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CAPITOLO NONO

La Stazione di balzo Confederata del Gruppo Jackson, stabilì Miles, differiva da quella di Pol soprattutto per l'assortimento di articoli esposti nei negozi per turisti danarosi. Si fermò davanti a un distributore automatico di librodischi, nella strada che anche lì rappresentava il luogo d'incontro principale, e fece scorrere in fretta il videocatalogo oltre un interminabile elenco di cassette pornografiche. Be', non troppo in fretta; la curiosità e lo stupore lo costrinsero a soffermarsi su alcuni titoli. Ma nobilmente represse il desiderio di saperne di più e raggiunse le pubblicazioni di storia militare, una lista che con disappunto scoprì assai meno nutrita.

Inserì la carta di credito e la macchina gli consegnò tre cassette. Non che fosse particolarmente avido di conoscere Gli Errori della Strategia Triangolare nelle Guerre di Minos IV, ma il ritorno a casa sarebbe stato lungo, e il sergente Keller non si prometteva come un compagno di viaggio molto vivace. Miles intascò i dischetti e fece un sospiro: in che assurdo spreco di tempo, di energia e di preparativi s'era risolta quella missione!

Ungari aveva predisposto la «vendita» della nave di Victor Rotha, pilota compreso, a un uomo di fiducia che l'avrebbe riconsegnata per vie traverse alla Sicurezza Imperiale di Barrayar. Il supplichevole suggerimento di Miles circa le possibilità d'impiego che ancora restavano per il disonesto Rotha, l'eroico Naismith e non ultimo anche il volonteroso alfiere Vorkosigan era stato interrotto dall'arrivo di un messaggio ultracodificato dal Quartier Generale della Sicurezza, solo per gli occhi di Ungari. Il capitano s'era ritirato in cabina per decodificarlo e ne era uscito un'ora dopo, con lo sguardo cupo e la bocca stretta in una linea sottile.

Aveva modificato i suoi programmi ed era partito subito dopo su una nave mercantile diretta a Stazione Aslund. Da solo. Rifiutando di rivelare il contenuto del messaggio a Miles ed anche al sergente Keller. Rifiutando a Miles di portarlo con sé. Rifiutando a Miles il permesso di osservare o fare domande su tutto ciò che di militare poteva esserci sulla Stazione Confederata.

Andandosene, Ungari aveva lasciato Keller a disposizione di Miles, o viceversa. Nessuno dei due era riuscito a capire chi aveva il comando di chi. Keller aveva però sviluppato la tendenza ad agire con Miles sempre meno come un subordinato e sempre più come una governante accidiosa, scoraggiando i suoi tentativi di esplorare la stazione per tenerlo il più possibile nella camera d'albergo in cui s'erano trasferiti. Per fortuna anche quella noia era finita. Ormai stavano per imbarcarsi su una nave passeggeri escobarana sulla via del rientro dopo una crociera nella distorsione. Su Escobar si sarebbero rivolti all'ambasciata di Barrayar, che avrebbe provveduto a farli tornare in patria con altri mezzi. In patria, e senza niente di utile da riferire.

Miles controllò l'orologio. Altri venti minuti prima che aprissero il cancello d'imbarco. Tanto valeva andarsi a sedere su una panchina. Con un grugnito e un cenno del capo comunicò a Keller il senso di marcia e si avviò pigramente lungo la strada. Keller gli tenne dietro accigliato, disapprovando la sua decisione di spostarsi da un luogo che lui aveva già controllato.

I pensieri di Miles continuavano a tornare a Livia Nu. Defilandosi dall'invito erotico della bionda aveva risparmiato a se stesso la più eccitante avventura sessuale della sua breve vita. Anche se non ricordava di aver visto nulla di erotico sul volto di lei. Del resto avrebbe dubitato della salute mentale di una femmina capace di farsi erotizzare a prima vista da Victor Rotha. La luce che le aveva visto negli occhi era piuttosto quella di chi è stato costretto a ordinare un piatto di fagioli e si vede servire in tavola esattamente quello di cui dovrà accontentarsi.

Si vestiva come se fosse la piccola preziosa bambola di qualche riccone e si muoveva come una cortigiana; ma in lei non c'era nulla di servile, nulla che facesse pensare alla sottomissione e al desiderio di compiacere. In quel contenitore così sofisticato c'erano il calcolo, l'ambizione, la durezza del potere.

