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Le scappò una lacrima, e l’asciugò in fretta. Non voleva che Bill l’accusasse di mettersi a piangere per ricattarlo. "Come faccio a cacciarmi in situazioni come questa?" si chiese. Forte o debole che si sentisse, era sempre sulla difensiva con lui.

Poi Bill si sciolse tanto da darle un bacio. Quando si separarono, sembrava che non avessero più altro da dirsi. Cirocco non capiva quali fossero i suoi sentimenti guardandolo negli occhi. Sapeva che era offeso ma forse lo era più di quanto lei pensasse?

— Torna appena puoi.

— Certo. Non preoccuparti. Sono una pellaccia troppo dura perché riescano a uccidermi.

— Lo so, lo so.

— Due ore, Gaby.

— Lo so, lo so. Non ricordarmelo, vuoi?

Finefischio, immobile sulla pianura a est di Titantown, sembrava ancora più enorme del solito. In genere non scendeva mai più in basso del livello degli alberi. Per convincerlo ad atterrare avevano dovuto spegnere tutti i fuochi in città.

Bill era venuto a salutarla in barella. Agitò le braccia, e lei gli rispose.

— Sto male, Rocky — disse Gaby, battendo i denti. — Parlami.

— Calma, ragazza. E apri gli occhi, se non vedi dove vai. Ehi!

Una decina di animali sbucarono fuori dal ventre di Finefischio, come pendolari impazienti di scendere dal treno. Travolsero Gaby, gettandola a terra.

— Rocky, aiutami! — Gaby era disperata.

— Certo. — Passò il suo sacco a Calvin, che era già salito con Gene, e sollevò Gaby. Era così leggera, e così fredda.

— Due ore — le disse. — Solo due ore.

Si udì uno scalpitio di zoccoli, e al loro fianco apparve Cornamusa, che afferrò il braccio di Gaby.

— Ecco, piccola amica — cantò. — Ti aiuterà a vincere i tuoi problemi. — Il titanide mise una fiaschetta di vino in mano a Gaby.

— Ma come… — disse Cirocco.

— Ho visto la paura nei suoi occhi e ho ricordato l’aiuto che lei ha dato a me. Ho fatto bene?

— Hai fatto meravigliosamente bene, figlia mia. Ti ringrazio a nome suo. — Non le disse che aveva già predisposto una fiasca per intontire Gaby.

— Non vi bacerò, dal momento che volete tornare. Buona fortuna a voi, e che Gea vi rimandi qui.

— Arrivederci. — L’apertura si richiuse silenziosamente.

— Cosa ha detto? — chiese Gaby, quando furono a bordo.

— Vuole che ti ubriachi.

— Ho già bevuto parecchio, ma dato che ci sono…

Cirocco restò con lei mentre Gaby si riempiva di vino fin quasi a perdere i sensi. Quando fu sicura che Gaby fosse ormai partita, raggiunse gli altri nella navicella.

Si stavano già alzando. Una cascata d’acqua scendeva da un foro vicino al naso di Finefischio.

Si sollevarono seguendo il cavo. Guardando giù, Cirocco vide alberi e zone erbose. Grandi superfici del cavo erano completamente ricoperte di vegetazione. Era così grande che sembrava di guardare una pianura. Non ci sarebbe stato pericolo di cadere finché non avessero raggiunto la cima.

La luce cominciò a svanire lentamente. Nel giro di dieci minuti si trovarono in un crepuscolo arancione, diretti verso il buio eterno. A Cirocco dispiacque veder sparire la luce. Era monotona, onnipresente; ma per lo meno era luce. Chissà se l’avrebbe mai rivista.

— Fine del viaggio — disse Calvin. — Adesso ci abbassiamo un po’ per farvi atterrare sul cavo. Buona fortuna, branco di matti. Vi aspetterò.

Gene aiutò Cirocco a infilare Gaby nel paracadute, poi si lanciò per primo per afferrarla quando toccava terra. Cirocco attese finché fosse atterrato, poi diede un bacio beneaugurante a Calvin. Si sistemò il paracadute e lasciò penzolare i piedi oltre l’apertura. Poi scese verso la zona di tramonto.

