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"Dicevano: ’Neppure Ulzai era in grado di uccidere tutti questi umazi. Ed era il miglior cacciatore. Tanajin ha ottenuto un aiuto che è fuori dell’ordinario. Forse uno spirito ruba la fortuna ai nostri figli e ai nostri fratelli’.

"Volevo gridare loro: ’Stupide, sono io quello che sta aiutando Tanajin. Ulzai il cacciatore! Non sono uno spirito!’. Ma non potevo dire nulla."

Nia fece il gesto dell’assenso. — Questo è ciò che capita quando si ascolta di nascosto. Si sentono cose che non si vogliono sentire. Ci si deve mordere la lingua.

Ulzai assunse un’aria furiosa. — Non criticarmi.

Per un istante o due Nia restò immobile. Poi fece il gesto dell’assenso, seguito da quello delle scuse.

Ulzai fece il gesto del riconoscimento. — Me ne andai e tornai di nuovo. Sentii altri pettegolezzi maligni. Dicevano che era pericoloso avvicinarsi alla casa di Tanajin di notte. Un umazi gigantesco stava in agguato nell’acqua scura sotto la piattaforma. Un uccello bianco stava appollaiato sulla sommità del tetto.

— Aiya! - esclamò l’oracolo.

— Sentii parlare un ragazzo. Non era molto grande. Lo capii dal suono della sua voce. Disse di aver guardato di sotto dalla casa di sua madre una notte in cui la luna era piena. C’era un uomo nel canale di casa, ritto in una barca che spingeva con una pertica verso la casa di Tanajin. La barca era piena delle pelli delle lucertole. L’uomo aveva guardato in su, disse il ragazzo. I suoi occhi splendevano come scintille di fuoco. Aveva aperto la bocca. La bocca era vuota. L’uomo non aveva lingua. Era Ulzai, disse il ragazzo. Ero io, ed ero morto. Tanajin aveva operato una magia e mi aveva fatto tornare dal luogo dove giacevo nell’acqua fredda della palude. Adesso lavoravo per lei.

"Stava mentendo" disse Ulzai. "Avrei voluto dargli del bugiardo. ’Sono Ulzai’ volevo gridare. ’Sono vivo e uso una pagaia e non una pertica.’"

— Uh! — esclamò Derek.

— Non so perché sia successo tutto questo. Perché lodavano mia madre? Perché dicevano cose malvagie sul conto di Tanajin? Tu lo sai? — domandò a Nia.

— No.

— Ero furioso. Decisi che non avrei più ucciso altri umazi. Me ne andai nelle paludi lontane e vissi di pesce. Il tempo si fece freddo. Cadde la pioggia. Mi presi la malattia che dà il tremito. L’avevo già avuta prima. Molti uomini se la prendono dopo che sono vissuti per un po’ di tempo nelle paludi. — Fece una pausa. — Questa volta era grave. Prima stetti troppo male per pescare. Poi stetti troppo male per mangiare. Restavo sdraiato nella mia imbarcazione sotto il mio mantello di pelle di umazi ben conciata. Cadeva la pioggia. Io tremavo e sognavo.

"Vennero le grandi lucertole, uscendo dalle paludi. Formarono un cerchio attorno a me. Parlarono. ’Perché hai smesso di cacciarci? C’è qualcosa di più magnifico di un umazi? Guarda i nostri denti aguzzi. Guarda i nostri artigli! Siamo enormi e terrificanti. Troverai mai una preda che meriti di più?’

"Cercai di rispondere. Mi battevano i denti e non riuscivo a parlare.

"’Sei diventato un codardo, Ulzai. Usi la tua lancia sui piccoli pesci. Temi le voci delle donne. Te ne resti sdraiato qui ad aspettare di morire della malattia del tremito.’

"’Siamo noi la tua morte. Non questa miserabile malattia. Ti prenderemo un giorno, ma solo se ci darai la caccia. Adesso alzati! Voga fino al villaggio. Va’ da Tanajin. Lei ti aiuterà. E quando starai bene, vieni a darci la caccia.’

"Si allontanarono nuotando e io mi alzai. Riuscivo a stento a stare seduto. Il mondo si muoveva in tondo attorno a me e volevo sdraiarmi di nuovo, ma non potevo. Gli umazi mi avevano detto che cosa fare.

"Vogai fino al villaggio. Arrivai durante il giorno, benché non me ne rendessi conto. Il mondo mi sembrava buio. Raggiunsi la casa di Tanajin. Legai la mia imbarcazione, ma non riuscii ad arrampicarmi.

