16
Erano trascorsi sei giorni dall’attacco degli angeli, e sessantuno da quando si erano risvegliati su Gea.
Cirocco era sdraiata su un tavolo basso coi piedi bloccati da legacci. Calvin era lì da qualche parte, ma lei rifiutava di guardare dove fosse. Ninnananna, la guaritrice dalla bianca criniera, guardava e cantava mentre l’operazione progrediva.
Il suo era un canto lenitivo, ma nulla riusciva a calmarla del tutto.
— La cervice è dilatata — disse Calvin.
— Non so proprio cosa voglia dire.
— Scusami. — Si sdraiò un attimo e Cirocco ne vide gli occhi spuntare poco sopra la maschera chirurgica. Sudava copiosamente. Ninnananna gli asciugò la fronte, e uno sguardo di Calvin mostrò la sua gratitudine. — Puoi spostare più vicino la lampada?
Gaby sistemò meglio la luce tremolante. L’enorme ombra delle sue gambe venne proiettata sulle pareti. Cirocco sentiva il metallico tintinnio degli strumenti quando venivano tolti dalla vaschetta sterilizzata, poi il raschiatoio che strusciava sullo speculum.
Calvin avrebbe voluto strumenti d’acciaio, ma i titanidi non erano in grado di costruirne. Lui e Ninnananna avevano lavorato con i migliori artigiani perché questi gli costruissero quanto voleva in ottone.
— Mi fa male — mugolò Cirocco.
— Le fai male — ripeté Gaby, come se Calvin non riuscisse più a capire l’inglese.
— Gaby, stattene buona o mi dovrò trovare qualcun altro per reggere la lampada. — Cirocco non aveva mai sentito Calvin parlare in tono così aspro. Lui fece una pausa, si deterse il sudore con la manica.
Il dolore non era molto intenso ma persistente e difficile da placare. Lei poteva sentire e avvertire il raschio e strinse i denti fino a farli stridere.
— L’ho preso — disse Calvin a voce bassa.
— Preso cosa? Riesci a vederlo?
— Già. Sei più avanti di quanto pensavo. Hai fatto bene a insistere per intervenire subito. — Riprese il lavoro con attenzione, fermandosi di tanto in tanto per pulire lo strumento.
Gaby si voltò per poter esaminare meglio qualcosa che teneva nel palmo della mano. — Ha quattro zampe — mormorò, e si portò di scatto a fianco di Cirocco.
— Non voglio vederlo. Tienilo lontano da me.
— Posso dare io un’occhiata? — cantò Ninnananna.
— No! — Cirocco stava combattendo contro la nausea e non riusciva a cantare la risposta alla titanide, ma scosse violentemente la testa. — Gaby, distruggi quella cosa — ordinò. — Immediatamente. Chiaro?
— Fatto, Rocky.
Cirocco trasse un profondo respiro che si trasformò in singhiozzo. — Scusami, non avrei dovuto urlare. Ninnananna ha detto che voleva vederlo. Forse avrei dovuto permetterglielo. Forse lei sapeva cosa farne.
Più tardi Cirocco disse che riusciva perfettamente a camminare; ma, secondo i titanidi, per una buona guarigione erano indispensabili il calore di un altro corpo, canti rassicuranti, e il sentirsi cullati. Ninnananna l’accompagnò amorevolmente per strada, sino ai quartieri riservati ai terrestri. La mise a letto, intonando i canti più indicati per i periodi di turbamento psichico. Accanto al suo c’erano altri due letti vuoti.
— Benvenuta alla clinica veterinaria — la salutò Bill. Cirocco riuscì a sorridere, per quanto fosse debolissima, mentre Ninnananna la sistemava sotto le coperte.
— Il tuo amico sta scherzando come sempre? — cantò Ninnananna.
— Sì. Dice che questo è il posto per la cura degli animali.
— Vergogna. Guarire è sempre guarire. Bevi questo, ti calmerà.
Cirocco prese la fiaschetta di vino e bevve. Un calore piacevolissimo si diffuse nel suo corpo. Avevano scoperto che i titanidi bevevano liquidi fermentati, spinti dagli stessi motivi degli uomini, il che era l’unica scoperta gradita degli ultimi sei giorni.
— Ho l’impressione che mi abbia fatto un rimprovero — disse Bill. — Ormai conosco quel tono di voce.
