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— Non… — Miles deglutì saliva, massaggiandosi la gola, — non che io mi lamenti, intendiamoci, ma perché non la fai finita e spari anche a me?

Cavilo ebbe una smorfia. — Una vendetta rapida è meglio di niente, ma una lenta è migliore… purché si viva abbastanza da vederla arrivare. Sarà per un'altra volta, ragazzo. — Abbassò il distruttore neuronico come per infilarlo in una fondina, che però non aveva; allora lasciò pendere il braccio lungo il fianco. — Tu hai promesso che in cambio dei miei mercenari mi avresti fatta uscire salva dal Mozzo Hegen, Lord Vor. E io credo che sarai abbastanza stupido da mantenere la tua parola. Non che mi lamenti, intendiamoci. Certo, se Oser avesse dato un distruttore neuronico anche a me, invece di farne gentile dono a Metzov insieme al codice della serratura di questa porta, e se mi avesse presa a bordo come lo supplicavo, forse ora quella navetta avrebbe un altro padrone e si starebbe allontanando su un'altra rotta… molto più sicura. E le cose sarebbero diverse.

Già, alquanto diverse. A passi pesanti, e stancamente, Miles andò ad accendere l'interfono e chiamò la sicurezza. Cavilo lo guardava con aria pensosa. Dopo un poco, mentre aspettavano che la squadra arrivasse, la donna gli si avvicinò. — Quel giorno, in quell'albergo… qualcosa mi diceva che sottovalutare un tipetto strano come te poteva essere uno sbaglio.

— Io non ti ho sottovalutato mai.

— Lo so. Non ho l'abitudine di dirlo spesso, ma… grazie. — Con gesto sprezzante gettò il distruttore neuronico sul cadavere di Metzov. Poi si girò, lasciando balenare un attimo il candore dei suoi denti; passò un braccio intorno al collo di Miles e lo baciò voluttuosamente sulla bocca. La sua scelta di tempo era stata perfetta: condotta da Elena e dal sergente Chodak, ad armi spianate, la squadra della sicurezza fece irruzione nell'alloggio.

Equilibrandosi sulle irregolarità gravitazionali del tubolare di collegamento Miles lasciò la navetta e passò a bordo del Principe Serg. Uscito dal compartimento stagno guardò con invidia il largo corridoio, scintillante di luci, ai lati del quale era allineata sull'attenti la guardia d'onore, e gli eleganti ufficiali nell'impeccabile uniforme verde del Servizio Imperiale che li stavano aspettando. Si volse a gettare un'occhiata ansiosa ai suoi mercenari in bianco e grigio. La vecchia Triumph, orgoglio dei Dendarii, sembrava piccola e sporca e malconcia a paragone di quel lusso.

Già, ma voi ragazzi non avreste segnato il punto se noi non avessimo portato la palla attraverso tutto il fango che c'era nel campo, cercò di consolarsi.

Tung, Elena e Chodak stavano gongolando come turisti appena entrati nell'albergo di lusso dei loro sogni, e lui dovette richiamarli all'ordine con un gesto perché ricevessero e restituissero lo scattante saluto militare dei loro ospiti.

— Signori, sono il comandante Natochini, ufficiale esecutivo del Principe Serg - si presentò l'ufficiale più anziano. — Ammiraglio Naismith, il tenente Yegorov, qui, scorterà lei e la comandante Bothari-Jesek dall'ammiraglio Vorkosigan, che vi sta aspettando. Commodoro Tung, se me lo permette io condurrò personalmente lei e la sua scorta in visita al Principe Serg, e avrò il piacere di rispondere alle sue domande. Sempre che non riguardino particolari tecnici riservati, naturalmente.

— Naturalmente. — Il largo volto di Tung espresse impazienza e compiacimento. In effetti, se non si fosse subito tolto le sue curiosità sarebbe esploso.

— Più tardi saremo a pranzo con voi e l'ammiraglio Vorkosigan alla mensa ufficiali — disse Natochini a Miles. — I nostri ultimi ospiti a cena sono stati il Presidente di Pol e il suo staff, dodici giorni fa.

Certo che i mercenari apprezzavano al giusto valore un simile privilegio, l'ufficiale esecutivo accennò a Tung e a Chodak di seguirlo e si avviò lungo il corridoio. — A pranzo con l'ammiraglio Vorkosigan, eh? Bene, bene… — mormorò Tung, affiancandolo a passi marziali.

