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L’opinione della maggioranza fece di tutto tranne che stamparsi sulla bandiera americana. Sicurezza per i cittadini statunitensi, sacra fiducia, conservazione dell’identità del genere umano, bla, bla, bla. Tutto quello che, in effetti, mi aveva spinto a unirmi all’ECGS nel giorno in cui Katous si era scaraventato giù dal balcone.

A un livello più profondo, credevo ancora che l’opinione della maggioranza fosse giusta. La biotecnologia non regolamentata possedeva un incredibile potenziale distruttivo. Nessuno poteva realmente regolamentare la biotecnologia di Huevos Verdes perché nessuno riusciva realmente a comprenderla. L’intelligenza dei Super-Insonni e la protezione americana dei brevetti si combinavano per assicurarlo. Se non la si poteva regolamentare, meglio tenerla del tutto fuori dal paese.

Lasciai l’aula del tribunale profondamente depressa. Scoprii immediatamente che la mia ignoranza sulla biologia cellulare non era la mia sola e peggiore ignoranza. Pensavo di essere una cinica. Il cinismo, però, è come il denaro: c’è sempre qualcun altro che ne ha più di te.

Mi sedetti sui gradini del Tribunale Scientifico, con la schiena appoggiata a una colonna dorica dello spessore di una piccola sequoia. Soffiava un debole vento. Due uomini si fermarono al riparo della colonna per accendere pipe di sole, una sostanza stupefacente: avevo notato che alla gente dell’Est piaceva fumarla. In California preferivamo berla. Gli uomini, modificati geneticamente nella bellezza, indossavano i severi abiti neri senza maniche che andavano di moda al Campidoglio. Mi ignorarono entrambi. I Vivi notavano immediatamente che non ero una di loro, ma i Muli guardavano raramente al di là delle tute e dei gioielli di latta. Erano motivi sufficienti per il disinteresse.

— Allora quanto pensi che manchi? — chiese un uomo.

— Tre mesi fino al mercato, forse. Immagino che verrà dalla Germania o dal Brasile.

— E se Huevos Verdes non lo facesse?

— John, perché non "dovrebbero"? Ci si può fare una fortuna e quella Sharifi non è una pazza. Io controllerò con grande attenzione la tendenza degli investimenti.

— Sai, non mi interessa nemmeno troppo del fattore investimenti — la voce di John era mesta. — Lo vorrei soltanto per Jana, me e le bambine. Jana ha quelle cisti che vanno e vengono da anni, quello che abbiamo per adesso riesce soltanto a contenerle.

L’altro uomo appoggiò una mano sul braccio di John. — Controlla il Brasile. Ci scommetterei. Sarà una cosa veloce, più veloce che se non l’avessimo patentata qui. E senza tutte le complicazioni di ogni maledetto paese di Vivi che lo pretende per la propria unità medica a costi impossibili.

Accese le pipe, si allontanarono.

Rimasi lì seduta meravigliandomi della mia stupidità. Era ovvio. Rifiutare il Depuratore Cellulare per lo sviluppo americano, creare un immenso capitale politico per la "protezione" dei Vivi, risparmiare uno sbalorditivo ammontare di crediti non offrendo il farmaco rivoluzionario alla propria giurisdizione politica e, quindi, acquistarlo per se stessi e i propri cari Oltreoceano. Ovvio.

Il popolo deve controllare scienza e tecnologia.

Forse il dottor Lee Chang aveva ragione. Forse il Depuratore Cellulare sarebbe andato a male e li avrebbe uccisi tutti. Tutti meno i Vivi, che a quel punto si sarebbero sollevati per formare uno stato giusto e umano.

Già. Giusto. La madre di Desdemona e gli altri Vivi che avevo visto sul treno, messi a controllare una biotecnologia che potrebbe alla fine alterare la razza umana in qualcosa d’altro. I ciechi geni uniti, alla cieca. Giusto.

L’inerzia, cugina di primo grado della depressione, mi afferrò. Rimasi lì seduta, prendendo freddo, finché il cielo non si scurì e il sedere non cominciò a dolermi per il marmo duro. Il portico era deserto da moltissimo tempo. Lentamente, irrigidita, issai il corpo sulle gambe, ed ebbi il primo colpo di fortuna da settimane.

