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Miles si perse in alcune ipotesi. Un'interpretazione piuttosto liberale dell'ordine di Illyan «Usi l'alfiere Vorkosigan per togliere di scena i Mercenari Dendarii» avrebbe forse potuto perfino autorizzare un eventuale… no. No. — Escludilo pure. Se non mi fossi imbattuto nella tua persona, sarei in viaggio per Escobar con la scorta del sergente Keller. E tu, suppongo, saresti ad avvitare lampadine e pannelli, felice inquilino del Cubicolo 8, Modulo B. — A patto, ovviamente, che il misterioso Cavilo (comandante dei Randall Rangers?) non fosse riuscito a comprargli una condanna a vita per omicidio dal tribunale della Stazione Confederata.

E dove poteva esser finito il sergente Keller? Aveva fatto rapporto sull'accaduto al Quartier Generale? Era riuscito a contattare Ungari? Stava cercando di seguire le sue tracce? Oppure Cavilo aveva deciso di spendere un piccolo extra per pagargli un soggiorno nel carcere dei confederati? Ma speculare sugli interrogativi serviva a poco.

— Ormai ne siamo fuori — disse Miles a Gregor.

Lui si sfregò il segno violaceo che gli era rimasto sul volto pallido, ricordo del suo incontro con uno sfollagente-storditore. — Già, probabilmente. Ma stavo diventando piuttosto svelto ad avvitare lampadine, comunque.

Ci siamo, finalmente, sospirò fra sé Miles, mentre lui e Gregor seguivano il capitano del mercantile nel tubolare collegato al molo della Stazione Vervain. Be', non ancora, forse. Il capitano era un po' teso, garbato ma chiaramente nervoso. Tuttavia, se aveva già dato un passaggio ad altri tre agenti segreti prima di loro, ormai doveva sapere come procedere.

La lunga distesa dei moli con la sua luce cruda era la stessa echeggiante caverna di ogni stazione, coi pavimenti strutturati a griglia per i sensori dei robot, più che per i piedi umani. Ma in quel momento non si vedevano uomini in giro, e anche le macchine tacevano nell'immobilità. Qualcuno, suppose Miles, s'era preso il disturbo di sgombrare la strada per loro, anche se lui avrebbe scelto di attraversare la zona nel più indaffarato periodo di carico e scarico.

Gli occhi del capitano saettavano da un angolo all'altro. Miles non poteva fare a meno di seguire i suoi sguardi. Girarono a destra e si fermarono dietro un deposito della dogana merci.

— Aspetteremo qui — disse il capitano. — Sarete prelevati da alcuni uomini che vi scorteranno ai piani superiori della stazione. — Si appoggiò a un angolo del magazzino e per alcuni minuti non fece che battere ritmicamente un tacco contro la plastica scolorita della parete. D'un tratto si volse verso lo sbocco di un corridoio.

Rumore di passi. Cinque o sei uomini apparvero all'incrocio, e nel vederli Miles s'irrigidì. Uomini armati, preceduti da un ufficiale o un caposquadra, ma quelle che indossavano — tute militari color cachi, a mezze maniche, con una quantità di mostrine ed etichette azzurre e bassi stivaletti neri — non erano le uniformi della polizia di Vervain né delle forze armate. E impugnavano storditori di grosso calibro, accesi e pronti all'uso. Ma se marciano come una squadra di poliziotti, e si comportano come se qui fossero i padroni, e hanno tutta l'aria di…

— Miles — mormorò Gregor, colpito dagli stessi dubbi, — credi che sia la gente chiamata da quest'uomo? — Alcuni stavano sollevando le armi. E le puntavano nella loro direzione.

— È una cosa che ha già fatto tre volte — lo rassicurò lui, poco convinto. — Perché dovrebbe andar male proprio con noi?

Il capitano del mercantile ebbe un sorrisetto storto e si allontanò dal muro, scostandosi dalla linea di tiro. — Le prime due volte è andato tutto liscio — disse. — La terza volta mi hanno preso.

Le mani di Miles furono scosse da un tremito. Le tenne bene in vista, stringendo i denti per non imprecare selvaggiamente contro l'individuo. Gregor alzò le braccia senza una parola, pallido e del tutto inespressivo. Le rigide regole della sua vita, una vita che non gli era mai appartenuta completamente, avevano inculcato in lui un autocontrollo invidiabile.

