— Sono qui per errore — disse Gregor.
— Non raccontarmi balle. Un errore di chi?
— Mio, temo — rispose Miles. E si accorse, irritato, che invece di giustificarlo sportivamente Gregor annuiva.
Un sorriso un po' misterioso, il primo, incurvò le labbra di Elena. Miles decise di non chiederle cosa significasse. Quell'affrettato scambio di osservazioni pratiche non somigliava affatto alle molte varianti delia conversazione che aveva immaginato di avere con lei, durante la scena pregnante e significativa del loro incontro.
— Fra qualche minuto, quando Oser non vedrà tornare nessuno a fargli rapporto, qui comincerà a far caldo — li incitò Miles. Raccolse due storditori, il proiettore del campo-raggio trattore, il coltello a vibrolama, e se li infilò nella cintura. Dopo un attimo di riflessione prelevò ai quattro Oserani anche le carte di credito, le chiavi-tessera, i documenti di identità, il denaro contante e divise il tutto fra sé e Gregor, accertandosi che lui si liberasse del tesserino da lavoratore a contratto, che era rintracciabile elettronicamente. Ebbe la soddisfazione di trovare anche una stecca di cioccolata, e cominciò a staccarne qualche morso mentre Elena li precedeva fuori dal compartimento. Ne offrì un pezzo a Gregor, che però scosse il capo; probabilmente aveva già cenato, in quel bar-ristorante.
Chodak sistemò meglio l'uniforme di Gregor e poi si avviarono in fretta, con Miles al centro che cercava di nascondersi fra loro. Ma i mercenari erano gente dallo sguardo acuto, e lui lo sapeva. Ad ogni incrocio si sentiva osservato. Prima che quel timore diventasse una sensazione paranoica entrarono in un tubo a caduta libera; ne uscirono alcuni piani più in basso e si trovarono in una larga stiva per il carico, occupata in quel momento da una navetta. Uno degli uomini di Elena, appoggiato con pigra sicurezza al portello di un compartimento stagno, alzò un pollice verso di loro. Chodak rivolse a Eiena un cenno di saluto, li lasciò lì e tornò indietro. La giovane donna precedette Miles e Gregor oltre il portello, in un tubolare flessibile che collegava la Triumph alla stiva di una navetta da carico ormeggiata nel vuoto, all'esterno della stazione. Appena fuori dal campo delle griglie gravitazionali della nave i tre si trovarono bruscamente in assenza di peso, circondati dalla nera e vertiginosa voragine dello spazio stellato. Fluttuarono avanti fino alla cabina di pilotaggio. Elena sigillò rapidamente i portelli e accennò a Gregor di sedersi sull'unica poltroncina libera, davanti alla consolle dell'addetto alle comunicazioni.
Gli altri due posti, quello del pilota e dell'aiuto pilota, erano già occupati. Arde Mayhew diresse a Miles un sogghigno da sopra una spalla. Lui aveva riconosciuto la testa calva come una biglia dell'altro uomo ancor prima che si fosse voltato.
— Salve, figliolo. — Il sorriso di Ky Tung era più ironico che divertito. Lo scrutò, a braccia conserte. — Bentornato, dovrei dire, anche se te la sei presa comoda prima di ricordarti degli amici.
— Salve, Ky. — Miles rivolse all'eurasiatico un cenno del capo. Tung non era cambiato affatto. Sempre di un'età indefinibile fra i quaranta e i sessanta. Sempre costruito come un carro armato. Sempre con quello sguardo che sembrava leggere, oltre le parole, tutti i peccati che uno aveva creduto di nascondere in fondo all'anima.
Mayhew, il pilota, accennò loro di tacere e accese la radio. — Controllo traffico? Ho rintracciato l'origine del guasto segnalato dal computer. Un semplice difetto di lettura nella pressione del serbatoio uno. Tutto a posto. Siamo pronti per lo sgancio.
— Era ora, C-2 — rispose una voce scorporizzata. — Avete via libera. Sgancio autorizzato ore 2107.
Le abili mani del pilota azionarono gli automatismi per il distacco delle flange e del tubolare, e accesero i jet di manovra. Ci furono alcuni clangori soffocati, un sibilo vibrante che pervase lo scafo, e la navetta girò su se stessa cominciando ad allontanarsi dalla Triumph. Mayhew diede conferma del decollo avvenuto, spense la radio e sospirò di sollievo. — Al sicuro. Per ora.
