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Del resto, dubitava che avrebbe funzionato. La porta si chiuse, nascondendogli la candida scimitarra del suo sorriso. Con un drammatico attimo di ritardo Miles alzò una mano per ricordarle la promessa di un miglioramento nei pasti.

Ma lei lo ricordò lo stesso. Il pranzo di mezzogiorno gli arrivò su un carrello, pilotato da un esperto anche se inespressivo attendente che glielo presentò su cinque eleganti vassoi, con due vini diversi e un caffè espresso a coronare il tutto. Miles dubitava che alla mensa si mangiasse in quel modo. Provò a immaginare un plotone di mercenari grassocci e sorridenti, satolli, che si alzavano da tavola per trotterellare alla battaglia… il cibo per cani era molto più adatto a stimolare gli istinti aggressivi.

Un'osservazione casuale che lasciò andar lì con l'attendente gli procurò insieme al carrello successivo anche un pacco, che si rivelò pieno di biancheria, una tuta da fatica senza gradi dei Rangers adatta alle sue misure, due morbide pantofole, un tubetto di depilatore per la faccia e altri oggetti da toeletta assortiti. Miles si sentì ispirato a lavarsi, un pezzo alla volta, e prima di vestirsi si fece la barba. Ora si sentiva quasi umano. Già, i vantaggi della collaborazione. Cavilo non era sottile nel mostrare il bastone e ancor meno nell'offrire la carota, ma chi voleva che lo fosse?

Dio, da dov'era sbucata quella diabolica venere in miniatura? Come mercenaria e veterana doveva essere attorno già da anni per esser arrivata in quella posizione, malgrado ogni scorciatoia. Tung la conosceva di certo. Gli sarebbe piaciuto che Tung fosse lì. Diavolo, gli sarebbe piaciuto che Illyan fosse lì.

Il modo in cui si atteggiava, ora Miles lo capiva, era una tattica calcolata per avere un carisma, una sua plateale identità d'effetto sui sottoposti. Tenendo i mercenari di truppa a debita distanza doveva funzionare abbastanza bene, così come faceva un popolare ammiraglio barrayarano della generazione di suo padre che usava un fucile a plasma come un bastone da passeggio. Solitamente scarico, s'era saputo in seguito: l'uomo non era stupido. O un alfiere Vor che portava una daga antica e si divertiva a sfoderarla alla minima occasione. Un marchio di fabbrica, uno stendardo, un pizzico di calcolata psicologia di massa. L'immagine esteriore che Cavilo dava di sé corrispondeva bene a questo tipo di strategia. Ma non c'erano timori nascosti dentro di lei, quando si accorgeva di aver fatto il passo più lungo della gamba? Vorresti che fosse così, eh?

Ahimè, dopo una dose di Cavilo era troppo facile continuare a pensare a lei, dimenticando il resto. Concentrati, alfiere. Si era forse dimenticata di Victor Rotha? Gregor era riuscito a costruire una bugia plausibile per il loro incontro alla Stazione Confederata? Miles era rimasto con l'impressione che Gregor le avesse raccontato pochi fatti sintetici, spiegandone le cause d'origine con poche sintetiche menzogne. Ma… se non era così? Forse c'erano state davvero delle manovre prematrimoniali, di cui Gregor aveva preferito non parlargli. Forse Gregor sapeva di aver agito da irresponsabile, e per autodifesa gli aveva raccontato solo la versione della verità che lo aiutava a sentirsi più giustificabile.

I suoi pensieri stavano ancora correndo a vuoto senza alcun vero obiettivo, come topolini su una ruota girevole, quando la serratura della porta fece udire il suo bip-bip. Sì, lui avrebbe finto di collaborare, promettendo il meno possibile, se lei gli avesse dato la possibilità di parlare con Gregor.

Cavilo apparve sulla soglia, con un mercenario al fianco. L'uomo aveva qualcosa di familiare… uno di quelli che erano venuti a prenderlo al molo? No…

Il mercenario si appoggiò al montante della porta e scrutò Miles con aria divertita, poi si volse a Cavilo.

— Sì, è proprio lui, non c'è dubbio. L'ammiraglio Naismith, della Guerra di Tau Verde. Lo riconoscerei dovunque, questo nanerottolo. — Sul suo volto apparve un po' di perplessità. — Ehi, ma che sta facendo da queste parti, signore?