"Fu lei a scendere. Le spiegai che le lucertole avevano detto che dovevo venire da lei. Erano loro la mia morte. Non potevo morire di nient’altro. Me l’avevano detto loro.

"Lei mi aiutò a salire la scala. Mi aiutò a entrare in casa e mi preparò un letto, lì, dentro le pareti della sua casa. Mi curò finché non ebbi superato la malattia.

"Questa è la conclusione della storia. Non potevamo restare al villaggio. Adesso lo sapevano, le vecchie, chi aveva aiutato Tanajin. Ulzai il cacciatore! Non c’era nessuna magia. Nessuno spirito maligno." Allargò le mani. "Soltanto Ulzai. Ulzai che non sarebbe morto. Che era venuto nel villaggio.

"Adesso erano furiose a causa di ciò. Sarei dovuto morire nelle paludi. Tanajin avrebbe dovuto lasciarmi nella barca."

Allungò la mano verso la brocca dove c’era stata la birra.

— È vuota — disse Derek.

Ulzai fece il gesto del rincrescimento. — Tanajin impacchettò le sue cose. Caricammo la mia imbarcazione. Ce ne andammo insieme.

— Perché? — domandò Nia.

— Tanajin aveva bisogno di aiuto. Non sapeva nulla della vita lontano dal villaggio. E io ero furioso. Non mi importava più niente delle opinioni dell’altra gente. Avevo tentato di tutto per guadagnarmi le lodi di quelle donne. Ero perfino stato disposto a morire da solo nelle paludi prima che gli umazi mi parlassero.

"Decisi che da quel momento in avanti avrei aiutato quelle persone che aiutavano me. E non avrei dato ascolto a nessuno." Fece una pausa. "Tanajin ha composto una poesia:

"Lascio

queste paludi.

Me ne vado lontano.

"Non vi sentirò

mai più,

o donne del villaggio,

"Fare rumori

come gli uccelli

fra le alte canne".

Fece il gesto che significava "così sia" oppure "è finita".

Restammo tutti in silenzio.

Ulzai si alzò in piedi. — Me ne vado fuori di nuovo. Forse tornerò questa notte. Forse no. — Uscì dalla grotta.

Derek cambiò posizione, sollevando un ginocchio e appoggiandovi il braccio. I suoi lunghi capelli erano sciolti in quel momento. Gli cadevano sulle spalle e aveva una ciocca negli occhi. Se la tirò indietro, poi si grattò il mento. — La prima cosa che farò quando saremo tornati sarà di sbarazzarmi di un po’ di questo pelame.

— Ma ne hai così poco! — disse Nia.

Avevo un’unghia seghettata e me la mordicchiai. — Non capisco la storia.

— Non devi capire niente — disse Derek.

— Perché le donne del villaggio provavano antipatia per Tanajin?

— Ci sono donne così — disse Nia. — Non vanno d’accordo con le altre. Forse amano litigare o forse si tengono in disparte dalle altre persone.

"Avevo un’amica quando ero giovane. Angai. Era la figlia della sciamana e aveva la lingua tagliente. Non piaceva quasi a nessuno. Parlavano di lei, sebbene non abitualmente quando io mi trovavo nei dintorni."

— Che cosa le è successo? — chiesi. — Ha fatto la fine di Tanajin?

Nia fece il gesto che significava "no". — Sua madre è morta e lei è diventata la nuova sciamana. Ti ho parlato di lei. Ne sono sicura.

— Non mi ricordo. Tu eri una persona come Tanajin?

— No — rispose Nia. — Io ero una persona comune. La gente non parlava di me. — Aggrottò la fronte. — Non credo che lo facessero. Non prima che scoprissero di me e di Enshi. Dopo è stato tutto diverso.

Sembrava a disagio. Cambiai argomento. Parlammo del tempo e poi del fiume. Ulzai non tornò. Il fuoco si consumò e divenne un mucchio di braci da cui saliva ancora un sottile filo di fumo che si avvolgeva a spirale fra le foglie. Mi coricai, restando ad ascoltare gli altri. Le loro voci si fecero più sommesse e lontane finché le loro parole persero significato.

Derek mi svegliò il mattino dopo. — Muoviti. Ulzai dice che sarà una lunga giornata.

Mi rigirai e gemetti. L’aria era umida e mi dolevano le braccia. Andai fuori a orinare.

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