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Restarono sedute lì per molto tempo. Cirocco aveva paura di parlare, perché sapeva che avrebbe potuto mettersi a piangere senza riuscire più a fermarsi, e non c’era tempo. C’erano ferite da medicare, e un viaggio da terminare.

La ferita alla testa di Gaby non era orribile. La disinfettò e fasciò alla meglio. Le sarebbe rimasta una cicatrice sulla fronte. Anche a Cirocco sarebbe rimasta qualche cicatrice: una sulla fronte per la caduta sul pavimento del castello, una tra il mento e l’orecchio sinistro, e un’altra sulla spalla. Fortunatamente, nessuna delle ferite era preoccupante.

Cirocco scrutò il lungo pezzo di cavo che dovevano ancora salire per arrivare al raggio.

— Penso che sia meglio tornare al castello e fermarci un paio di giorni per rimetterci in forze — disse.

— Certo — rispose Gaby. — Ma l’ultima parte del viaggio sarà più facile. Mentre riportavo giù voi due ho scoperto una scalinata.

20

La scalinata partiva da un grosso mucchio di sabbia dietro il castello, saliva in alto fino a scomparire nel buio. Ogni scalino era lungo circa un metro e mezzo e alto quaranta centimetri, e sembrava che fosse stato scavato nella superficie del cavo.

Dopo un po’ che salivano, Gaby e Cirocco cominciarono a pensare che forse la scala sarebbe servita a poco: s’incurvava verso sud, in direzione del vuoto. Se continuava così, presto non sarebbe più stata percorribile.

Ma i gradini restavano perfettamente piani. Poche ore dopo si trovarono a procedere su una piattaforma a terrazze, con un muro alto da un lato e il vuoto assoluto dall’altro. Non esistevano corrimano o ringhiere. Si tennero vicino al muro, tremando a ogni soffio di vento.

Poi entrarono in un tunnel.

Fu una metamorfosi graduale. A destra c’era ancora lo spazio aperto, ma la parete aveva iniziato a curvarsi sopra le loro teste.

Cirocco cercò di immaginarselo: la scala continuava a salire, avvolgendosi a chiocciola all’esterno del cavo.

Dopo altri duemila scalini precipitarono nel buio assoluto.

— Scalini — mormorò Gaby. — Costruiscono un posto come questo e ci mettono degli scalini.

Si erano fermate per tirare fuori le lampade. Avevano deciso di tenerne accesa una sola per volta, nella speranza che l’olio bastasse fino al termine della salita.

— Sarà per i casi d’emergenza, per le cadute di energia — disse Cirocco. — Probabilmente questa scala esiste anche più in basso solo che è ricoperta dal terriccio. Il che significa che questo posto è abbandonato da parecchio tempo. Se esistono alberi, devono essere mutazioni recenti.

Gaby alzò la lampada, guardò avanti, poi indietro, verso l’ultimo filo di luce. Socchiuse gli occhi.

— Secondo me qui la scala fa una svolta. Prima girava attorno all’esterno del cavo; adesso svolta a sinistra e poi sale diritta.

Cirocco studiò la situazione e pensò che Gaby aveva ragione.

— Mi dà l’impressione che passeremo proprio per il centro.

— Oh, davvero? Ricordi il posto dei venti? Tutta quell’aria passa di qui, in un punto o nell’altro.

— Se avessimo incrociato la corrente d’aria non saremmo qui. Saremmo già precipitate nel vuoto.

Gaby annusò l’aria, mentre guardava la scalinata alla luce oscillante della lampada.

— Fa caldo. Credi che la temperatura aumenterà ancora?

— L’unico modo per scoprirlo è salire.

Gaby si lasciò sfuggire un gemito e ondeggiò. La lampada le cadde quasi di mano.

— Stai bene?

— Sì, è… No, accidenti, no. — Si appoggiò alla parete tiepida. — Mi gira la testa, sono debole, mi tremano le mani. — Si guardò la mano che tremava visibilmente, cercò di calmarsi respirando profondamente.

— Forse un giorno di riposo non era sufficiente — disse Cirocco, studiando con gli occhi l’ambiente. — Speravo di spuntare in cima a questa scala prima di fermarci un’altra volta. Ma è inutile sforzarci troppo.

— Posso farcela.

