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Le sue gambe scivolarono fuori dai pantaloni, lasciandosi dietro anche le scarpe, e pian piano le sollevò in superficie. Per un poco fece il morto, con gli arti spalancati in croce per avere il massimo appoggio su quel fango traditore, gli occhi fissi in un cielo pieno di nuvole grigie. Indossava ancora, pesanti e inzuppate, la giacca dell'uniforme e la biancheria. Uno dei suoi calzini termici era andato, insieme alle scarpe e ai pantaloni.

Stava cominciando a grandinare.

Lo trovarono dodici ore più tardi, rannicchiato sopra il piccolo calorifero tubolare ormai quasi spento, in mezzo ai pannelli aperti della stazione meteorologica automatica. Aveva gli occhi cerchiati di nero, gli orecchi e i piedi bianchi come il gesso. Intorno al pollice e all'indice della sua mano destra erano attorcigliati due fili elettrici, messi a nudo, e le dita si aprivano e si chiudevano battendo con ipnotica regolarità il codice d'emergenza del Servizio. I fili erano quelli del barometro, il cui segnale poteva essere letto solo su un quadrante nell'ufficio meteorologico della base. Se e quando qualcuno avesse notato i difetti di lettura degli strumenti di quella particolare stazione. Se e quando qualcuno avesse capito che fra le scariche statiche c'era un segnale.

Le sue dita continuarono a battere quel ritmo anche dopo che l'ebbero tolto da lì, e crepitanti strati di ghiaccio si staccarono dalla giacca dell'uniforme quando raddrizzarono il suo corpo rigido e lo stesero su una barella. Gli chiesero spiegazioni, ma era troppo debole e non riuscirono a fargli uscire nulla di bocca, a parte il respiro rauco e sibilante. La risposta brillava soltanto nei suoi occhi.

CAPITOLO TERZO

Galleggiando in una vasca d'acqua calda nell'infermeria della Base, Miles considerò l'idea di crocifiggere i due sabotatori del reparto veicoli in diversi e immaginosi modi. A testa in giù, ad esempio. O appesi sotto una slitta antigravità, a bassa quota sul mare. Meglio, anzi, semisepolti in una palude congelata durante una bufera… ma quando il suo corpo si fu riscaldato e il medico l'ebbe tirato fuori per asciugarlo, visitarlo di nuovo e fargli servire un pasto energetico, la sua rabbia era ormai temperata dalla ragione.

Non era stato un tentativo di omicidio. E di conseguenza non si trattava di una faccenda che lui avesse il dovere di mettere nelle mani di Simon Illyan, temuto Capo della Sicurezza Imperiale e mano sinistra di suo padre. La truce scena dell'alto ufficiale che faceva trascinare via ammanettati i due bastardi era affascinante da contemplarsi, ma poco realistica, come sparare a dei topi con un cannone maser. Del resto, difficilmente il tribunale militare avrebbe trovato un luogo di reclusione più sgradevole di Campo Cessofreddo in cui spedirli.

Avevano voluto fargli affondare la motopulce nella palude, questo era certo, per metterlo nella situazione imbarazzante di dover chiedere alla Base l'intervento di automezzi pesanti. Imbarazzante, non letale. Non avrebbero potuto — nessuno avrebbe potuto — prevedere che lui si sarebbe prudenzialmente collegato al veicolo con una catena, cosa che s'era rivelata, in ultima analisi, la più pericolosa aggravante. Al massimo era materia per la Sicurezza del Servizio, già piuttosto severa, o per un normale provvedimento disciplinare.

Rimise le gambe sul letto, l'unico occupato della lunga corsia, e spinse di lato il tavolino col vassoio del cibo. L'infermiere rientrò ed esaminò con aria di disapprovazione quello che non aveva mangiato.

— Si sente meglio, signore?

— Meglio, sì — disse sgarbatamente lui.

— Vedo che, mmh, non ha finito il pasto prescritto.

— Mi danno sempre troppa roba. Non la mangio mai tutta.

— Sì, suppongo che lei sia meno… mmh, già. — L'infermiere batté qualche nota sul display della cartella clinica. Poi si applicò un oculare ed esaminò gli orecchi di Miles e le dita dei piedi, tastandolo con mani svelte e pratiche. — Be' — concluse, — non credo che dovremo toglierle via qualche pezzo. Le è andata bene.

