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— Quanto ce n’è ancora? — domandò Nia.

Tanajin fece il gesto della fine o del completamento. — Questo è l’ultimo ramo. Non c’è un buon passaggio attorno alle isole e se cerco di attraversare tutto il fiume in una sola volta, la zattera viene trascinata troppo a valle. Lo so. Ci ho provato.

Nia disse: — Le persone senza pelo hanno una barca che si muove da sola come se avesse zampe o pinne.

— Si tratta di magia?

— No. È spinta dal fuoco, anche se non capisco come.

Tanajin fece il gesto dello stupore, ma non sembrava sorpresa, soltanto stanca.

Attraversarono l’ultimo ramo del fiume. Il sole era già sparito, ma il cielo era ancora pieno di luce. L’aria era quasi stagnante, satura dell’odore del fiume e del cornacurve, che aveva lasciato un mucchio di sterco sui tronchi vicino a Tanajin.

— Fa’ attenzione al tuo animale — disse la donna.

— Faccio del mio meglio.

Raggiunsero la riva e tirarono in secco la zattera. Il cielo si era fatto buio. S’incamminarono verso nord lungo il fiume finché non arrivarono alla casa di Tanajin.

Nia condusse Macchia Bianca sul retro. Tolse la sella al castrato e lo legò, usando una corda di cuoio. C’erano anche gli altri due cornacurve, che pascolavano fra la bassa vegetazione. Tornò sul davanti dell’abitazione. Tanajin aveva acceso il fuoco.

Mangiarono senza parlare. Quando ebbero finito, Tanajin entrò nella tenda. Tornò portando una coperta. — Non ti voglio dentro la mia casa, Nia. Sono in collera per la notizia che mi hai portato. Perché Ulzai è il solo che non è ricomparso?

Nia fece il gesto del dubbio.

Tanajin entrò.

Nia si coricò. Gli insetti le ronzavano attorno. La morsicarono nei punti in cui la pelliccia era sottile: sui bordi delle mani, sulla punta delle orecchie. Si tirò su la coperta finché non la riparò del tutto e sognò di essere intrappolata in un luogo buio: una grotta o una foresta. Attorno a lei c’erano persone che parlavano e si muovevano. Non riusciva a vederle e non conosceva la loro lingua.

Si svegliò all’alba. Tanajin uscì dalla tenda e riaccese il fuoco. Mangiarono poltiglia.

Tanajin disse: — Ho sognato Ulzai. Aveva i vestiti fradici e la sua pelliccia grondava acqua. Mi ha parlato. Non sono riuscita a capire le sue parole.

— Ho sognato anch’io — disse Nia.

— Che cosa?

— Oscurità. Ero intrappolata. E c’erano persone. Non so quali persone. Parlavano. Non riuscivo a capirle.

— Questi sono brutti sogni. C’è bisogno di una cerimonia di prevenzione. — Tanajin aggrottò la fronte. — Ci sono momenti in cui penso che questo non sia un modo di vivere. Non ho parenti femmine. Non ho una sciamana. Adesso se ne è andato anche Ulzai.

Nia fece il gesto del cortese assenso. — Hai detto che hai degli utensili. Ho intenzione di iniziare a erigere un posto per lavorare.

Tanajin fece il gesto dell’intesa.

Nia costruì una fucina più a valle della tenda. Ci vollero nove giorni di duro lavoro. Il tempo rimase lo stesso. C’erano insetti ogni notte. Tanajin raccoglieva legna viva e la metteva sul fuoco. Il fumo scacciava la maggior parte degli insetti. Nia era troppo esausta per preoccuparsi se ne rimaneva qualcuno.

Ogni mattina si svegliava irrigidita, ma l’indolenzimento lentamente passava. Il vero problema erano le mani. Sulle palme dove i calli si erano assottigliati le si formavano vesciche. Queste si rompevano e la carne sotto era rossa e tenera. Si avvolse pezze di stoffa fra le dita e sui palmi. Aiya! Questo la rendeva maldestra. Ma continuò a lavorare.

— Non è necessario che ti affretti — le disse Tanajin.

— Mi piace. Capisco quello che sto facendo. Da tanto tempo non ero in grado di dire una cosa del genere. — Fece una pausa, cercando di pensare a un modo di spiegarsi. — Questa è la cosa che faccio. È il mio dono.

Tanajin fece il gesto della dubbiosa comprensione.

Il giorno in cui la fucina fu completata successe qualcosa di strano. Apparve una nuvola. No. Una scia di fumo. S’innalzò da sud, muovendosi diagonalmente verso ovest e formandosi con sorprendente rapidità. Diverso da qualsiasi tipo di fumo che Nia avesse mai visto. Andava sempre più su. Nia si riparò gli occhi con la mano. C’era qualcosa sulla punta della nube? Qualcosa che lasciava la scia di fumo? Era piuttosto improbabile.

