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— Signori — La voce di Apmad fu come un secchio di acqua gelida. — Signor Van Atta, le ricordo che i licenziamenti in tronco da installazioni fuori mano come Rodeo non sono incoraggiati. Non solo la GalacTech è obbligata per contratto a fornire i mezzi di trasporto per riportare a casa i licenziati, ma a questo si aggiungono le spese e i ritardi per sostituirli. No, risolveremo la cosa in questo modo: il capitano Bannerji verrà sospeso per due settimane senza stipendio e sul suo curriculum verrà segnata una nota ufficiale di biasimo per aver portato armi non autorizzate mentre era in servizio per la Compagnia. L’arma verrà confiscata. Anche il signor Graf avrà una nota ufficiale di biasimo, ma ritornerà immediatamente al suo lavoro, poiché non c’è nessuno in grado di sostituirlo.

— Ma io sono stato ingannato! — si lamentò Bannerji.

— Ed io sono completamente innocente! — esclamò Leo. — È tutta una montatura… la fantasia di un paranoico…

— Non può rimandare Graf sull’Habitat ora - urlò Van Atta. — La prossima mossa che farà sarà quella di sindacalizzarli. …

— Considerando le conseguenze del fallimento del Progetto Cay — rispose freddamente Apmad, — non credo proprio. Vero, signor Graf?

Leo rabbrividì — Vero.

Il Vice Presidente emise un sospiro privo di soddisfazione. — Grazie, questa indagine è terminata. Ulteriori proteste o reclami da parte di chiunque possono essere indirizzati al quartier generale della GalacTech sulla Terra. — Se ne avete il coraggio, aggiunse in silenzio sollevando un sopracciglio. Persino Van Atta ebbe il buon senso di tenere la bocca chiusa.

L’atmosfera a bordo della navetta durante il viaggio di ritorno era, a dir poco, tesa. Claire, accompagnata da una delle infermiere dell’Habitat richiamata con due giorni di anticipo sul termine delle sua licenza a terra, era accovacciata sul fondo, stretta vicino ad Andy. Leo e Van Atta sedevano il più possibile lontani uno dall’altro, almeno quanto lo permetteva lo spazio ridotto della navetta.

Van Atta si rivolse una sola volta a Leo. — Gliel’avevo detto.

— Aveva ragione — fu la secca risposta di Leo. Van Atta quasi cominciò a fare le fusa per quella lisciata. Leo avrebbe preferito poterlo colpire con un corpo contundente.

Ma poteva in effetti aver ragione Van Atta? Le sue pressioni distruttive per ottenere risultati immediati potevano forse essere un segno di preoccupazione per il benessere dei quad o persino per la loro sopravvivenza? No, decise Leo con un sospiro. L’unico benessere di cui Brace si preoccupava era il proprio.

Reclinò il capo sul poggiatesta imbottito, e guardò fuori dall’oblò mentre l’accelerazione del decollo lo spingeva contro il sedile. Un viaggio con una navetta destava sempre un brivido nelle parti più profonde del suo animo, anche dopo gli innumerevoli viaggi che aveva compiuto. C’erano persone, miliardi di persone, la maggioranza della gente, insomma, che in tutta la vita non avevano mai messo piede fuori dal loro pianeta. Leo era uno dei pochi fortunati.

Fortunato ad avere quel lavoro. Fortunato ad aver raggiunto quei risultati nel corso degli anni. La gigantesca Stazione Spaziale di Trasferimento di Morita era forse il coronamento di tutta la sua carriera, il progetto più grandioso al quale aveva e avrebbe mai lavorato. La prima volta che aveva visitato quel posto non vi era altro che il vuoto gelido dello spazio, un vuoto assoluto. Era ripassato di là l’anno prima, per cambiare nave da Ylla alla Terra. Morita era magnifica, davvero magnifica: viva e in piena espansione, parecchi anni prima di quanto fosse lecito aspettarsi. Un’espansione graduale, della quale erano state già previste le varie fasi nel piano originale. Eccesso di ambizione, era stato definito allora. Preveggenza, veniva definita adesso.

