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— Quanto ci vuole per andare da Rodeo alla Stazione Orient?

— Oh, di solito una settimana. Probabilmente molto presto anche tu ti fermerai là, anche solo per fare rifornimento di provviste e materiale extra, quando partirai per il tuo primo contratto di costruzione.

Il ragazzo aveva abbandonato quell’espressione assorta, forse perché stava pensando al suo primo viaggio interstellare. Così andava meglio, pensò Leo rilassandosi.

— Lo aspetto con impazienza, signore.

— Bene. Sempre che però non ti tagli un piede… ehm, una mano, nel frattempo, vero?

Tony chinò il capo, sorridendo. — Cercherò di evitarlo, signore.

E tutta questa faccenda che cosa vuol dire? si chiese Leo, mentre osservava Tony dirigersi fuori dalla porta. Forse il ragazzo si era messo in mente di scioperare da solo? Tony non poteva assolutamente avere idea di come sarebbe apparso un simile scherzo di natura al di fuori dell’ambiente familiare dell’Habitat. Se solo si fosse aperto un po’ di più…

Leo rifuggì dal pensiero di affrontarlo apertamente. Tutti i terricoli che facevano parte del Progetto Cay sembravano vantare dei diritti sui pensieri privati dei quad. Non c’era una sola porta che si chiudesse a chiave negli alloggi dei quad. Avevano la stessa privacy di una formica sotto vetro.

Si scrollò di dosso quelle riflessioni pesantemente critiche, ma non poté scrollarsi di dosso quella sensazione di disagio. Per tutta la vita la sua unica fede era stata la sua abilità tecnica… se avesse continuato a rimanervi fedele, il suo piede non avrebbe inciampato. Era ormai un’abitudine inveterata e quasi automatica riversare quell’abilità tecnica nell’insegnamento, così come adesso faceva con Tony e la sua squadra. Eppure… questa volta sembrava che non bastasse. Aveva memorizzato la risposta solo per scoprire che la domanda era cambiata.

Ma che altro gli si poteva chiedere? Che altro si aspettavano che desse loro? Dopo tutto, che cosa poteva fare un uomo solo?

Una sensazione di paura imprecisata gli fece battere le palpebre, le stelle dai contorni nitidi nell’oblò si offuscarono, mentre l’ombra incombente di quel dilemma oscurava l’orizzonte della sua coscienza. Di più…

Rabbrividendo, voltò le spalle a quell’immensità. Di certo avrebbe potuto inghiottire un uomo.

Ti, il copilota della navetta merci, aveva gli occhi chiusi. Forse era una cosa naturale, in momenti come questi, pensò Silver studiando il suo viso a non più di dieci centimetri di distanza. Da quella posizione ravvicinata, i suoi occhi non erano più in grado di fornirle un’immagine stereoscopica, quindi il suo viso sdoppiato si sovrapponeva. Se socchiudeva le palpebre nel modo giusto, poteva fargli spuntare tre occhi. Gli uomini erano davvero degli esseri alieni. Eppure i contatti metallici inseriti nella sua fronte e su entrambe le tempie, non avevano quell’effetto, sembravano più una decorazione o un marchio di casta. Chiuse prima un occhio e poi l’altro e il viso di lui si spostò avanti e indietro.

Ti aprì gli occhi per un istante e Silver entrò in azione. Sorrise e socchiuse gli occhi, aumentando il movimento ritmico dei fianchi. — Oooh — mormorò, come le aveva insegnato Van Atta. Fammi sentire qualche reazione, tesoro, le aveva domandato Van Atta, e così aveva attinto ad una ricca collezione di gemiti che a lei pareva gli piacessero. E funzionavano anche con il pilota, quando si ricordava di farli.

Ti strinse le palpebre, socchiuse le labbra, mentre il suo respiro si faceva affannoso, e il viso di Silver si distese in una calma riflessiva, lieta per l’attimo di intimità con se stessa. In ogni caso, lo sguardo di Ti non la metteva a disagio come quello del signor Van Atta, che invece sembrava sempre suggerirle che avrebbe dovuto fare qualcosa di più o di diverso.

