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Il silenzio era profondo, disturbato solo dall'ansito spettrale del riciclatore d'aria. Be'… se dovevo proprio essere buttato fuori da un portello stagno, stavolta c'è una differenza che non sarò io a criticare. Nei venti minuti che seguirono ebbe modo d'immaginare tutti i possibili motivi per cui la Ariel poteva non ricevere il segnale di soccorso oppure decidere di non recuperarlo. Stava già pensando che avessero scelto di non aprire il fuoco su di lui per lasciarlo invece morire d'asfissia, quando il sacco di sopravvivenza fu agganciato da un raggio trattore con uno strattone che lo lasciò senza fiato.

Il troglodita alla manovra del raggio trattore era un criminale con dieci banane marce al posto delle dita, questo fu chiaro fin dal principio, ma dopo alcuni minuti di penosi sballottamenti il ritorno della gravità e alcuni rumori metallici gli dissero che si trovava all'interno di un compartimento stagno. Un portello si aprì, voci umane si avvicinarono. Poi il pallone cominciò a rotolare di nuovo. Con un grido di protesta lui si rannicchiò per proteggersi, finché quel movimento ebbe termine. Allora sedette, fece un lungo sospiro e cercò di sistemarsi l'uniforme.

Una mano palpeggiò la superficie esterna del pallone. — C'è qualcuno qui dentro?

— Fatemi uscire! — gridò Miles.

— Un momento…

Alcuni strattoni, lo scricchiolio della plastica dei sigilli mentre un utensile li spezzava, e poi il fruscio della cerniera. La sacca di sopravvivenza si afflosciò mentre l'aria ne usciva. Miles si fece strada fra le pieghe e vacillando si tirò in piedi, con tutta la goffaggine e l'inettitudine di un pulcino strisciato fuori dall'uovo.

Era in una piccola stiva per le merci. Tre militari in uniforme bianca e grigia lo circondavano, tenendogli puntati alla testa due storditori e un distruttore neuronico. Appoggiato a una cassa, un uomo snello coi gradi di capitano lo stava osservando.

La posa dell'ufficiale, i lunghi capelli castani e i lineamenti del volto, non lasciavano capire se fosse un uomo delicato ed efebico o una donna d'aspetto alquanto deciso. Quell'ambiguità a suo modo affascinante era in parte naturale, ma per il resto sapientemente coltivata. Bel Thorne era un ermafrodita betano, un discendente delle sperimentazioni genetico-culturali che s'erano concluse un secolo addietro senza molto successo. La sua espressione, dapprima blanda e scettica, si fece sbalordita quando poté vederlo in faccia.

Miles sogghignò ampiamente. — Salve, Pandora. Gli Dei ti hanno fatto un dono, ma a una condizione, e ora che l'hai violata tutti i mali del mondo sono liberi. Trovi soltanto me in fondo a quel dannato contenitore.

— La Speranza! Potrei chiedere di meglio? — Thorne s'illuminò in volto mentre veniva verso di lui. Lo abbracciò e lo strinse a sé con entusiasmo. — Miles! — Scostandosi continuò a tenerlo per le spalle, e nei suoi occhi c'era una luce quasi avida. — Ma che stai facendo qui? E…

— Sapevo che me lo avresti chiesto — sospirò Miles.

— … e perché hai addosso una tuta dei Rangers?

— Dio, sono felice che tu non sia di quelli che prima sparano e poi fanno domande. — Miles scalciò via la plastica sgonfia fra cui si impigliavano le sue pantofole e vide che i mercenari, per quanto un po' incerti, continuavano a tenerlo sotto mira. — Ah… — Fece un gesto verso di loro.

— Riposo, uomini — ordinò Thorne. — È tutto a posto.

— Vorrei che fosse vero — disse lui. — Bel, dobbiamo parlare.

La cabina di Thorne a bordo della Ariel era lo stesso miscuglio di cose familiari e novità che Miles stava trovando in tutto ciò che riguardava i mercenari. I rumori, gli odori e le attività nei locali dell'astronave gli risvegliavano cascate di ricordi. Bel aveva riempito il suo alloggio con una gran quantità di oggetti personali: videolibri, armi, ricordi accumulati nelle campagne belliche, un casco semifuso alla cui robustezza doveva la vita e che era stato trasformato in una lampada, e una piccola gabbia contenente un animaletto di origine terrestre che Thorne chiamava «criceto».

