywain. La lama era forte e sottile. Con l’incredibile perizia di uno scassinatore provetto, infilò la punta nella serratura dei cerchi di ferro che serravano i polsi del terrestre.

«Hai un piano?» domandò.

Carse alzò le spalle, e rispose, cupamente:

«Non sono un mago. Posso soltanto tentare.» Diede un’occhiata alla figura inerte di Ywain. «Tu rimani qui, Boghaz. Barrica la porta, e bada a Ywain. Se le cose volgeranno al peggio, è lei la nostra unica e ultima speranza.»

Ora i cerchi di ferro erano aperti, ai polsi e alle caviglie di Carse. Il meccanismo di chiusura era scattato. Boghaz lavorò per qualche istante sul meccanismo, e quando richiuse gli anelli, essi erano chiusi in modo che chi li portava avrebbe potuto liberarsi facilmente. Riluttante, Carse posò sul tavolino la spada di Rhiannon. Boghaz avrebbe avuto bisogno del pugnale, per liberarsi a sua volta, ma c’era un altro pugnale sul corpo di Scyld. Rapidamente, Carse andò a prenderlo, e lo nascose sotto il corto gonnellino che indossava. Nel fare questo, impartì a Boghaz delle istruzioni brevi e concise, seguendo il piano disperato che aveva cominciato a formarsi nella sua mente.

Un minuto più tardi, Carse aprì la porta della cabina, di quel tanto che gli bastò per uscire sul ponte. Dall’interno, alle sue spalle, giunse un’imitazione perfetta della voce rozza e arrogante di Scyld, che chiamava un soldato. Il soldato accorse subito.

«Riporta questo schiavo al suo banco,» ordinò la voce del grasso Valkisiano, che imitava perfettamente quella di Scyld. «Rimettilo al lavoro, e bada che nessuno venga qui a disturbare la Signora Ywain.»

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