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Mi ispezionò attentamente. — No, non è vero.

— Voglio andare nell’Eden.

— Di’ al Capo della Polizia Randall che se vuole chiuderci dentro, lui, lo deve fare e basta. Non c’ha bisogno di nessun Mulo che viene qui facendo finta che è malato, lui, se non lo è. — La donna pronunciò queste parole senza rancore, dolcemente.

— Giù nella tana del coniglio — dissi io. — "Mangiate di Me", "Bevete di Me". — Al che, naturalmente, lei non fece una piega.

Mi diressi verso un monitor di informazioni ferroviarie e chiesi notizie sulle partenze dei treni. Era rotto. Provai con un altro. Al quarto tentativo un monitor funzionante mi rispose.

Il binario 25 si trovava in un’altra sezione della stazione. Lì c’era maggiore attività, anche se non più spazzatura a terra. Tre tecnici stavano lavorando su un treno. Mi sedetti a gambe incrociate sul pavimento, senza rivolgere loro la parola, finché non ebbero terminato. Ripararono solamente quel treno, quindi se ne andarono, con un’espressione stanca in viso. Colin Kowalski e Kenneth Koehler sapevano dove sarei andata.

Ero l’unico passeggero. Il treno era un diretto. Il tramonto era appena all’inizio quando scesi sulla deserta via principale di East Oleanta.

L’appartamento di Annie su Jay Street era vuoto, la porta socchiusa. Non era stato preso nulla. Non l’orrendo e sgargiante arazzo, non i secchi dell’acqua, non i cuscini in plasti-stoffa, non la bambola mezza rotta di Lizzie. Entrai e mi stesi sul letto di Lizzie. Dopo qualche tempo mi diressi al caffè.

Non c’era nessuno nemmeno lì. La catena del cibo era ferma e vuota, l’olo-terminale spento. Il caffè non era stato distrutto. Era solamente stato evacuato, come il resto del paese. Il governo voleva che tutti gli estranei venissero allontanati per qualche tempo, il che non includeva me. Non ero un’estranea. Dal loro punto di vista ero una delle cinque persone più importanti del mondo: quattro laboratori biologici ambulanti e la loro scienziata pazza prigioniera. Ero io il gestore del laboratorio, così come lo erano probabilmente gli altri tre. Dovevo soltanto aspettare che arrivassero.

Prima che mancasse la luce, camminai in mezzo alla neve fino alla piatta e pietrosa sponda del fiume dove Billy aveva spostato il coniglio marrone zampa bianca con il bastone che Lizzie gli aveva regalato. Il coniglio era sparito. Rimasi seduta a lungo sull’argine, fissando l’acqua fredda, finché il sole non fu tramontato e la pietra mi raggelò il sedere.

Passai la notte nell’appartamento di Annie, sul divano. L’unità di riscaldamento funzionava ancora. Anche se mi svegliai spesso durante la notte, fu soltanto per brevi periodi. Non si trattava di una vera e propria insonnia. Ogni volta, mi misi in attento ascolto, nell’oscurità. Non c’era nulla da sentire.

Una volta, per un impulso semi-conscio, mi toccai le orecchie. I buchi per gli orecchini si erano chiusi. Mi passai un dito sulla coscia, alla ricerca di una cicatrice che mi ero provocata in una caduta durante l’infanzia. La cicatrice era sparita.

Passai la mattina successiva a guardare l’olo-terminale. Bannock Falls, in Ohio, era stata spazzata via dalla pestilenza in ventiquattro ore. I robot con telecamera mostravano i corpi morti lì dove erano caduti, fuori dal Caffè Senatrice Ellen Piercy Devan, stesi gli uni sugli altri con addosso pesanti tute invernali, come vittime della peste bubbonica del Quattordicesimo secolo.

A Jupiter, in Texas, i Vivi si erano scatenati in una rivolta, facendo saltare in aria la loro cittadina con esplosivi nano-tecnologici che non dovevano, non potevano, avere posseduto. La gente del paese aveva promesso di calare su Austin se non fossero stati inviati loro 450.000 cubiti di cibo, apparentemente una unità di misura biblica, nel giro di ventiquattro ore.

L’enclave di Muli di Chevy Chase nel Maryland si era autoimposta una quarantena: nessuno dentro, nessuno fuori.