— Trattate spesso casi di congelamento? — O l'unico idiota sono io? L'evidenza, al momento, sembrava avvalorare quell'ultima ipotesi.

— Oh, quando arriveranno le reclute qui dentro non ci sarà neanche lo spazio per girarsi. Congelamenti, polmoniti, contusioni, ossa rotte, slogature e strappi muscolari… d'inverno non passa giorno senza che dal percorso di guerra arrivino gavettoni malridotti, e istruttori malridotti, anche. Per non parlare degli incidenti che capitano durante l'addestramento con le armi. — L'infermiere batté qualche altra nota sulla cartella clinica e la trasmise all'archivio computerizzato. — Ho paura che dovrò elencarla come ricoverato, comunque, signore.

— Paura?

L'infermiere raddrizzò le spalle nell'atteggiamento inconscio di chi sta per dare notizie ufficiali, e assunse lo sguardo da non-è-colpa-mia-io-dico-solo-quello-che-mi-hanno-riferito. — Lei ha l'ordine di mettersi a rapporto dal comandante della Base, appena io la dichiaro dimesso, signore.

Miles considerò l'ipotesi di lamentare forti dolori dappertutto. No. Meglio togliersi subito quel pensiero. — Mi dica, sottocapo, è già successo che qualcuno abbia perduto una motopulce?

— Può scommetterci. Le reclute riescono a distruggerne cinque o sei ogni stagione, senza contare i guasti e le ammaccature. Ogni sera, quando i veicoli rientrano, le imprecazioni dei meccanici si possono sentire anche di lontano. Il comandante ha giurato che la prossima volta che qualcuno perderà una… ahem! — L'uomo tossicchiò.

Meraviglioso, pensò Miles. Davvero grande. S'era già immaginato la scena. Ora avrebbe potuto ingannare il tempo immaginandosela ancora meglio.

Miles fece una capatina nel suo alloggio per cambiarsi, presumendo che il pigiama dell'ospedale non sarebbe stato adatto al colloquio che lo aspettava. Questo lo costrinse a confrontarsi con un altro piccolo problema. La tuta nera da fatica avrebbe fatto pensare a un atteggiamento troppo rilassato, mentre l'alta uniforme di lucida stoffa verde era troppo formale per qualunque posto che non fosse il Quartier Generale Imperiale a Vorbarr Sultana. I pantaloni e le scarpe della sua divisa normale erano in fondo a una palude. Nella sacca aveva portato con sé solo tre cambi d'abito, uno per ogni stile, e il baule con gli altri indumenti che doveva seguirlo era ancora in transito, al deposito bagagli di qualche aeroporto.

Chiedere qualcosa in prestito, anche se avesse avuto un collega a cui chiedere un favore così personale, era impossibile. Le sue uniformi erano fatte su misura in sartoria, e costavano almeno il quadruplo di quelle normali. Parte della cifra era dovuta al tessuto e alla fattura, ma soprattutto c'erano gli accorgimenti particolari e le protesi che il sarto doveva aggiungere per rimediare alle imperfezioni estetiche del suo corpo. Imprecò fra i denti e tirò fuori dall'armadio l'alta uniforme, compresi gli stivaloni lucidati a specchio e alti fino al ginocchio. Questi ultimi, almeno, rimediavano alla perdita dei gambali rinforzati.

GENERALE STANIS METZOV, diceva la targhetta alla porta, COMANDANTE DELLA BASE. Miles aveva accuratamente messo in opera ogni espediente per evitare l'ufficiale, dopo il loro primo poco fortunato incontro. E in compagnia di Ahn non era stato difficile, malgrado la scarsa popolazione attuale dell'isola Kyril; Ahn non cercava la compagnia di nessuno. Ma ora lui cominciava a pentirsi di non aver mai fatto conversazione con gli altri ufficiali, a mensa. Tenersi in disparte, anche se le necessità di lavoro lo imponevano, era stato un errore. In cinque giorni di chiacchiere casuali qualcuno avrebbe sicuramente almeno accennato alle voraci paludi dell'isola.

Il caporale addetto agli impianti di comunicazione nell'anticamera lo scortò alla porta dell'ufficio interno. Miles stabilì che avrebbe dovuto prendere il comandante della Base per il verso giusto e scoprire il suo lato buono, sempre che ne avesse uno. Gli servivano alleati. Il generale Metzov lo accolse seduto rigidamente dietro la sua scrivania, prese atto del suo saluto con un impercettibile cenno del capo e restò in attesa.

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