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Occorse mezz'ora perché gli ultimi effetti di quel profumo si dissolvessero, e per allora Miles aveva già lasciato la Mano di Kurin lungo un tubolare di collegamento, passando a bordo di una piccola nave da carico. Partirono senza fargli rimettere piede su Stazione Vervain; neppure una possibilità di sfuggire al loro controllo.

Osservò la cabina che gli era stata assegnata. La cuccetta e il cesso-lavandino non erano molto diversi da quelli della Cella 13. La vita di bordo… bah. L'immenso panorama dell'universo, bah. La gloria del Servizio Imperiale, doppio-bah. Aveva perduto Gregor. Può darsi che io sia piccolo, ma faccio errori grossi perché sono seduto sulle spalle dei giganti. Cercò di aprire la porta e gridò qualche parola nell'intercom. Nessuno gli rispose.

Non è una sorpresa.

Poteva essere lui a sorprenderli, facendosi trovare impiccato. Non che fosse la soluzione ideale per rovinare i piani di Cavilo. Ma non c'era niente di abbastanza alto a cui legare la cintura.

Si rassegnò. Quella nave era più veloce del mercantile in cui lui e Gregor avevano trascorso tre giorni, ma attraversare il sistema del Mozzo Hegen richiedeva tempo. Davanti a lui c'era un giorno e mezzo che avrebbe potuto impiegare per riflettere all'imprevisto sviluppo della situazione. Lui e l'ammiraglio Naismith.

Be', che ne pensa, ammiraglio? Oh, Dio.

Un sottufficiale e una guardia vennero a prelevarlo trentasei ore più tardi, quando stimava d'essere già entro i confini del perimetro difensivo della Stazione Aslund. Ma non abbiamo ancora attraccato. Perché questo anticipo? La stanchezza nervosa non gli aveva impedito di reagire con un flusso di adrenalina. Respirò a fondo e cercò di scuotersi via la nebbia dal cervello. Ancora un po' di detenzione, pensò, e non ci sarebbe stata adrenalina capace di farlo tornare a contatto col mondo. Il sottufficiale lo scortò nel breve corridoio centrale fino in plancia e lo fece fermare a qualche passo dal comandante. L'uomo, nella sua uniforme dei Randall Rangers, era appoggiato alla consolle delle comunicazioni, a cui stava lavorando il secondo ufficiale. Il pilota e l'ingegnere di macchina erano indaffarati sul resto della strumentazione.

— Se salgono a bordo lo arresteranno, e così sarà automaticamente portato a destinazione — stava dicendo il secondo ufficiale.

— Se salissero a bordo potrebbero arrestare anche noi. Lei ha ordinato di scaricarlo alla stazione o dove capita e tornare indietro. Non le piacerebbe sentirsi dire che ci siamo fatti internare — replicò il comandante.

— Volo C6-WG — disse una voce dalla consolle. — Qui è la Ariel, nave a contratto con mansioni di sorveglianza per conto della Flotta di Aslund. Chiamo il Volo C6-WG da Stazione Vervain. Rallentate a velocità d'ingresso e preparate il compartimento stagno per ricevere un'ispezione a bordo. La Stazione Aslund si riserva il diritto di negarvi l'attracco qualora non vi fermiate per un'ispezione preliminare. — Poi proseguì, in tono meno ufficiale: — E noi ci riserviamo il diritto di aprire il fuoco se voialtri, gente, non ubbidite maledettamente subito. Chiaro, questo? — Assumendo una nota sarcastica la voce aveva fatto scattare un interruttore nella memoria di Miles. Bel?

— Rallentare a velocità di ingresso — ordinò il comandante, e accennò al secondo di spegnere la radio. — Ehi, tu, Rotha — disse a Miles. — Vieni qui.

Così sono di nuovo Rotha. Lui esibì un sorrisetto docile e cercando di mascherare il suo famelico interesse aggirò la consolle, fino al punto da cui poteva vedere il display del teleradar. La Ariel? Sì, quella in avvicinamento su una rotta quasi parallela era la sagoma snella dell'incrociatore di costruzione illyrica… ancora al comando di Bel Thorne? Come posso farmi trasferire su quella nave?

— Ehi, non vorrete buttarmi fuori! — protestò, ansiosamente. — Gli Oserani ce l'hanno ancora con me, per via di un vecchio malinteso. Io non sapevo che quelle pistole a plasma fossero difettose.

