La nebbia copriva la valle e il fiume era invisibile. Gli arbusti, anche quelli proprio davanti a me, erano indistinti e scoloriti. Non era certo la giornata per il saluto solare. Feci qualche esercizio di stretching, poi tornai nella grotta. Nessuno si era preoccupato di riaccendere il fuoco. La grotta era buia e tiepida e odorava di corpi pelosi. Un odore confortante.
Facemmo i bagagli.
— Come facciamo a viaggiare? — domandò Nia. — Sono stata fuori. L’aria è come la pelliccia del ventre di un cornacurve. Non riusciremo a vedere niente.
— Conosco il fiume — disse Ulzai. — Possiamo viaggiare mezza giornata prima di imbatterci in qualcosa di insolito o pericoloso. E allora la nebbia sarà già sparita. L’aria sarà limpida quando arriveremo nel punto dove l’acqua cade.
— Ne sei sicuro? — chiese l’oracolo.
— Sì — rispose Ulzai. — Muoviamoci. E fate attenzione.
Incominciammo a scendere fra la nebbia, Ulzai in testa. La roccia che superammo era scivolosa. Non vedevo quasi niente: la figura indistinta di Ulzai, qualche arbusto confuso. Ne sfiorai uno. Le foglie erano orlate di goccioline di umidità. Da qualche parte lì vicino il torrente gorgogliava.
— Ahi! — gridò qualcuno.
Mi voltai e vidi Nia e Derek. L’oracolo era sparito.
— Che cosa è successo?
Nia fece il gesto del dubbio.
— Quel maledetto sciocco è finito nel burrone — disse Derek.
— Aiuto — gridò l’oracolo. La sua voce sembrava lontana sebbene dovesse essere abbastanza vicina.
Derek scrutò nel burrone. — Non riesco a vederlo. Oracolo! Grida di nuovo!
— Aiuto — fece l’oracolo.
— Proprio qui sotto. — Derek depose le sacche che portava, si tolse gli stivali e i calzini e si calò nel burrone.
— Che cosa sta succedendo? — chiese Ulzai alle mie spalle.
— L’oracolo è caduto nel burrone.
— Un uomo maldestro!
Feci il gesto dell’affermazione.
— L’ho preso — disse Derek. — Riesci a tenerti in piedi?
— Non lo so — rispose l’oracolo.
— Provaci.
Ci fu un minuto di silenzio.
— Aiya! Mi fa male la caviglia!
Ulzai sbuffò. Mi avvicinai al ciglio del burrone e guardai giù. C’erano delle forme indistinte sotto di me: rocce e rami, appena visibili attraverso la nebbia.
— Andiamo — disse Derek. — Ti aiuto a salire.
I rami si mossero. Comparvero due figure: una pallida e umana, l’altra scura, massiccia e aliena. Mi inginocchiai e allungai una mano. L’oracolo l’afferrò. Tirai. Derek lo sollevò. Insieme lo tirammo fuori.
— Com’è potuta accadere una cosa simile? — domandò l’oracolo.
— Non chiederlo a noi — ribatté Derek. Si inginocchiò accanto all’oracolo, che si era seduto, e gli tastò la caviglia. L’oracolo emise un gemito.
— Non sento niente che sia fuori posto, e non sembra che tu soffra molto.
— Ecco che lo fai di nuovo — protestò l’oracolo. — Misuri il dolore che prova un’altra persona. Come puoi riuscirci? Che specie di magia possiedi?
— Non gridi quando faccio così — disse Derek. Strinse la caviglia.
L’oracolo emise un gemito strozzato. — Griderò, se è questo che vuoi. Ma prima lasciami tirare un bel respiro.
— Stiamo sprecando il tempo — intervenne Ulzai. — Se la caviglia è rotta, l’uomo lo scoprirà. Il dolore peggiorerà e la caviglia si ingrosserà. Se invece è tutto a posto, si accorgerà anche di quello. Muoviamoci!
Derek aiutò l’oracolo ad alzarsi. L’omino gemette, ma riuscì a reggersi sul piede ferito. Scese zoppicando il pendio, appoggiandosi a Derek. Io e Nia portammo le sacche.
La nebbia si andava sollevando un poco. Riuscii a scorgere la riva del fiume. L’acqua grigia sciabordava dolcemente contro una spiaggia grigia. Il centro del fiume era di un biancore impenetrabile.
