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— Credo di sì, signore.

— Bene, proceda pure. Chiudo. — Spense l'intercom e lo guardò con vago stupore, come se si fosse trasformato nella Lampada di Aladino. — Se il destino ha messo da parte per dopodomani i guai da cui mi ha salvato oggi, quella sarà una giornata memorabile.

— Tu credi?

— Oh, sì. Avrò un'occasione molto più pubblica e molto più spettacolare per lasciarci la pelle. E potrei portare con me qualche migliaio di persone.

— Cerca di non librarti nei tuoi soliti sciocchi voli di fantasia, ora. Non ne hai il tempo. — Elena tolse di tasca l'ipospray e controllò la carica del serbatoio. — Devi pensare a come toglierci da questo guaio.

— Sissignora — annuì docilmente lui, sfregandosi le mani. Cosa ne è stato del «Sì, mio Lord» e del «Sì, ammiraglio?» Nessun rispetto… Ma ne fu stranamente confortato. — A proposito, quando Oser ha arrestato Tung per aver organizzato la mia fuga, perché non se l'è presa anche con te, Arde, Chodak e gli altri?

— Non è stato per questo che ha messo Tung agli arresti. O almeno, non credo. Stava maltrattando Tung a parole, come al solito, ma stavolta mentre erano entrambi in plancia e davanti a tutti. A un certo punto Tung ha perso le staffe e lo ha colpito, mandandolo a rotolare sul ponte. Ho sentito dire che ci sono voluti quattro uomini per staccare le sue mani dalla gola di Oser.

— Allora la cosa non aveva niente a che fare con noi? — Questo era un sollievo.

— Be'… non ne sono sicura. Io non c'ero. Può esser stata una diversione d'emergenza, per impedire a Oser di completare qualche pericolosa deduzione. — Elena accennò col capo all'ammiraglio, che seguitava a sorridere blandamente. — Che ne facciamo di lui?

— Lo lasciamo così com'è, finché Tung non sarà qui. Sembra felice di andare tanto d'accordo con noi, no? — Miles sorrise. — Ma per l'amor di Dio, facciamo che non debba parlare con nessuno.

— Signore? Sono il caporale Meddis — disse l'intercom della porta. Elena si spostò dietro la sedia di Oser e gli poggiò una mano su una spalla, cercando di apparire docile al cospetto della sua autorità. Miles andò alla porta e aprì la serratura. Il battente scivolò di lato.

Sei mercenari accigliati e nervosi circondavano un Ky Tung che sprizzava ostilità da tutti i pori. L'eurasiatico indossava il pigiama giallo da carcerato, aveva i capelli scompigliati e la barba lunga. Nel suo sguardo rovente apparve un'ombra di perplessità quando vide Miles.

— Benissimo. Grazie, caporale — disse Miles. — Al termine dell'interrogatorio terremo una piccola riunione. Vorrei che lei e la sua squadra rimaneste di guardia qui fuori. E nel caso che il capitano Tung diventasse violento, la prudenza esige che… mmh, sergente Chodak, lei e un paio dei suoi uomini all'interno, per favore. — Ed enfatizzò la parola «suoi» senza cambiare tono, soltanto con un'occhiata.

Chodak non fraintese. — Sissignore. Tu, soldato, vieni con me.

Ti sei guadagnato i gradi da ufficiale, amico, pensò Miles, scostandosi, mentre il sergente e l'uomo da lui scelto portavano dentro Tung. Oser e la sua faccia serena furono chiaramente visibili al resto della squadra prima che la porta si chiudesse di nuovo.

Oser era chiaramente visibile anche a Tung. L'uomo si scrollò di dosso le mani degli altri due e andò di fronte all'ammiraglio. — E allora, bastardo figlio di puttana, cosa stai cercando di… — Tacque, stupito dal sorriso con cui Oser accoglieva le sue parole. — Che diavolo ha quest'uomo?

— Niente. — Elena si strinse nelle spalle. — Penso che quella dose di penta-rapido abbia anzi giovato alla sua personalità. Peccato che sia una cosa provvisoria.

Tung gettò indietro la testa e abbaiò una risata aspra. Poi si girò e afferrò energicamente Miles per le spalle. — Ce l'hai fatta, tu, piccolo… sei tornato, eh? Ora siamo di nuovo in affari!