Elena si attaccò con un saltello a un corrimano del soffitto, nello scarso spazio libero dietro le poltroncine. Miles allungò una mano ad afferrare un bracciolo di quella di Mayhew, per non fluttuare verso il portello. La navetta stava accelerando. — Spero che tu abbia ragione — disse. — Ma perché ne sei tanto certo?
— Intende dire che siamo in un posto sicuro — rispose Elena. — Non al sicuro in senso cosmico. Questo è un volo di routine, solo con qualche passeggero non previsto a bordo. Finora nessuno ha sospetti, altrimenti il controllo traffico ci avrebbe richiamato. È probabile che Oser faccia frugare innanzitutto la Triumph e poi i corridoi della stazione militare. Potremmo perfino riportarvi a bordo della nave, quando avranno finito di perquisirla.
— Questo è il Piano B, — aggiunse Tung, voltandosi verso Miles. — O magari il Piano C. Il Piano A invece, basato sul presupposto che per salvarvi avremmo dovuto fare un gran fracasso, prevedeva di portarvi sulla Ariel, che è in servizio di sorveglianza, e dichiarare la rivoluzione. Ma sono felice che ci sia la possibilità di lasciar avvenire la cosa più… uh, spontaneamente.
Miles ridacchiò. — Dio! Così sarebbe peggio di quel che è successo l'altra volta. — Inchiodato a una catena di eventi a senso unico che lui non poteva controllare, costretto a fungere da bandiera di combattimento per dei mercenari in rivolta, sbattuto alla testa di una parata militare che avrebbe preso ampio spazio su tutti i notiziari… — No, grazie. Non spontaneamente. Di questo puoi starne certo, amico.
— Allora — annuì Tung, allargando le mani nerborute, — qual è il tuo piano?
— Il mio cosa?
— Piano — ripeté Tung, con un filo di sarcasmo. — In altre parole, perché sei venuto qui?
— Oser mi ha fatto la stessa domanda — sospirò Miles. — Ci credi se ti dico che sono qui per puro caso? Un incidente, nient'altro. Oser non ci ha creduto. Sarà anche cinico da parte mia, ma dire la verità alla gente come lui è sempre un grave errore. Cosa ti fa pensare che io abbia un piano?
Tung fece una smorfia. — Un incidente, eh? Forse. Ma… i tuoi «incidenti», come ho già notato, riescono a sconvolgere i progetti dei tuoi avversari in un modo così contorto e subdolo da far rabbia perfino ai tuoi amici. Lungi dall'attribuire ciò al caso ho deciso che, quando non sei tu ad avere un piano, ce l'ha il tuo subconscio. Se solo tu lavorassi con me, ragazzo, insieme potremmo… o forse sei semplicemente il Re degli Opportunisti. Nel qual caso ti chiedo di rivolgere la tua attenzione all'opportunità di riprenderti la flotta dei Mercenari Dendarii.
— Non hai risposto alla mia domanda — disse Miles.
— Tu non hai risposto alla mia — lo rimbeccò Tung.
— Io non voglio i Mercenari Dendarii.
— Io sì.
— Ah. — Miles si mordicchiò un labbro. — Perché non prendi con te quelli che ti sono fedeli e non ricominci da un'altra parte per conto tuo? Altri l'hanno fatto.
— Indossare gli scafandri e andarcene a nuoto nello spazio? — Tung fece l'atto di nuotare a rana, e sbuffò. — Oser ha tutte le navi sotto controllo. Compresa la mia, come hai visto. La Triumph è tutto quello che ho messo insieme in trent'anni di lavoro. E che ora non ho più, per causa delle tue macchinazioni. Qualcuno deve risarcirmi di questa perdita, e se non Oser… — Guardò Miles con espressione significativa.
— Io ho cercato di darti un'intera flotta — si difese lui. — Potrei chiedermi come sia riuscito un vecchio stratega navigato come te a farsela soffiare sotto il naso.
Tung alzò gli occhi al cielo e si batté un dito sul petto, ammettendo «toccato». — Le cose sono andate piuttosto bene per un anno, un anno e mezzo, dopo che lasciammo Tau Verde. Abbiamo firmato due buoni contratti sulla Rete-Est, piccole operazioni di commando, cosette facili… be', non troppo facili. Anche lì c'è stato da sudare. Ma le abbiamo condotte in porto.