Restò in ascolto. Non si udì il fragore del tuono e nel cielo non c’era niente all’infuori della scia che era salita così in alto che non riusciva più a vederne la fine.

— Uh! — Tornò al suo lavoro.

Alla sera fece ritorno a casa di Tanajin. La donna era seduta accanto al fuoco e cucinava pesce in umido in una pentola appesa a un treppiede.

— Che cosa è stato? — domandò a Nia.

— La nuvola? Non ne sono certa. Ma la gente senza pelo si trova a sud di qui. — Nia si grattò il naso. — Mi chiedo quante isole ci siano nel lago. Vorrei avere una scatola parlante. Lo chiederei all’oracolo o a Li-sa.

Tanajin fece il gesto della domanda.

Nia le parlò delle isole che cadevano dal cielo. — Vengono giù con gran rumore. Forse salgono facendo fumo.

Tanajin fece il gesto del dubbio. — Molte cose cadono dal cielo. Pioggia di diversi colori, neve, grandine, pezzi di ferro e di pietra. Non ho mai sentito parlare di niente che tornasse su. Soltanto il fumo sale.

Nia fece il gesto che significava "non pensi a quello che dici". — Quando i demoni del fuoco sono attivi, le montagne scagliano in alto pietre, che possono viaggiare per lunghe distanze. Nello stesso tempo salgono la cenere e il fuoco.

— Credi che queste persone siano una specie di demoni?

— No. Credo che abbiano utensili che non assomigliano affatto ai nostri utensili, e strane cose accadono attorno a loro.

Tanajin fece il gesto del cortese dubbio. — Sono disposta a credere che le montagne sputino in aria pietre, anche se non l’ho mai visto fare da nessuna. Ma non sono disposta a credere che un lago possa sputare isole verso il cielo.

Il giorno seguente Nia incominciò a riparare gli utensili che appartenevano a Tanajin. Da est arrivarono viaggiatrici: otto donne che appartenevano al Popolo della Pelliccia e dello Stagno.

Tanajin le traghettò al di là del fiume. Le ci vollero due giorni. Quando tornò, disse: — Tornavano dopo aver fatto visita al Popolo dell’Ambra! Una visita spiacevole! Laggiù stavano litigando tutte. Una cerimonia era stata rovinata e si stavano scambiando accuse.

Nia rabbrividì e fece il gesto per evitare conseguenze sgradevoli.

Tanajin continuò. — Hanno visto la nuvola nel sud. Ho raccontato loro della gente senza pelo. Ho detto che sapevo dell’esistenza di quelle persone. Le avevo viste. Ma non avevo visto cadere dal cielo nessuna isola. Ho spiegato loro che quella notizia proveniva da Nia la lavoratrice del ferro.

— Hai fatto il mio nome?

Tanajin fece il gesto che significava "non preoccuparti". — Ho detto che venivi dall’est. Non hanno capito che sei la donna che amava un uomo.

— Meno male — osservò Nia.

Continuò a lavorare alle cose di Tanajin. Il tempo si mantenne caldo e luminoso. Il tempo dell’estate inoltrata. Il terreno era arido, perfino in prossimità del fiume. Sulla pianura tutto sarebbe stato coperto di polvere. Il villaggio, in viaggio, avrebbe sollevato grandi nubi scure.

Di notte il disegno di stelle chiamato Grande Carro scagliava molte frecce. Era una cosa normale. Quelle frecce apparivano alla fine di ogni estate. I Ragazzini Che Non Crescono Mai viaggiavano sul carro della loro madre, lanciando frecce con i loro archi. Aiya! Quando li acchiappava!

Nia finì con le pentole di Tanajin e incominciò a lavorare alla propria attrezzatura: morsi, anelli delle selle, coltelli che andavano affilati, punteruoli che non perforavano più niente. Tanajin aveva un rotolo di filo di ferro. Nia fabbricò degli aghi.

Di quando in quando vedeva nuvole di quella nuova specie: lunghe e sottili. Di solito erano a sud o sud-ovest. Si formavano rapidamente come la prima nuvola, e avevano la stessa forma, ma non salivano verso la sommità del cielo. Invece erano orizzontali. Era più facile vederle di sera. Il sole le illuminava da sotto. Risplendevano come striscioni colorati: rossi, gialli, color porpora, arancione, rosa. A volte a Nia sembrava di riuscire a scorgere il luccichio del metallo. La cosa che luccicava era sempre all’estremità anteriore della nuvola, nel punto dove questa iniziava.

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