— Ti vuole bene, Bill, anche quando fai il bambino cattivo.
— Speravo di distrarti.
— Grazie per il pensiero. Bill, aveva quattro zampe.
— E io che scherzavo sugli animali. — Si sporse verso di lei e le prese la mano.
— È tutto a posto. Adesso vorrei solo dormire. — Bevve altri due sorsi di vino, e si addormentò.
Gaby trascorse la prima ora dopo l’operazione a dire a tutti che stava bene; poi vomitò ed ebbe la febbre per due giorni. Agosto se la cavò senza inconvenienti. Cirocco era un po’ depressa, ma per il resto si sentiva in forma.
Bill si stava riprendendo bene, però Calvin disse che l’osso non era del tutto a posto.
— Insomma, quanto dovrò restare a letto? — gli chiese Bill. Senza televisione, senza giornali, si annoiava. L’unico svago era la finestra che dava su una strada di Titantown. Ninnananna stava imparando l’inglese, ma i suoi progressi erano molto lenti.
— Almeno altre due settimane.
— Mi dà l’impressione che potrei farlo anche subito.
— Forse potresti farlo, ma se ti alzassi e ti mettessi a camminare, l’osso si romperebbe di nuovo. No; due settimane come minimo.
— E se lo portassimo fuori? — chiese Cirocco. — Ti andrebbe, Bill?
Trascinarono Bill e il suo letto sotto una delle enormi fronde d’albero che rendevano Titantown invisibile dall’alto, e che offrivano qualcosa di vagamente simile alla notte. I titanidi, comunque, tenevano sempre illuminata la città con lampade artificiali.
— Hai visto Gene, oggi? — chiese Cirocco.
— Dipende da cosa vuoi dire con oggi — rispose Calvin con uno sbadiglio. — Dovresti avere ancora tu il mio orologio.
— Ma l’hai visto o no?
Calvin scosse la testa. — No, è un po’ di tempo che non lo vedo.
— Chissà cosa starà facendo.
Calvin aveva trovato Gene seguendo il corso dell’Ofione. Si erano incontrati sulle montagne Nemesi di Crio, la regione diurna a ovest di Rea. Gene aveva detto di essere riemerso in una zona di transizione fra notte e giorno, e di aver sempre camminato in cerca degli altri.
Sosteneva di essersi limitato a "sopravvivere", quando lo interrogavano su cosa avesse fatto. Cirocco non ne dubitava, ma si chiedeva cosa significasse esattamente quel verbo. In quanto al periodo trascorso in privazione sensoriale, Gene diceva di essersi sentito preoccupato all’inizio e di essersi poi calmato, una volta capita la situazione.
Cirocco non era sicura che lui sapesse bene cosa significava quanto andava dicendo.
All’inizio era contenta che ci fosse qualcun altro che sembrava, come lei, di aver risentito poco dal cambiamento. Gaby continuava ad agitarsi nel sonno. Bill aveva buchi di memoria, pensieri che forse tornavano lentamente. Agosto era cronicamente depressa e con tendenza al suicidio. Calvin era felice però preferiva starsene da solo. Solo lei e Gene sembravano non averne risentito.
Però anche lei aveva subito cambiamenti misteriosi: ad esempio, era in grado di comunicare coi titanidi. Era convinta che anche a Gene fosse successo qualcosa di cui non voleva parlare, e ne cercava i segni.
Lui sorrideva moltissimo. Diceva a tutti che si sentiva bene, anche se nessuno glielo chiedeva. Era amichevole, a volte fin troppo insistente.
Decise che doveva trovarlo e tentare, ancora una volta, di parlare con lui di quei due mesi trascorsi nelle tenebre.
Titantown le piaceva.
Sotto gli alberi, la temperatura era calda e secca. Poiché a Gea il calore saliva dal terreno, la volta altissima lo intrappolava all’interno. Per mantenere il corpo sufficientemente fresco l’ideale era indossare una camicia leggera e camminare a piedi scalzi. Le strade erano illuminate da lanterne di carta che le ricordavano le lanterne giapponesi. Il fondo stradale era in terra battuta, inumidito da strani vegetali che emettevano una pioggerellina sottile ogni rivoluzione di Gea, diffondendo un profumo piacevolissimo. Ai lati delle strade i fiori erano talmente numerosi che i petali cadevano a terra di continuo. Crescevano benissimo anche in quella tenebra perpetua.