Tung era stato certo di aver organizzato la cosa alla perfezione. Possibile che l'avesse saputo? Possibile che li avesse venduti? No, non riesco a crederci. - Tung ha detto che potevamo fidarci di lei — disse Miles al capitano.

— Chi è Tung per me? — sbottò lui. — Io ho famiglia, ragazzo.

Tenendoli sotto la minaccia degli storditori (Dio, ancora gli scagnozzi di qualcuno!) due uomini fecero voltare Miles e Gregor con le mani poggiate alla parete e li perquisirono, liberandoli dalle armi e dai diversi documenti presi agli Oserani. L'ufficiale esaminò le carte d'identità. — Sì, sono uomini di Oser. Benissimo. — Accese il comunicatore da polso. — Li abbiamo presi.

— Restate dove siete — rispose una voce sottile. — Cavilo sta scendendo con una squadra.

Randall Rangers, dunque. Ecco a chi appartenevano quelle uniformi sconosciute. Ma perché non c'erano vervani nei dintorni? — Mi scusi — disse Miles in tono pacato, — ma posso domandarle se per caso ci avete scambiato per agenti di Aslund? Credo che ci sia stato un malinteso.

L'ufficiale abbassò lo sguardo su di lui e sbuffò.

— Mi chiedo se non sia tempo di rivelare la nostra vera identità — sussurrò Gregor.

— Interessante dilemma — annuì Miles. — Ma meglio aspettare finché sapremo se costoro fucilano le spie.

Ci fu il tonfo della porta di un elevatore, e poi un rapido ticchettio di passi. L'ufficiale e i suoi uomini scattarono sull'attenti mentre i nuovi venuti giravano l'angolo del corridoio. Anche Gregor rizzò le spalle e fece sbattere i tacchi, assumendo una posa che i vecchi indumenti di Arde Mayhew resero incongrua. Ma l'atteggiamento di Miles fu molto meno militaresco, perché lo stupore improvviso l'aveva paralizzato. Sbatté le palpebre, incredulo.

Alta un metro e cinquanta, con una decina di centimetri in più grazie ai tacchi degli eleganti stivaletti neri. Un casco di capelli biondo-platino stretti intorno alla bella testa come i petali di una margherita chiusa. Un'uniforme nera e ocra che nel suo aderente fluire su ogni movimento parlava un linguaggio più espressivo di qualsiasi parola. Livia Nu.

— Signora. — L'ufficiale la salutò. — Questi sono i clandestini, comandante Cavilo.

— Molto bene, tenente. — I suoi occhi turchini, prendendo visione di Miles, si spalancarono un istante. Sorpresa che fu subito mascherata. — Oh, cielo! Il caro Victor. — La sua voce divenne una colata di melassa, ironica ed esageratamente deliziata, — Ma che piacere incontrarla qui, Victor. Ancora in giro alla ricerca di fortunati a cui proporre le sue tute miracolose?

Miles allargò le mani vuote. — Oggi il mio bagaglio è tutto qui, signora. Avrebbe dovuto comprare quando ne aveva l'occasione.

— Non sono stata la sola a rifiutare un'occasione. Ricorda? — Il suo sorrisetto era distaccato, speculativo. Miles notò il breve lampo dei suoi occhi a quella battuta e deglutì, a disagio. Gregor li osservava senza capire, ammutolito e stupefatto.

Così il tuo nome non è Livia Nu, e non sei un agente di commercio. Allora, perché diavolo il comandante dei mercenari assoldati da Vervain s'era incontrato in incognito, su una stazione di Pol, con il plenipotenziario della House Fell del Gruppo Jackson? Quello non era soltanto commercio d'armi, dolcezza.

Cavilo/Livia Nu accostò alle labbra di corallo il comunicatore da polso. — Mano di Kurin? Passami l'infermeria. Qui Cavilo. Sto per mandarvi un paio di prigionieri per il trattamento chimico. Forse assisterò all'interrogatorio di persona. Chiudo. — Riabbassò il braccio.

Il capitano del mercantile si fece avanti, con aria fra spaurita e combattiva. — Mia moglie e mio figlio. Ora dimostratemi che sono ancora vivi.

Lei lo considerò pensosamente. — Lei potrebbe servirci per un altro viaggio, si. D'accordo. — Fece un cenno a uno degli uomini. — Accompagnalo sulla Kurin, in sala controllo, e lasciagli dare uno sguardo al monitor. Poi riportalo da me. Lei è un traditore fortunato, capitano. Ho un altro lavoro, grazie a cui potrà avere qualcosa per i suoi familiari…

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