Fra una tazza e l'altra di tè non sintetico, proveniente dalla riserva privata del comandante, Miles riferì a Thorne una versione in stile ammiraglio Naismith dei fatti accaduti, molto vicina a quella che aveva dato a Oser ed a Tung: l'incarico di valutare la situazione politica del Mozzo, e il governo al cui servizio agiva e del quale non poteva fare il nome. Gregor, naturalmente, restò fuori dal resoconto, e così anche ogni accenno a Barrayar. Miles Naismith parlava con puro accento betano. Per il resto rimase aderente a ciò che gli era successo davvero, compresi molti particolari del suo soggiorno fra i Randall Rangers.

— Così il tenente Lake è stato catturato dai nostri concorrenti — commentò Thorne, dopo che lui gli ebbe riferito di come lo aveva incontrato nel reparto detenzione della Mano di Kurin. - Non posso dire di amarlo svisceratamente… ma è chiaro che nelle procedure della nostra sicurezza c'è una falla.

— Lo penso anch'io. — Miles depose la tazza e si piegò in avanti. — Il mio datore di lavoro mi ha autorizzato non soltanto a osservare ma anche a impedire che scoppi un conflitto nel Mozzo Hegen, se possibile. — Sì chiese fino a che punto Ungari gli avrebbe dato ragione. — Però credo che ormai la situazione sia ingovernabile. Dal vostro punto di vista come sembra?

Thorne si accigliò. — Abbiamo attraccato alla stazione cinque giorni fa, per l'ultima volta. È stato allora che gli aslundiani hanno ordinato le ispezioni preliminari obbligatorie. Tutte le navi di stazza inferiore sono state adibite a questo servizio. Con la loro stazione militare ormai quasi completata, i nostri datori di lavoro cominciano a temere gli atti di sabotaggio, bombe fra le merci, missili dall'esterno, contaminazioni batteriologiche…

— Sì, ma non intendevo questo. Cosa puoi dirmi della situazione interna della Flotta?

— Ti riferisci alle voci sulla tua vita/morte/resurrezione? Circolano dappertutto, in quindici o venti versioni diverse. Io avevo deciso di non credere a niente… ma poi, all'improvviso, Oser ha fatto arrestare Tung.

— Cosa? — Miles si morse un labbro. — Solo Tung? Non Elena, o Mayhew, o Chodak?

— Soltanto Tung.

— Questo non ha senso. Se ha arrestato Tung deve averlo interrogato col penta-rapido, quindi sa anche di Elena. A meno che non l'abbia lasciata libera come esca.

— C'è stato un brutto momento quando hanno arrestato Tung. E credo che se Oser avesse osato fare lo stesso a Elena e Baz, la situazione sarebbe esplosa fin da allora. Malgrado questo, Tung non è stato rilasciato. Siamo sul filo del rasoio. Oser ha fatto in modo di tener separati quelli di cui non si può fidare, e l'ordinanza degli aslundiani gli ha fatto comodo; ecco perché siamo di servizio qui fuori da quasi una settimana senza interruzioni. Ma l'ultima volta che ho visto Baz era dannatamente vicino a impugnare un'arma e scatenare una rivolta. E tu sai che ce ne vuole per condurlo a quel punto.

Miles lasciò uscire lentamente il fiato. — Una rivolta… proprio quello che la comandante Cavilo vuole. È per questo che mi ha fatto portare fin qui e scaricare sulla vostra tavola: il pomo della discordia. Desidera che io prenda il potere. Non le importa che io vinca o perda: mira a seminare lo scompiglio fra le forze avversarie per poi saltar fuori con la sua mossa a sorpresa.

— E tu hai già capito di che sorpresa si tratta?

— No. Fino a poco tempo fa i Rangers si stavano preparando per un attacco in superficie da qualche parte. Il fatto che mi abbiano spedito qui fa pensare che mirino ad Aslund, contro ogni logica. Ma forse la manovra di quella donna è molto più sottile. Ha una mente contorta, da autentica intrigante. Mah! — Si batté un pugno sul palmo dell'altra mano. — Bisogna che parli con Oser. E stavolta mi dovrà ascoltare. Una collaborazione fra noi è l'unico sviluppo strategico che Cavilo non si aspetta, il solo ramo sano fra tutti quelli segati a metà su cui sta cercando di farmi sedere… te la senti di darmi una base d'appoggio, Bel?

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