Mentalmente Miles rivestì l'uomo con un'uniforme nera e ocra. Sì. Alla guerra di Tau Verde avevano partecipato parecchie migliaia di mercenari. Molti di loro dovevano essere finiti in ogni angolo della distorsione.

— Grazie, sergente, questo è tutto. — Cavilo gli mise una mano su un braccio e con fermezza lo spinse via. Il graduato si allontanò con lei nel corridoio fra le celle, e Miles lo sentì dire sottovoce: — Dovrebbe cercare di assoldarlo, signora. È uno stratega militare molto abile…

Cavilo riapparve dopo qualche secondo e si fermò sulla soglia, con le mani sui fianchi e un'espressione fra esasperata e stupita. — Insomma, quante identità ha lei, si può sapere?

Miles allargò le braccia e le rivolse un sorriso mite, preparandosi a discutere le condizioni per uscire da quel buco…

— Bah! — Cavilo gli volse le spalle e la porta si chiuse, tagliando a mezzo la sua esclamazione.

E adesso? Frustrato Miles abbatté un pugno sulla parete, ma la sola risposta che ebbe fu il colpo che gli rimbalzò nelle ossa fino alla spalla.

CAPITOLO TREDICESIMO

Quel pomeriggio, comunque, un po' di sano esercizio fisico fu concesso a tutte e tre le sue identità. Miles venne condotto in una piccola palestra di bordo per l'occasione riservata soltanto a lui e per un'ora poté far uso delle attrezzature, distraendosi col calcolo delle traiettorie fra ciascuna di esse e la posizione in cui stazionava l'uomo di guardia, accanto alla porta. Riuscì a vedere almeno due modi in cui un giovanotto robusto come Ivan avrebbe potuto stordirlo e fuggire. Nessuno dei due alla sua portata. Per un momento desiderò quasi che Ivan fosse con lui.

Durante il ritorno sotto scorta alla Cella 13, nella stanza di controllo, incrociò un altro prigioniero che le guardie stavano perquisendo. Era un uomo scosso e tremante, con corti capelli biondi bagnati di sudore, e quando poté guardarlo in faccia Miles dovette fare uno sforzo per celare lo sbalordimento nel vederlo lì. Il luogotenente di Oser. La sua espressione era molto diversa.

Portava ancora i pantaloni grigi dell'uniforme, ma l'avevano messo a torso nudo. La sua schiena era segnata da lividi lasciati da uno sfollagente-storditore. Sull'epidermide pallida del braccio destro risaltavano i puntolini rossi di un ipospray. Dalle labbra umide, ogni tanto contratte da un sorriso ebete simile a un rictus, gli usciva un balbettio sconnesso. Reduce di fresco da un interrogatorio col penta-rapido, evidentemente.

Miles abbassò lo sguardo a osservare la mano sinistra del tenente: sì, erano ancora lì i segni dei suoi denti, la mossa d'esordio della lotta nel corridoio della Triumph, quando l'uomo aveva estratto la vibrolama nel selvaggio impulso di amputargli la lingua.

La guardia lo fece proseguire con uno spintone. Miles per poco non cadde, ma continuò a voltarsi indietro finché la porta della Cella 13 non si chiuse, imprigionandolo di nuovo.

Cosa sei venuto a fare qui? Quella, stabilì, era la domanda che al Mozzo Hegen tutti facevano a tutti… anche se pochi dovevano aver risposto con la franchezza del tenente oserano. Non c'era dubbio che quello di Cavilo fosse un servizio di controspionaggio efficiente. Da quanto si trovava lì il tirapiedi di Oser? Com'era riuscito a rintracciare lui e Gregor? A giudicare dalle sue condizioni fisiche non doveva essere nelle mani dei Randall Rangers da più di ventiquattr'ore…

Ma ciò che Miles avrebbe voluto sapere era se quella puntata degli Oserani su Stazione Vervain faceva parte di una loro strategia generale, oppure significava che Tung era stato costretto a parlare. Oser aveva scoperto il tradimento di Elena? L'aveva fatta arrestare? A denti stretti cominciò a camminare avanti e indietro nella cella, sempre più ansioso e preoccupato. Ho rovinato i miei amici? Sono stati uccisi per colpa mia?

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