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— Vai, dunque — disse Maestrocantore. — Non penserò più ad altre armi. La situazione è già abbastanza orribile, non occorre pregiudicare il sentiero della distruzione.

Meditò un attimo, come ritraendosi in se stesso.

— Se davvero tu riuscissi a vedere Gea, vorrei che le chiedessi perché mai la mia figlia anteriore doveva morire. Se lei non dovesse risponderti, dalle uno schiaffo in faccia e dille che lo schiaffo viene da Maestrocantore.

— Lo farò. — Sollevata, allegra, Cirocco fece per andarsene. Era stranamente meno preoccupata del futuro in quel momento di quanto lo fosse stata negli ultimi due mesi. Poi una curiosità la bloccò sulla soglia. — Cosa significa quel bacio? — chiese.

Il titanide alzò gli occhi.

— Era il bacio destinato ai morti. Se te ne vai, non ti rivedrò mai più.

17

Cornamusa si era assunto il ruolo di guida e di fonte d’informazione per gli umani. Aveva detto che aveva l’approvazione della madre anteriore e poi gli sembrava che quella sarebbe stata per lui un’ottima esperienza. I terrestri erano la cosa più eccitante che fosse capitata a Titantown da molti miriariv.

Quando Cirocco espresse il desiderio di vedere il posto dei venti fuori città, Cornamusa preparò tutto per una colazione all’aperto completa di due fiasche di vino. Calvin e Gaby si offrirono volontari per la gita, ma Agosto, com’era solita fare, rimase seduta a guardare fuori della finestra. Gene era introvabile. Cirocco dovette ricordare a Calvin che aveva promesso a Bill di fargli compagnia.

Bill le chiese di aspettare finché non fosse guarito, e lei fu obbligata a ricordargli che era ancora in convalescenza. Lei capiva che era una situazione delicata per lui, costretto a letto com’era, ma fu subito contenta quando capì che si sforzava di essere protettivo nei suoi riguardi.

— È una bella giornata per un picnic — cantò Cornamusa quando Cirocco e Gaby la raggiunsero poco fuori città. — Il terreno è asciutto. Potremo andare e tornare in quattro o cinque riv.

Cirocco s’inginocchiò per allacciare le stringhe dei morbidi mocassini di cuoio che i titanidi le avevano fatto, poi s’alzò e guardò la terra bruna dove si poteva vedere il cavo della parte centrale di Rea, là dov’era il posto dei venti.

— Non vorrei contrariarti — cantò — ma a me e alla mia amica ci vorrà almeno un decariv per arrivare laggiù, e altrettanto al ritorno. Abbiamo pensato di accamparci alla base e là dormire, o avere la falsa morte, come la chiamate voi.

Cornamusa scosse la criniera. — Non vorrei che lo faceste. La cosa mi spaventa. I vermi lo sanno che non devono mangiarvi?

Cirocco scoppiò a ridere. I titanidi non dormivano mai. Trovavano la cosa molto strana, come il camminare su due sole gambe.

— Be’, ci sarebbe un’alternativa. Ho esitato a parlarne per timore d’offenderti, ma sulla Terra abbiamo animali che vi somigliano, e spesso noi cavalchiamo sulla loro schiena.

— Sulla schiena? — disse Cornamusa, perplessa. — Vuoi dire… Oh, sì, capisco. Con una gamba da una parte e l’altra… Dài, prova a saltare su. Pensi che così funzionerà?

— Ci possiamo provare, se sei d’accordo. Stendi un braccio. No, giralo… ecco, così. Adesso ci appoggio il piede e poi… — S’appoggiò alla sua mano, le mise un braccio attorno alle spalle, si diede un colpo e le saltò sul dorso. Si sedette al centro della schiena dove aveva messo una leggera coperta. — Come va per te?

— M’accorgo a mala pena che tu sei lì. Come ti trovi così appollaiata?

— È quello che sto controllando. Penso che… — Lanciò un urlo all’improvviso. Cornamusa aveva girato completamente la testa per fissarla.

— Che ti succede?

— Niente. Noi non siamo così snodati. Mi riesce strano pensare che tu possa farlo. Ma non ci pensare. Girati e guarda dove stai andando, ma soprattutto parti piano.

— Che andatura preferisci?

