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— Abbiamo risolto anche questo problema — rispose Van Atta. — Se la soluzione sia efficace rispetto ai costi… be’, questo è ciò che lei ed io siamo qui per verificare.

Dolcemente, la navetta si spostò di lato, allineandosi con un portello posto nel fianco della struttura e vi si ancorò con uno scatto rassicurante e definitivo. Il pilota spense i pannelli di controllo e si alzò dal sedile, fluttuando oltre Leo e Van Atta per controllare il portello stagno. — Pronti a sbarcare, signor Van Atta.

— Grazie, Grant.

Leo slacciò le cinture del sedile e si rilassò nella sensazione di piacevole familiarità data dall’assenza di peso. Lo sgradevole senso di nausea da gravità zero, che minava l’efficienza di tanti impiegati, non lo sfiorava neppure. A terra, il suo era un corpo assolutamente comune: ma lì, dove la capacità di controllo, la pratica e l’esperienza contavano più della forza, Leo era finalmente un atleta. Sorridendo tra sé, seguì Van Atta da un appiglio all’altro, attraversando il portello di attracco.

Un tecnico dal viso roseo sedeva davanti al pannello di controllo nel corridoio fuori del portello. Indossava una maglia rossa con l’insegna della GalacTech e aveva folti riccioli biondi che ricordarono a Leo il manto di un agnellino, ma forse quello era l’effetto della sua giovane età.

— Salve, Tony — lo salutò Van Atta con allegra familiarità.

— Buongiorno, signor Van Atta — rispose il giovane in tono rispettoso, sorridendo a Leo e piegando il capo in una parodistica richiesta di presentazione. — Questo è il nuovo insegnante di cui ci ha parlato?

— Appunto. Leo Graf, questo è Tony: sarà tra i suoi primi allievi. Fa parte dei residenti permanenti dell’Habitat — aggiunse Van Atta con particolare enfasi. — Tony è saldatore e giuntatore di secondo grado, e sta lavorando per passare al primo, vero Tony? Stringi la mano al signor Graf.

Van Atta sorrise compiaciuto. Leo ebbe l’impressione che, se non fossero stati in assenza di peso, si sarebbe messo a saltellare sulle punte dei piedi.

Obbediente, Tony si sporse oltre il pannello di controllo. Vide che indossava dei pantaloncini rossi…

Leo sbatté le palpebre, sconvolto: il ragazzo non aveva gambe e dai pantaloncini sbucava un secondo paio di braccia.

Braccia perfettamente funzionanti, perché in quello stesso istante Tony stava usando la… mano sinistra inferiore (Leo pensò di poterla definire così) per ancorarsi, mentre si sporgeva verso di lui, sorridendo con assoluta innocenza.

Leo aveva perso l’appiglio e dovette armeggiare per riafferrarlo e nel contempo allungarsi imbarazzato per stringere la mano che Tony gli offriva. — Lieto di conoscerti — riuscì a gracchiare. Era praticamente impossibile evitare di fissarlo ad occhi spalancati. Leo si costrinse a guardare dritto negli occhi azzurri del giovane.

— Salve, signore, non vedevo l’ora di conoscerla. — La stretta di Tony era timida ma sincera, la mano forte e asciutta.

— Uh… — balbettò Leo, — come ti chiami di cognome, uhm, Tony?

— Oh, Tony è solo il mio soprannome, signore. La mia designazione ufficiale è TY-776-424-XG.

— Oh, allora penso che ti chiamerò Tony — mormorò Leo sempre più strabiliato, mentre Van Atta sembrava divertirsi un mondo osservando il suo imbarazzo.

— È quello che fanno tutti — rispose amabilmente Tony.

— Ti spiace andare a prendere il bagaglio del signor Graf, Tony? — disse Van Atta. — Venga, Leo, le mostrerò il suo alloggio e poi faremo un giro completo.

Leo seguì la sua guida fluttuante nel corridoio trasversale e gettò un’occhiata alle sue spalle con rinnovato stupore nel momento in cui Tony si lanciava con accurata precisione attraverso la stanza, roteando verso il portello della navetta.

— Quella — disse Leo deglutendo, — è la più straordinaria malformazione di nascita che abbia mai visto. Qualcuno ha avuto un colpo di genio trovandogli un lavoro in assenza di gravità. A terra sarebbe stato semplicemente uno storpio.