L'uomo di Chodak fece un passo avanti, come se non sapesse se doveva o non doveva fermare qualcuno. Il sergente lo prese per un braccio, scosse il capo in silenzio e gli indicò la porta.

Poi estrasse lo storditore e andò ad appoggiarsi con le spalle al muro, a lato del battente. Dopo un attimo di perplessità il collega lo imitò, appostandosi dall'altra parte. — Ogni tanto bisogna farsi due risate con gli amici — gli mormorò Chodak con un sogghigno. — Fa bene allo spirito.

— Non è che io sia esattamente un volontario — disse Miles fra i denti. Doveva tenerli stretti per non mordersi la lingua, perché l'eurasiatico lo stava scrollando con entusiasmo esplosivo. — E non siamo neppure in affari, temo. — Spiacente, Ky, ma non posso essere il tuo uomo. Dovrai essere tu a seguire me. Mantenne un'espressione distaccata e si staccò di dosso le mani di Tung con deliberata freddezza. — Il capitano di quel mercantile vervano mi ha consegnato direttamente nelle mani di Cavilo. E ho dovuto chiedermi fino a che punto quello sia stato un incidente.

— Ah. — Tung fece un passo indietro, come se lui lo avesse colpito allo stomaco.

Miles si sentiva come se lo avesse fatto. No, Tung non era un traditore. Ma lui non osava rinunciare alla sola carta che poteva giocare come scusa. — Tradimento o errore, Ky? — E hai smesso di picchiare tua moglie?

— Un errore — mormorò Tung, scuro in faccia. — Dannazione a quel doppiogiochista. Lo ammazzerò io stesso.

— È già stato fatto — disse freddamente Miles. Tung sollevò le sopracciglia, con aria fra sorpresa e rispettosa.

— Io sono venuto al Mozzo Hegen per contratto — continuò Miles. — Un contratto che ormai è praticamente andato in pezzi a causa dei troppi imprevisti. Non sono venuto qui per rimetterti al comando operativo dei Dendarii… — un colpo, per Tung, che faticò a controllare la sua espressione, — a meno che tu non sia disposto a servire i miei scopi. Le priorità e gli obiettivi strategici spetteranno a me. A te, solo la scelta tattica. — E chi avrebbe messo chi al comando dei Dendarii? Miles sperò d'essere il solo a farsi quella domanda.

— Come mio alleato… — cominciò Tung

— Non tuo alleato. Tuo comandante. O niente — disse lui.

Tung restò immobile di fronte a lui, pesante e massiccio, mentre il suo sguardo tornava quello freddo e scrutatore di sempre. Infine disse, pacatamente: — Il piccolo allievo del maestro Ky è cresciuto, sembra.

— Questa non è che la metà della cosa. Ci stai o no?

— Sono curioso di sentire anche l'altra metà. — Tung si mordicchiò un angolo della bocca. — Ci sto.

Miles gli porse la mano. — Affare fatto.

Tung la afferrò. — Fatto. — La sua stretta fu decisa.

Miles lasciò uscire un lungo respiro. — Va bene. L'ultima volta vi ho detto metà della verità; la situazione è più complessa. — Si ficcò le mani in tasca per nascondere il tremito, non del tutto dovuto ai postumi del distruttore neuronico. — Io ho un contratto con un governo interessato, ma non per una valutazione politico-militare. Quella era una cortina fumogena che dovevo imbastire per Oser. Ciò che vi ho detto sulla possibilità di prevenire una guerra interplanetaria, invece, non è fumo. Io sono stato assoldato dai barrayarani.

— Quelli non assumono mercenari, di solito — disse Tung.

— Io non sono un mercenario dei soliti. A pagarmi è la Sicurezza Imperiale di Barrayar. — Dio, almeno una vera-verità. — La missione che mi è stata affidata è di rintracciare e recuperare un ostaggio. In via collaterale ho la speranza di bloccare un'invasione ormai imminente, quella della flotta cetagandana che intende impadronirsi del Mozzo. La nostra seconda priorità strategica sarà dunque di tenere le due estremità del corridoio di transito di Vervain, e fare ciò che potremo finché non arriveranno i rinforzi da Barrayar.

Tung si schiarì la gola. — Seconda priorità? E se non arrivassero? Hanno lo spazio di Pol da attraversare… e, ah, il recupero di un ostaggio, normalmente, non dovrebbe avere la precedenza sulla strategia operativa riguardante una flotta di invasione.

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