Il tenente Yegorov scortò Elena e Miles nella direzione opposta. — Lei è di Barrayar, signora? — domandò alla giovane donna, poiché la cortesia imponeva una conversazione formale.

— Mio padre è stato per diciotto anni vassallo-giurato e armiere del Conte Piotr — rispose lei. — È morto al servizio di Casa Vorkosigan.

— Capisco — disse rispettosamente l'ufficiale. — Lei è intima della famiglia, allora. — Questo spiega perché l'ammiraglio ti ha invitata, parve a Miles di sentirlo pensare.

— Oh, sì.

Yegorov considerò con sguardo incerto quello che aveva sentito chiamare «ammiraglio Naismith». — Mi sembra… uh, di aver capito che lei è di Beta, signore.

— Per parte di madre, ragazzo — disse lui, con smaccato accento betano.

— Ah… in tal caso lei potrà accorgersi che noi barrayarani diamo più importanza a certe formalità — lo avvertì il tenente. — Il Conte Vorkosigan, come lei capirà, è abituato ai modi deferenti dovuti al suo alto rango.

Miles annuì, deliziato dalla cautela con cui il solerte ufficiale cercava un modo per dirgli: «Rivolgiti a lui col suo titolo, non asciugarti il naso su una manica, e non azzardarti a offendere un nobile con i tuoi stupidi atteggiamenti democratici betani».

— Sono certo che lei si renderà conto, nel conoscerlo, che il Conte è una persona di notevoli doti.

— Un bravo politicante, eh? Sì, così si dice.

Il tenente si accigliò. — È un grand'uomo. Anche dal punto di vista umano…

— Sicuro. Scommetto che a tavola, dopo qualche bicchiere, anche lui sa sbottonarsi abbastanza da raccontare qualche barzelletta spinta, come tutti noi. Me ne sono preparato un paio che gli piaceranno sicuramente. Lei crede che la sappia quella del cannibale e della bella missionaria naufragata nella giungla?

Il sorrisetto educato di Yegorov si congelò. Elena diede energicamente di gomito a Miles e sussurrò con enfasi: — Ammiraglio, contegno!

— Oh, sì, mi scusi — sospirò lui, rammaricato.

Yegorov lanciò ad Elena uno sguardo di gratitudine, al disopra della sua testa.

Miles ammirò lo stile con cui elementi lussuosi si mescolavano alle attrezzature di bordo. Il Principe Serg era stato progettato per la guerra quanto per la diplomazia; una nave fatta per ospitare l'Imperatore durante le visite di stato senza perdere nulla in efficienza bellica. All'incrocio con un corridoio dove c'erano dei pannelli aperti vide un giovane alfiere che dirigeva alcune piccole riparazioni… no, santo cielo, stavano montando apparecchiature nuove di zecca. Il Principe Serg aveva lasciato l'orbita con molti tecnici del cantiere ancora a bordo. Si volse a guardarlo. Potrei esserci io al tuo posto, amico, se non fosse stato per il generale Metzov. Gli sarebbe bastato tenersi fuori dai guai per sei mesi, all'isola Kyril… Miles scosse il capo. Ma a quel pensiero aveva sentito un illogico fremito d'invidia per l'indaffarato alfiere.

Salirono ai livelli superiori. Il tenente Yegorov li condusse in un'anticamera e poi in un ufficio largo il doppio di qualunque altro Miles ne avesse mai visto su un'astronave barrayarana. Seduto dietro un'ampia scrivania piena di elettronica, il Conte ammiraglio Aral Vorkosigan alzò lo sguardo, mentre i due pannelli della porta si aprivano in silenzio.

Miles attraversò la soglia, mentre d'un tratto il cuore gli balzava in gola. Per nascondere l'emozione parlò ad alta voce: — Ehilà, ammiraglio! Da quanto vedo in giro, non si può dire che il lusso ti dia fastidio, eh? Bel posticino. Bada però che i troppi agi fanno mettere su pancia.

— Ah, ragazzo! — Il Conte Vorkosigan si alzò, urtando contro un angolo della scrivania nella fretta di girarci intorno, come se non vedesse dove metteva i piedi. Non c'è da stupirsene. Mio Dio, ha gli occhi pieni di lacrime. Lo abbracciò con forza e lo strinse a sé. Miles sorrise e deglutì un groppo di saliva, con una guancia premuta sul freddo tessuto verde della sua uniforme, e quasi perse ogni compostezza quando l'ammiraglio lo guardò ansiosamente da capo a piedi, tenendolo per le spalle.

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