La maggior parte dell’Europa, del Sud America e dell’Asia aveva imposto l’embargo su qualsiasi cosa provenisse dal Nord America: violazioni punite con la pena capitale. La metà dei paesi sosteneva che gli embargo stessero funzionando e che i proprio confini fossero puliti; l’altra metà reclamava risarcimenti legali per le proprie infrastrutture in rovina e per la morte dei cittadini. Gran parte dell’Africa rivendicava entrambe le cose contemporaneamente.

Washington D.C., all’esterno della Enclave Federale Protetta, era in fiamme. Era difficile capire quanta parte del governo fosse rimasta per poter accogliere ì reclami di risarcimenti legali.

Timonsville in Pennsylvania era scomparsa. L’intero paese di duemila e trecento persone aveva semplicemente fatto le valigie e si era disperso. Questo era il massimo che i notiziari arrivavano ad accennare rispetto agli immensi cambiamenti riguardanti dove la gente andasse o perché o quali microrganismi portasse con sé nelle diaspore.

Nessuno menzionò anche solo lontanamente East Oleanta.

Nel pomeriggio cominciò a nevicare, anche se la temperatura era appena al di sopra dello zero. Avevo pensato di fare una passeggiata fra le montagne, in cerca del luogo in cui Billy ci aveva condotto oltre un mese prima, ma il tempo lo rese impossibile.

Giacqui sveglia tutta la notte, ascoltando il silenzio.

La mattina dopo feci una doccia ai Bagni Pubblici Salvatore John DeSanto che stavano misteriosamente funzionando di nuovo. Ritornai quindi al caffè. East Oleanta era ancora deserta. Sedetti sul bordo di una sedia, come una diligente scolaretta Mulo e guardai l’olo-terminale mentre il mio paese si disintegrava per la carestia, la pestilenza, la morte e la guerra e il resto del mondo mobilitava le sue tecnologie più avanzate per sigillarci all’interno dei nostri confini. Se c’erano altre notizie, gli olo-canali non le riportavano. Alle undici del mattino soltanto tre canali trasmettevano ancora.

A mezzogiorno avvertii un improvviso, sopraffacente bisogno di andarmi a sedere presso il fiume. Questo bisogno mi colpì con la forza di una rivelazione religiosa. Non era appellabile. Dovevo andarmi a sedere presso il fiume.

Una volta lì, tolsi i vestiti, un atto così poco usuale e tuttavia irrefrenabile come un attacco di diarrea in pubblico. C’erano appena due o tre gradi e brillava il sole, ma ebbi la sensazione che non me ne sarebbe importato nemmeno se fossimo stati sotto zero. "Dovevo" togliere i vestiti. Lo feci e mi distesi su una chiazza di fango superficiale.

Giacqui sulla schiena nel fangoallentato dal sole, tremando violentemente per forse sei o sette minuti. Alcuni sassi mi premettero contro le scapole, la parte posteriore delle cosce, il fondo schiena. Il fango del fiume aveva un odore pungente. Era freddo. Non mi ero mai sentita così a disagio in vita mia. Rimasi stesa lì, con un braccio sopra la faccia per schermare gli occhi dalla scintillante luce del mezzogiorno, riluttante a muovermi. Incapace di un gesto. Poi tutto terminò e, ancora rabbrividendo, mi sedetti e mi rivestii.

Era finito.

"Mangiami" diceva la fialetta che Alice aveva trovato sul fondo della tana del coniglio. "Bevimi."

Erano passati due giorni interi da quando avevo divorato il pollo col riso e i genuini piselli novelli nell’ospedale governativo di Albany. Non mi ero sentita affamata: scioccata, ansiosa, depressa. Tutte queste cose possono bloccare l’appetito. Il corpo tuttavia ha bisogno di carburante. Anche quando la fame è assente, i livelli di glucosio crollano. Ci sono depositi nascosti di amido nel fegato e nei muscoli, ma alla fine anche quelli vengono consumati. Il sangue ha bisogno di nuove fonti di glucosio da inviare al corpo.

Il glucosio non è altro che atomi. Carbonio, ossigeno, idrogeno. Combinati in un modo nel cibo, combinanti in un altro modo nel fango, nell’acqua e nell’aria esattamente come l’energia esiste sia sotto forma di legami chimici sia, in un’altra forma, come luce solare.

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