— Malformazione di nascita. — Il sorrisetto di Van Atta si era tramutato in una smorfia. — Già, anche quello è un modo di descriverlo. Vorrei che avesse potuto vedere l’espressione della sua faccia quando si è trovato di fronte Tony. Congratulazioni per il suo autocontrollo. La prima volta che ho visto uno di loro, quasi mi sentivo male, eppure ero stato preparato. Ma ci si abitua in fretta a quegli scimmiotti.

— Perché, ce n’è più di uno?

Van Atta aprì e chiuse le mani, contando. — Un migliaio tondo. La prima generazione di nuovi super-operai della GalacTech. Il nome del gioco, Leo, è ingegneria genetica, e intendo vincere.

Tony, con la valigia di Leo stretta nella mano destra inferiore, sfrecciò tra Leo e Van Atta nel corridoio cilindrico, e con tre rapidi e abili tocchi sugli appigli, frenò davanti a loro.

— Signor Van Atta, mentre andiamo nella Sezione Visitatori, posso presentare il signor Graf a una persona? Non dovremmo deviare troppo: lavora agli Impianti Idroponici.

Van Atta protese le labbra apparentemente seccato, ma poi le aprì in un sorriso. — Perché no? Dopo tutto gli Impianti Idroponici erano in programma per la visita di oggi pomeriggio.

— Grazie, signore — esclamò Tony, e sfrecciò via con entusiasmo ad aprire il sigillo di un portello stagno che si trovava in fondo al corridoio, fermandosi a chiuderlo alle loro spalle dall’altra parte.

Leo concentrò la propria attenzione sull’ambiente che lo circondava, soluzione che gli parve più educata che quella di studiare di sottecchi il ragazzo. In effetti, l’Habitat era stato costruito con poca spesa, con largo uso di combinazioni di materiali prefabbricati. Non era il più estetico ed elegante dei progetti: la disposizione casuale e in confusi agglomerati indicava uno schema di crescita utilitaristico, con le unità disposte qua e là per far fronte di volta in volta alle nuove esigenze. Ma proprio la povertà architettonica presentava dei vantaggi intrinseci di sicurezza, notò con approvazione Leo, come l’intercambiabilità del sistema di sigilli a tenuta d’aria, per esempio.

Passarono lungo le zone dormitorio, le aree di preparazione e distribuzione del cibo, il laboratorio per le piccole riparazioni (qui Leo si fermò ad osservare con attenzione e così dovette poi affrettarsi per raggiungere la sua guida). A differenza di molti spazi abitativi a gravità zero in cui si era trovato a lavorare, qui non si faceva nessuno sforzo per mantenere un’arbitraria illusione del «su» o «giù» per facilitare l’adattamento psicologico degli abitanti. La maggior parte delle camere erano di forma cilindrica, con gli spazi di lavoro e le aree magazzino allineate lungo le pareti, mentre il centro era lasciato libero da ostacoli per il passaggio dei… be’, non si potevano certo chiamare pedoni.

Lungo il tragitto, incontrarono una trentina di quelle persone con quattro mani, il nuovo modello di operai, insomma… gente simile a Tony, comunque venissero chiamati. A proposito, avevano una designazione ufficiale, si chiese Leo? Li guardò di nascosto, distogliendo lo sguardo ogni volta che qualcuno guardava verso di lui, il che avvenne spesso: quelli lo fissavano apertamente, sussurrando tra loro.

Capì perché Van Atta li aveva soprannominati scimmiotti: avevano i fianchi stretti, privi dei muscoli locomotori situati nei glutei, comuni invece alla gente che aveva le gambe. Le braccia inferiori, come una coppia di potenti pinze, erano generalmente più muscolose di quelle superiori, sia nei maschi che nelle femmine, e davano così la falsa impressione di essere più corte di quelle superiori; se le si guardava socchiudendo gli occhi fino a sfumare l’immagine, si potevano scambiare per gambe flesse.

Tutti portavano una comoda e pratica maglietta con i calzoni corti, come Tony, ed era chiaro che i diversi colori erano una sorta di codificazione; passando, Leo aveva visto un gruppo vestito di giallo stretto intorno ad un normale essere umano con la tuta della GalacTech, il quale aveva smontato un’unità di pompaggio e stava tenendo una lezione sul suo funzionamento e sui sistemi di riparazione. Leo pensò a uno stormo di canarini, di scoiattoli volanti, di scimmie, di ragni, o di luccicanti e veloci lucertole che corrono sulle pareti.

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