Quant'era bella, però.

Cortigiana, criminale, spia, chi era in realtà? E soprattutto, da che parte stava? Era il capo di Liga o il suo avversario? Di certo era stata il suo destino. L'aveva ucciso lei personalmente? Quale che fosse la risposta, Miles si stava convincendo che la bionda era un elemento chiave negli intrighi del Mozzo Hegen. Avrebbero dovuto starle dietro, non sfuggirla. Quella sessuale non era la sola opportunità che lui aveva perduto. L'incontro con Livia Nu l'avrebbe tormentato per molto tempo.

Miles uscì dai suoi pensieri accorgendosi che qualcuno gli sbarrava la strada: due poliziotti confederati… ufficiali della sicurezza civile, si corresse ironicamente. Piantò saldamente i piedi al suolo e sollevò il mento. Che diavolo volevano? — Sì, signori?

Quello grosso guardò quello enorme, che si schiarì la gola. — Il signor Victor Rotha?

— E se anche fosse?

— È stato pagato per lei un ordine d'arresto. L'accusa è di aver procurato con mezzi violenti la morte di un certo Sidney Liga. Vuole sporgere una controdenuncia?

— Probabilmente. — Miles non riuscì a reprimere una smorfia. Quello era uno sviluppo imprevisto. — Chi ha pagato per farmi arrestare?

— Il nome sulla denuncia è Cavilo.

Miles scosse il capo. — Mai sentito nominare. È un agente della polizia poiana, per caso?

Il poliziotto controllò il display del suo comunicatore. — No. — E in tono discorsivo aggiunse: — Noi non facciamo molti affari con i polani. Quelli pensano che dovremmo arrestare gratis i loro criminali. E alloggiarli in una comoda cella a nostre spese.

— Uh-uh. Sono clienti che danno poche mance — rispose Miles, cercando di riflettere in fretta. Illyan non si sarebbe spaventato di quel sovrappiù sul suo conto spese. — Quanto ha pagato questo Cavilo, per me?

Il poliziotto guardò di nuovo il display. Inarcò un sopracciglio. — Ventimila dollari betani. Deve tenerci molto a farla punire.

Miles imprecò fra i denti. — Non ho una somma simile in tasca, al momento.

Il poliziotto staccò dalla cintura lo sfollagente-storditore e lo accese. — Quand'è così, deve venire con noi.

— Dovrò fare un paio di chiamate. Alla banca e…

— Potrà farle dal carcere della stazione, signore.

— Ma devo imbarcarmi! Perderò la nave!

— Suppongo che il denunciante abbia questo desiderio, fra l'altro — annuì il poliziotto, — considerando il tempo che occorre per essere schedato e tutto.

— Ma se… se questo è tutto ciò che Cavilo vuole… allora forse ritirerà la denuncia, no?

— Perderebbe un sostanzioso deposito.

La giustizia jacksoniana era davvero uguale per tutti: la vendevano a tutti quelli che potevano pagarla. — Senta, posso scambiare due parole col mio assistente?

Il poliziotto si mordicchiò un labbro, scrutando sospettosamente Keller. — Faccia alla svelta.

— Lei che ne pensa, sergente? — chiese Miles. — Voglio dire, sembra che le autorità non abbiano un ordine d'arresto per lei…

Keller sembrava teso e preoccupato, sul punto di irritarsi. — Se fossimo andati subito al molo d'imbarco…

Non c'era bisogno di spiegarsi meglio. Gli escobarani condividevano la disapprovazione dei polani per le leggi del Gruppo Jackson. Una volta a bordo della nave di linea Miles sarebbe stato sul suolo di Escobar, e il capitano non lo avrebbe consegnato alle autorità della stazione. Chiunque fosse questo Cavilo, certo non aveva i soldi per pagare l'arresto di un'intera astronave. Sarebbe occorsa una cifra astronomica. — Però siamo ancora in tempo, no? — disse, e vide una scintilla di comprensione accendersi negli occhi di Keller.

Miles si volse verso i due ufficiali della sicurezza civile e sospirò, allargando le mani con aria rassegnata. — Bene, signori… — disse. In quell'istante Keller entrò in azione.

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