Il sudore imperlava la fronte del pilota, e un ricciolo castano si appiccicò ad una delle prese luccicanti. Mutante meccanico, mutante biologica, creature simili anche se prodotte da diverse tecnologie: forse era questa la ragione per cui dapprincipio Ti aveva pensato che lei fosse abbordabile, poiché anch’egli era un tipo isolato. Tutti e due erano degli scherzi di natura. O forse, invece, il pilota non era un tipo troppo esigente.

Ti tremò, boccheggiò e la strinse forte contro di sé. In verità sembrava molto… vulnerabile. Il signor Van Atta non aveva mai un aspetto vulnerabile, in quei momenti. Silver non era sicura che quello non fosse il suo aspetto normale.

Che cosa ci trova lui in questo che io invece non riesco a trovarci? si chiese. Che cosa c’è che non va in me? Forse lei era davvero, come l’aveva definita una volta van Atta, frigida. Una parola sgradevole, che le faceva venire in mente le macchine e i depositi di rifiuti ancorati fuori dall’Habitat. Così aveva imparato a lanciare gemiti e a dimenarsi a suo esclusivo beneficio e lui si era congratulato con lei perché cominciava a sciogliersi.

Silver ricordò a se stessa che aveva un’altra ragione per tenere gli occhi aperti. Di nuovo gettò un’occhiata oltre la testa del pilota. La finestra di osservazione della buia stanza di controllo nella quale si erano dati appuntamento si affacciava sul compartimento di carico merci dove stava parcheggiata una navetta. Lo spazio tra la stanza di controllo e l’ingresso al portello di carico della navetta era debolmente illuminato e non si scorgeva alcun movimento. Tony, Claire, sbrigatevi, pensò proccupata Silver. Non posso tenere occupato questo tizio per tutta la durata del turno.

— Accipicchia — sospirò Ti, uscendo dalla trance e aprendo gli occhi con un sorriso. — Quando vi hanno progettati per l’assenza di peso, hanno proprio pensato a tutto. - Allentò la presa sulle spalle di Silver e le fece scivolare le mani lungo la schiena, terminando con un buffetto di approvazione sulle mani inferiori strette attorno ai suoi fianchi muscolosi di terricolo. — Davvero funzionali.

— Come fanno le terricole a non, uhm, rimbalzare? — chiese Silver incuriosita, approfittando del fatto di avere a disposizione un esperto in materia.

Il sorriso di lui si allargò. — Ci pensa la gravità.

— Che strano. Avevo sempre pensato che la gravità fosse un fattore contro il quale bisognasse lottare tutto il tempo.

— No, solo metà del tempo. Per l’altra metà, lavora per te — le assicurò lui.

Si districò dal corpo di Silver con una certa grazia; forse era tutta la sua esperienza di pilota che si faceva sentire, e la baciò sul collo. — Mia bella signora.

Silver arrossì e fu grata che ci fosse poca luce. Per qualche istante, Ti rivolse la propria attenzione alle necessarie norme igieniche. Un rapido sibilo d’aria e il preservativo intriso di spermicida scomparve nello scivolo dei rifiuti. Silver represse un vago senso di rimpianto. Era proprio un peccato che Ti non fosse uno di loro. Ed era un peccato che lei fosse tanto in basso nel ruolino di coloro che erano destinate a diventare madri. Peccato…

— Hai saputo dal tuo amico dottore se davvero abbiamo bisogno di questi? — le chiese Ti.

— Non potevo certo porre al dottor Minchenko una domanda diretta — replicò Silver. — Ma immagino che egli ritenga che un concepimento tra un terricolo e uno di noi abortirebbe spontanemente e molto in fretta, anche se nessuno lo sa per certo. Potrebbe anche darsi che un bambino riesca a nascere con arti inferiori che non sono né braccia né gambe, ma solo un orribile pasticcio fra le due cose. — E probabilmente non me lo lascerebbero tenere… - Comunque, ci risparmia la fatica di dare la caccia per la stanza con l’aspiratore ai fluidi corporali.

— Vero. Be’, di certo io non sono pronto a diventare papà.

Che cosa incomprensibile, pensò Silver, per un uomo così vecchio. Ti doveva avere almeno venticinque anni, era molto più vecchio di Tony che era il più anziano di tutti loro. Fece attenzione a galleggiare con il viso rivolto verso la finestra, in modo che il pilota continuasse invece a voltarle le spalle. Forza, Tony, fatelo, se dovete…

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