Spingemmo in acqua l’imbarcazione. L’oracolo vi salì e si sedette, lamentandosi. Noi lo seguimmo: Derek a prua e Nia dietro di lui. Io mi ritrovai fra l’oracolo e Ulzai. Non era un posto particolarmente comodo. Sentivo la presenza di Ulzai alle mie spalle: enorme, peloso e formidabile. C’era qualcosa di duro e acuminato che mi premeva contro la coscia. Mi spostai e guardai. Era la lama di una lancia, lunga e uncinata, fatta di ferro. Era posata sul fondo della barca insieme a un’altra lancia e alla canna da pesca di Derek. Per poco non mi ero seduta sulla punta.
La barca si allontanò dalla riva.
Mi spostai all’indietro, cercando di allontanarmi dalla lama della lancia.
— Non fare così — mi disse Ulzai. — Ho bisogno di spazio per vogare.
Mi spostai di nuovo in avanti.
— Bene.
Viaggiammo nella nebbia per tutta la mattinata. L’aria era immobile e non c’era alcun suono, a parte il tonfo delle pagaie. Il silenzio aveva effetto su tutti noi. Parlavamo appena e ci muovevamo con prudenza, cercando di fare il minimo rumore possibile. L’oracolo faceva eccezione. Di quando in quando si lamentava e cambiava posizione. Mi sembrava che cercasse di sostenere il braccio ferito.
La nebbia si diradò un poco e dal biancore affiorarono delle isole. La corrente si fece più rapida e la superficie del fiume cambiò. C’erano increspature e vortici.
— Ci stiamo avvicinando al punto in cui il fiume precipita — disse Ulzai. — La nebbia è durata più di quanto mi aspettassi. Sto cercando di decidere se voglio proseguire oppure no. La barca è troppo carica. Potrebbero esserci problemi e non voglio trovarmi ad affrontarli all’improvviso.
L’oracolo si mosse di nuovo nel tentativo di trovare una posizione comoda. Il braccio ferito era appoggiato sul bordo della canoa. Lo sollevò. Vidi del sangue che gocciolava nell’acqua.
Mi protesi in avanti e gli afferrai il braccio. Lui si girò di colpo. La barca oscillò.
— Sta’ fermo — dissi.
La fasciatura si era strappata. Il bordo della schiuma era arrossato dal sangue. Anche la pelliccia era impregnata di sangue e una linea scura di sangue scendeva lungo il lato interno della canoa. Mi sporsi all’esterno. La barca oscillò di nuovo.
— Che cosa stai combinando? — chiese Ulzai.
Una seconda striscia di sangue scendeva lungo il lato esterno della canoa, finendo nell’acqua.
— Sangue! — esclamai. — Non avevi detto che era pericoloso lasciare tracce di sangue nell’acqua?
— Sì.
— L’oracolo sta sanguinando.
— Spostati qui dietro — ordinò subito Ulzai. — Prendi la mia pagaia.
Ubbidii. Lui si alzò e mi scavalcò. Mi sistemai a poppa. Ulzai raccolse una lancia. Si raddrizzò e si guardò attorno.
— Niente, per il momento. Ma tu, o uomo santo, tieni il tuo braccio dentro la barca. Non voglio altro sangue nell’acqua.
L’oracolo si tenne il braccio contro il torace. Aveva le spalle curve. Ebbi l’impressione che fosse terrorizzato. Be’, lo ero anch’io.
Ulzai parlò di nuovo. — Loro non amano questa parte del fiume. L’acqua si muove troppo rapidamente. Non vengono qui se non nel periodo della migrazione, e quello non è ancora iniziato.
— Bene — disse Derek.
— Se ce n’è qualcuno qui attorno, se qualche esemplare ha deciso di andare a sud più presto, prima della grande ondata, è probabile che sia vicino alla riva. Oppure dietro di noi. A monte. Andremo avanti. Fate attenzione alla corrente. È forte e lo diventerà ancora di più. Seguitela. Ci sono rocce a ovest. Fate attenzione a quelle e guardate a est ogni tanto. Se vedete qualcosa di scuro nell’acqua da quella parte, gridate. Sarà una lucertola.
— Okay — dissi.
Aveva ragione. La corrente era forte. Sentivo la forza dell’acqua ogni volta che immergevo la pagaia. La barca prese velocità. Ulzai, ritto di fronte a me, non aveva alcuna difficoltà a tenersi in equilibrio. Il braccio era sollevato, la lancia in equilibrio a mezz’aria. Lanciava occhiate attorno, facendo particolare attenzione all’acqua dietro di noi. Doveva essere quella la zona di vero pericolo.
— Rocce — disse Nia. — Davanti a noi.
— Andate a est — ordinò Ulzai. — Siete troppo al largo.