Miranda Sharifi stava scendendo lungo gli ampi gradini, mantenendosi in ombra. Il volto non era il suo e la tuta marrone non era la sua e io l’avevo vista salire insieme con Leisha Camden su un aeromobile che era partito due ore prima inseguita da mezza Washington. Questa Viva aveva la pelle chiara, il naso largo e corti capelli biondo cenere. E allora perché ero così sicura che si trattasse di Miranda? Forse per la testa grossa e la punta di un nastro rosso che, con le lenti focalizzate a zoom, vidi far capolino dalla sua tasca posteriore. Oppure, forse, era solo che avevo bisogno che fosse lei, e che la "Miranda" che era partita con Leisha Camden fosse una sosia.

Mi infilai la mano in tasca per prendere il sensore a infrarossi a media gittata che mi aveva dato Colin Kowalski e lo puntai furtivamente su di lei. Esso superò la scala. Miranda o no, quella persona aveva il metabolismo accelerato di un Super-Insonne. E non c’era alcun agente dell’ECGS in vista.

Non che avrei potuto vederne.

Mi rifiutai tuttavia di cedere al pessimismo. Miranda era mia. La seguii alla stazione della ferrovia a gravità, soddisfatta di come mi stesse tornando in mente, con facilità, tutto il mio vecchio addestramento. Salimmo su un treno locale diretto a nord. Ci accomodammo in una carrozza affollata e maleodorante con così tanti bambini che sembrava quasi che i Vivi dovessero riprodursi lì sul pavimento sporco.

Ci fermammo ogni venti minuti circa in qualche oscura cittadina di Vivi. Non osai dormire: Miranda poteva scendere da qualche parte senza di me. E se il viaggio fosse durato giorni? Arrivati al mattino mi ero abituata a sonnecchiare fra una fermata e l’altra, il mio inconscio allertato. In una pausa sognai di avere perduto Miranda e che il Tribunale Scientifico mi aveva messo sotto processo per inutilità nei confronti dello stato. Il peggiore fu il sogno in cui mi veniva iniettato il Depuratore Cellulare e mi rendevo conto che in effetti era chimicamente identico al detersivo industriale usato dal mio robot delle pulizie nell’enclave di San Francisco e che ogni cellula del mio corpo si stava dolorosamente sciogliendo in candeggina e ammoniaca. Mi svegliai boccheggiando, il mio volto appariva distorto contro il vetro nero.

In seguito rimasi sveglia. Osservai Miranda Sharifi mentre il treno a gravità, miracolosamente privo di guasti, scivolava attraverso le montagne della Pennsylvania e dentro lo Stato di New York.

7

Drew Arlen — Seattle

C’era una grata nella mia testa. Non riuscivo a farla andare via.

La sua forma vi fluttuava ormai costantemente, assomigliando parzialmente ai graticci su cui si arrampicano le rose. Era del color porpora scuro che assumono gli oggetti nel tardo tramonto quando è difficile distinguere di che colore sia effettivamente qualsiasi cosa. Miri mi ha detto una volta che nulla ha "realmente" un colore, era tutta questione di "lunghezza d’onde riflesse accidentale". Non capii quello che intendeva dire. Per me i colori sono troppo importanti per essere accidentali.

La grata si piegava e si chiudeva su se stessa formando un cerchio. Non riuscivo a vedere che cosa c’era all’interno del cerchio, anche se la grata aveva fori a forma di rombo. Tutto ciò che si trovava all’interno rimaneva completamente nascosto.

Non sapevo che cosa fosse quel segno grafico. Non mi suggeriva assolutamente nulla. Non riuscivo a costringerlo a suggerirmi qualche cosa, a cambiarne la forma o a farlo andare via. Non mi era mai successo in precedenza. Io ero il Sognatore Lucido. Le forme che provenivano dal mio inconscio profondo erano sempre cariche di significato, sempre universali, sempre malleabili. Io le modellavo. Le portavo in superficie, al mondo conscio.

Guardai l’ultimo giorno di Miri al Tribunale Scientifico sull’olo-visore in una camera d’albergo a Seattle, dove avevo in programma di dare il concerto revisionato de Il Guerriero il pomeriggio successivo. Le robo-camere zoomarono su Leisha e Sara mentre le due salivano sull’aeromobile sopra il tetto del Foro. Sara aveva esattamente lo stesso aspetto di Miri. L’olo-maschera sul suo volto, la parrucca, il nastro rosso. Camminava perfino come Miri. Gli occhi di Leisha avevano l’espressione tesa che stava a significare che era furiosa. Aveva già scoperto lo scambio? Forse lo avrebbe saputo in auto. Leisha non l’avrebbe presa bene. Nulla la frustrava di più di quando le si mentiva, forse perché lei era tanto sincera con se stessa. Ero felice di non trovarmi lì.

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