19

Sul cavo ci si sentiva più leggeri. Erano più vicini al centro di Gea di cento chilometri circa, e lontani cento lunghissimi chilometri dal suolo. La gravità era scesa a meno di un quinto di quella terrèstre. Il bagaglio di Cirocco pesava almeno due chili di meno e anche il suo peso corporeo aveva subito un analogo decremento.

— Al punto in cui il cavo si unisce alla volta mancano un centinaio di chilometri — disse Cirocco. — Direi che l’inclinazione è di trentacinque gradi. Non dovremmo avere difficoltà.

— Secondo me sono una quarantina — ribatté Gene, scettico. — Forse quarantacihque. E l’inclinazione continua a crescere. A livello della volta sarà di una sessantina di gradi.

— Ma con questa gravità…

— Non c’è da ridere su una pendenza di quaranta gradi — disse Gaby. Era seduta sul terreno e aveva l’aria di essersi appena ripresa. Aveva vomitato, ma diceva di sentirsi meglio adesso che non era più sull’aerostato. — Sulla Terra ho fatto qualche scalata con un telescopio sulla schiena. Bisognerebbe essere in forma, e noi non lo siamo.

— Ha ragione — disse Gene. — E poi la bassa gravità fa girare la testa.

— Siete dei disfattisti.

Gene scose la testa. — Non pensare che stiamo creando inutili problemi. E non dimenticare che la massa del peso che porti è rimasta uguale. Stacci molto attenta.

— Insomma, stiamo per imbarcarci in un’impresa mai tentata da nessun essere umano, e c’è qualcuno che canta? No, tutti a brontolare.

— Se vogliamo cantare — disse Gaby — cantiamo subito, perché poi ci passerà la voglia.

Bene, pensò Cirocco, ora ci siamo. Era consapevole che il viaggio si annunciava difficile, ma sentiva che la parte più difficile sarebbe venuta quando fossero giunti in cima, il che voleva dire tra almeno cinque giorni.

Si trovavano in una foresta buia. Alberi di vetro opaco incombevano su di loro, filtrando ulteriormente la scarsa luce che giungeva sin lì e proiettando tutto intorno riflessi bronzei. Le ombre erano coniche e impenetrabili, puntate a est, verso la notte. In alto, un’enormità di foglie di plastica rosa, arancione, verdi, blu e dorate: uno stravagante tramonto in una tarda sera estiva.

Il terreno vibrava dolcemente sotto i loro passi. Cirocco pensò ai grandi volumi d’aria che sfioravano il cavo risalendo verso il mozzo. Le sarebbe piaciuto poter sfruttare tutta quella forza.

Salire non era difficile. Il terreno era terra battuta, dura. I trefoli sepolti sotto il sottile strato di terra davano forma al paesaggio. C’erano lunghi crinali di corda che, dopo qualche centinaio di metri di percorso in rettilineo, seguivano la curvatura del cavo verso l’alto.

La vegetazione era più fitta tra un trefolo e l’altro, dove il terreno era più spesso. Adottarono la tattica di seguire un crinale finché non cominciava a incurvarsi; allora superavano la gola che li divideva dal crinale a sud più vicino e si mettevano a seguire quello. Dovevano spostarsi di crinale in crinale ogni mezzo chilometro circa.

In fondo a ogni gola scorreva un minuscolo canale d’acqua che si era scavato il letto nel terreno. La quantità d’acqua era scarsa, ma il flusso costante. Probabilmente l’acqua finiva col precipitare a terra in un punto a sud-ovest del cavo.

Gea era prolifica lì come cento chilometri più in basso. Molti alberi erano ricchi di frutti, e tra le fronde saltellavano animali arborei. Cirocco riconobbe un animaletto delle dimensioni di un coniglio, facile da uccidere e commestibile.

Alla fine della seconda ora Cirocco capò che il pessimismo degli altri due era giustificato. Se ne accorse quando le venne un crampo al polpaccio che la costrinse a sedersi.

— Non dite niente, eh?

Gaby sorrise, soddisfatta di sé.

— È l’inclinazione del cavo. Non sembra pesante, ma per salire si è costretti a camminare in punta di piedi.

Gene si sedette accanto a loro, con la schiena appoggiata a un trefolo. Attraverso un’apertura tra gli alberi potevano vedere buona parte di Iperione, che brillava attraente.

— Anche la massa è un problema — disse Gene. — Devo camminare quasi col naso a terra per potermi muovere agevolmente.

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