— Come? Oh, non so, non ne so nulla di queste cose.

— Va bene. Partirò al trotto per arrivare lentamente a un galoppo moderato.

— Ti secca se ti abbraccio?

— Neanche un po’.

Cornamusa fece un largo giro aumentando gradualmente la velocità. Correvano da Gaby, che stava urlando e salutando. Quando Cornamusa ridusse la velocità fino a fermarsi respirava ancora quasi normalmente.

— Funziona, non credi? — chiese Cirocco.

— Direi proprio di sì. Adesso lasciami provare con tutte e due.

— Ma senti, non sarebbe meglio trovare qualcun altro per lei?

Nel giro di pochi minuti Cornamusa procurò due cuscini e un altro volontario. Questi era maschio, con la peluria color lavanda, la testa bianca e una lunga criniera.

— Hey, Rocky, ho trovato una cavalcatura migliore della tua.

— Dipende da cosa guardi. Gaby, ti presento… — e ne cantò il nome, poi lo tradusse e infine disse a Gaby — … chiamalo Flauto.

— Perché non Leo o George? — borbottò lei, poi gli strinse la mano e gli balzò lesta in sella.

Partirono subito, e per un po’ furono i titanidi a intonare le loro canzoni, cui le terrestri s’unirono cercando di fare del loro meglio; poi Cirocco e Gaby si produssero in una serie di cori. I titanidi ne furono deliziati: non sapevano che i terrestri creassero canzoni.

Cirocco aveva partecipato a un viaggio in zattera lungo il fiume Colorado, e ne aveva fatto un altro nell’Ofione a bordo di un vero guscio di noce. Aveva sorvolato il polo sud e attraversato gli Stati Uniti con un biplano. Aveva viaggiato in bicicletta e col gatto delle nevi, in funicolare e sui treni gravitazionali e aveva persino fatto un breve trasferimento a dorso di cammello. Ma niente di tutto quello poteva uguagliare il fatto di cavalcare un titanide sotto la volta di Gea, in quel lungo pomeriggio proiettato per sempre verso un indefinito tramonto. Di fronte a lei saliva dal terreno una scalinata per il paradiso che scompariva nel buio.

Buttò la testa all’indietro e si mise a cantare.

— È lunga la strada per Tipperary…

Il posto dei venti era roccia dura e terra stravolta.

Crinali simili a nocche contratte artigliavano il terreno buono, e fra loro si aprivano baratri profondi. Più avanti, i crinali diventavano dita che stringevano la terra e la piegavano come fosse un foglio di carta. Le dita si univano poi in una mano corrosa dagli elementi, e dietro la mano c’era un lungo braccio irregolare che usciva dalla notte.

L’aria non era mai calma. Soffi improvvisi da ogni direzione facevano turbinare ai loro piedi mulinelli di sabbia.

Poi udirono l’ululato: era un suono cupo, sgradevole, che però non possedeva la tristezza terribile del Lamento di Gea, il vento fortissimo che spirava da Oceano.

Cornamusa aveva già dato loro qualche idea di cosa li aspettava. I crinali che stavano superando erano costituiti da trefoli di cavo che emergevano dal suolo con un’angolazione di trenta gradi: non si capiva subito cos’erano perché erano coperti di terra. Il vento aveva eroso il terreno, creando canali che correvano in varie direzioni tutte orientate verso la fonte del suono.

Presero a superare buchi nel terreno, alcuni con un diametro di mezzo metro soltanto, altri abbastanza larghi da ingoiare un titanide. Ogni buco emetteva una nota diversa da quella degli altri: note non armoniche, che ricordavano gli esperimenti musicali più tetri di fine secolo. Dietro quei suoni si sentiva una nota d’organo continua.

I titanidi s’incamminarono sull’ultimo, lungo crinale. Lì il terreno era duro, roccioso; il crinale era stretto, e ai lati si aprivano baratri ampi, profondi. Cirocco sperò che i loro due accompagnatori sapessero quando era il momento di fermarsi. Già il vento le faceva piangere gli occhi.

— Questo è il posto dei venti — cantò Cornamusa. — Non osiamo avanzare oltre, poiché i venti sono talmente forti da trascinarci via. Però se scendete lungo i fianchi del pendio potete vedere il Grande Ululante. Volete che vi portiamo noi?

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