E c’erano stati altri progetti. Ogni giorno, da un’estremità all’altra del punto di connessione del corridoio, erano stati evitati innumerevoli incidenti dovuti a cedimenti strutturali, proprio perché Leo e gli uomini da lui addestrati avevano fatto bene il loro lavoro. In una settimana di impegno febbrile, la scoperta di microscopiche fessure in espansione nelle barre di raffreddamento della grande industria orbitante di Beni Ra aveva salvato almeno tremila vite umane. Quanti chirurghi potevano affermare di averne salvate altrettante in dieci anni di carriera? Durante quel memorabile giro di ispezione, aveva compiuto operazioni simili una volta al mese per un anno. In silenzio, senza clamore: i disastri evitati non hanno mai l’onore delle prime pagine. Ma lui lo sapeva, e così anche tutti quelli che lavoravano con lui, e questo bastava.

Rimpiangeva di aver colpito Bruce. Non valeva certo il rischio di perdere il proprio lavoro per un momento di rabbiosa esaltazione. I diciotto anni di benefici pensionistici, le opzioni sulle azioni della Compagnia, l’anzianità, tutto questo forse sì: senza una famiglia da mantenere, appartenevano solo a Leo, e quindi poteva scegliere di gettarle al vento. Ma chi si sarebbe occupato della prossima Beni Ra?

Al loro ritorno sull’Habitat, Leo avrebbe collaborato. Avrebbe educatamente presentato le proprie scuse a Bruce, raddoppiato i propri sforzi nell’addestramento, avrebbe fatto molta più attenzione. Si sarebbe morsicato la lingua, parlando solo quand’era interrogato. Sarebbe stato gentile con la dottoressa Yei… al diavolo, era persino disposto a seguire scrupolosamente le sue istruzioni.

Qualunque altro comportamento sarebbe stato troppo rischioso. C’erano mille ragazzini, lassù. Così tanti, così diversi… così giovani. Cento bambini di cinque anni, centoventi di sei anni, che affollavano i nidi d’infanzia e che giocavano nella palestra a gravità zero. Nessun individuo poteva prendersi la responsabilità di rischiare tutte quelle vite in un azzardo. Sarebbe stata una cosa impossibile. Criminale. Folle. Una rivolta… dove avrebbe potuto portare? Nessuno era in grado di prevedere tutte le conseguenze. Nessuno era in grado, nessuno.

Attraccarono all’Habitat. Van Atta spinse Claire, Andy e l’infermiera davanti a sé attraverso il portello, mentre Leo sganciava lentamente le cinture di sicurezza.

— Oh, no — riecheggiò la voce di Van Atta, — l’infermiera porterà Andy al nido. Tu tornerai al tuo vecchio dormitorio. Portare quel bambino sul pianeta è stata un’azione criminale e irresponsabile. È chiaro che tu non sei assolutamente adatta a prenderti cura di lui. E ti garantisco che verrai anche cancellata dai ruolini di riproduzione.

Il pianto di Claire era a tal punto soffocato da essere quasi inudibile.

Leo chiuse gli occhi, sconvolto. — Dio — chiese, — perché proprio io?

Slacciando l’ultima cintura, si avviò ciecamente verso il futuro che lo attendeva.

CAPITOLO SETTIMO

— Leo! — Silver si afferrò con una mano e con le altre tre prese a battere freneticamente alla porta dell’alloggio dell’ingegnere. — Leo, presto! Svegliati, mi serve il tuo aiuto! — Appoggiò la guancia alla plastica fredda, spegnendo il grido in un sussurro soffocato. — Leo? — Non osava gridare più forte, per paura di farsi sentire da qualcun altro.

Finalmente la porta si aprì, scivolando di lato. Leo indossava una maglietta rossa, un paio di calzoncini ed era a piedi nudi; i radi capelli biondi erano tutti arruffati, mentre il sacco in cui dormiva penzolava aperto come un baccello vuoto sulla parete opposta. — Che cosa diavolo… Silver? — La sua espressione era ancora assonnata e gli occhi erano semichiusi, ma si stava risvegliando in fretta.

— Vieni, presto! Presto! — sibilò Silver, afferrandogli una mano. — Si tratta di Claire: ha cercato di uscire da un portello stagno. Io ho bloccato i comandi e adesso non può aprire la porta esterna, ma io non riesco più ad aprire quella interna, e lei è intrappolata nel mezzo. Il nostro supervisore sarà di ritorno tra poco e allora non so che cosa ci farà…

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