— No — decise Cirocco — nemmeno io mi sento tanto in forma. Ci fermiamo qui in questo caldo, o torniamo all’aperto?

Gaby guardò i numerosi scalini alle loro spalle.

— Tanto vale sudare un po’ — disse.

Accesero il fuoco. Faceva molto caldo, ma le fiamme offrivano un conforto psicologico impagabile. Si erano portate rami e muschio nel sacco di Gene. Poi Gaby riscaldò le bistecche del giorno prima, aggiungendo un po’ di radici fresche. Cirocco, mentre la guardava lavorare, pensò: "Noi due assieme funzioniamo benissimo".

Era delizioso. Si servirono due razioni abbondanti e cominciarono a mangiare davanti al fuoco, sedute fianco a fianco. Tra il crepitio delle fiamme e l’acciottolio delle stoviglie e l’odore del cibo, Cirocco fu ben felice di rilassarsi, di non pensare a niente.

Si guardò le mani, che recavano tracce dello sporco raccolto durante il giorno. Ma non potevano sprecare acqua solo per lavarsi.

Gaby si deterse la fronte col dorso della mano — mani piccole e abili, le sue — e lanciò uno guardo a Cirocco. Le sorrise, un sorriso appena accennato che subito s’allargò a conquistarle il viso appena Cirocco le sorrise a sua volta. Aveva un occhio seminascosto dalle bende. Tuffò il cucchiaio nella zuppa che s’erano preparate e aspirò rumorosamente.

— Queste radici sono meglio mangiate al dente — disse. — Passami il piatto.

Gliene versò una porzione abbondante e poi si sedettero, fianco a fianco anche se alla distanza di un metro circa, e cominciarono a mangiare.

Era delizioso. Mangiavano in silenzio, ascoltando i piccoli suoni che le circondavano, il crepitio leggero delle fiamme e lo sfregamento delle stoviglie sulle ciotole.

— Hai ancora un po’ di sale?

Cirocco frugò nel suo sacco, trovò il sale e anche due dolci di cui si era dimenticata, avvolti in foglie gialle. Ne mise uno in mano a Gaby, rise alla sua espressione raggiante. Poi mangiò il suo lentamente, in due bocconi, assaporando quegli aromi che le sembravano quasi sconosciuti. Quando ebbe finito, cominciò a lanciare occhiate ingorde al dolce che Gaby aveva messo da parte.

— Se vuoi conservartelo per colazione, dovrai stare sveglia tutta la notte.

— Non preoccuparti. È solo che io sono molto educata e so che il dessert si mangia dopo il pranzo.

Gaby impiegò cinque minuti a togliere il dolce dalla foglia, poi altri cinque a studiarlo, mentre Cirocco non la perdeva d’occhio. Lo inghiottì d’un colpo, e Cirocco uscì in un uggiolio, come un cane che si fosse visto sfuggire un osso prelibato.

Si stava divertendo molto e questo la colpì; si mise a pensare. Annusare con bramosia come aveva fatto, il suo viso vicino a quello di Gaby, era saggio? Era giusto illudere a quel modo Gaby? Lei era al settimo cielo, felicissima, le brillavano gli occhi per tutte quelle attenzioni, per il fatto che loro due fossero lì, sole.

"E perché non provo anch’io le stesse sensazioni?" si chiese Cirocco.

Come se avesse intuito i suoi pensieri, Gaby si fece immediatamente seria. Le toccò la mano, la guardò con espressione intensa, scosse piano la testa. Il senso del messaggio era chiarissimo: "Da me non hai niente da temere".

Cirocco sorrise, e sorrise anche Gaby. Finirono di mangiare anche le bistecche senza curarsi troppo delle buone maniere.

Ma non era più la stessa cosa. Gaby era silenziosa. Cominciarono a tremarle le mani, le cadde il piatto. Si alzò singhiozzando, poi la mano di Cirocco si appoggiò sulla sua spalla. Gaby seppellì la faccia sotto il collo di Cirocco e si mise a piangere.

— Sto male. Sto male.

— Allora sfogati. Piangi. — Cirocco le carezzò per un attimo i capelli sottilissimi; poi le fece alzare il mento. Voleva baciarla in un punto che non fosse coperto di bende. Pensò di baciarla sulla guancia, ma all’ultimo momento, senza sapere perché, la baciò sulle labbra. Era umide, e caldissime.

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