— Quali pistole a plasma? — domandò il comandante.

— Io commercio in armi, e sono conosciuto in tutta la distorsione. Niente… ho venduto a Oser cinquanta casse di pistole nuove di fabbrica allo stesso prezzo che mi erano costate. Ma poi è venuto fuori che quando andavano in sovraccarico il calcio poteva fondere… in mano a chi lo impugnava. Le avrei ritirate per modificarle a mìe spese, giuro, se fossi stato sul posto. Ma i miei affari mi costringono a viaggiare molto.

— E molto in fretta, eh? — Il comandante si portò una mano alla cintura e con gesto automatico sfiorò la fondina della sua grossa pistola a plasma. Guardò Miles da capo a piedi, come se vedesse un insetto, e si accigliò. — Non vale la pena di rischiare — disse dopo qualche secondo. — Tenente, lei e il caporale scortate questo piccolo sgorbio mutante al portello di tribordo, impacchettatelo in una sacca di sopravvivenza e buttatelo fuori. Poi ce ne torniamo a casa.

— No! — supplicò debolmente Miles mentre lo afferravano per un braccio. Sì! Trascinando i piedi li seguì alla porta, attento a non offrire resistenza per non mettere a repentaglio le sue fragili ossa. — Non avete il diritto di gettarmi fuori come se fossi una balla di merce… E quella Ariel, mio Dio… quella gente senza scrupoli…

— Oh, non temere, i mercenari di Aslund non ti perderanno — disse il comandante. — O magari ti scambieranno per una mina e ti faranno saltare, con un colpo di cannone al plasma. Chi può dirlo? — Con un sorrisetto si volse alla consolle, afferrò un microfono e in tono indifferente disse: — Nave Ariel? Qui Volo C6-WG. Purtroppo difficoltà tecniche ci impongono di cambiare il programma di volo e rientrare immediatamente a Stazione Vervain. Di conseguenza non abbiamo bisogno di un'ispezione pre-attracco. Vi lasceremo però un piccolo regalo di addio. Innocuo, sia chiaro. Cosa vorrete farne sono solo fatti vostri…

La porta di plancia si chiuse, e nel corridoio restò il silenzio. Miles fu fatto girare a destra verso un piccolo compartimento stagno. Cercò di divincolarsi ma il caporale lo tenne fermo, mentre l'altro uomo tirava fuori un involucro di plastica rossa, opaca.

La sacca di sopravvivenza era una sfera gonfiabile a uso rapido, generalmente fornita ai passeggeri delle navi di linea e utile sia durante un'eventuale depressurizzazione interna che per abbandonare la nave. Le sue possibilità tecniche non erano superiori a quelle di un salvagente di sughero. Il passeggero chiuso dentro di essa non aveva bisogno di alcuna conoscenza perché l'impianto — un minuscolo cilindro che forniva alcune ore di aria riciclata e il segnalatore a batteria da cui partiva un impulso radar — era automatico.

Inerte, a prova di idioti e di cani o gatti terrorizzati, poco raccomandabile per chi soffriva di claustrofobia, la sacca di sopravvivenza era così funzionale che salvava in effetti la vita di molta gente… purché i soccorsi arrivassero in tempo.

Miles mandò un gemito realistico quando fu costretto a strisciare nel contenitore odoroso di plastica e vi fu chiuso dentro. Uno strattone alla valvola e il pallone cominciò a gonfiarsi. Nello stesso istante in lui tornò un'immagine della tenda-bolla dell'isola Kyril, e il suo gemito si arricchì di una nota più autentica. A questo seguì una serie di urti e percosse, quando lo fecero rotolare senza complimenti nella camera stagna. Un sibilare d'aria, un clangore di flange, lo scossone della gravità che lo abbandonava e fu proiettato nel buio assoluto dello spazio vuoto.

Il sacco di sopravvivenza aveva un diametro di poco superiore al metro e venti. Piegato in due, Miles roteò con l'inerzia dell'impulso che lo aveva scaraventato fuori, conscio di roteare soltanto perché la forza centrifuga gli faceva salire lo stomaco in bocca. Annaspò attorno finché le sue mani tremanti artigliarono quello che gli sembrò un tubo a luce-fredda. Lo palpeggiò a caso e fu ricompensato dall'accendersi di una nauseante fluorescenza verdastra.

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