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— A me fa male la schiena — disse Gaby.

— Anche a me — ammise Cirocco. Con un po’ di massaggi il crampo era sparito, ma sarebbe tornato.

— Forse è meglio procedere a quattro zampe — disse Gene. — Stiamo facendo lavorare troppo le gambe. Se usiamo anche le mani, il peso si distribuisce uniformemente su tutto il corpo.

— Hai ragione — disse Gaby. — E poi saremmo più in forma al momento di salire in verticale. Sarà quasi tutto lavoro di braccia.

— Avete ragione tutti e due — disse Cirocco. — Ho esagerato col ritmo. Dovremo fermarci più spesso. Gene, vuoi prendere la mia borsa di pronto soccorso?

Si erano portati qualche medicina per raffreddori e febbre, disinfettanti, bende e un po’ dell’anestetico che Calvin aveva usato per gli aborti. C’era anche un libretto di pronto soccorso scritto da Calvin per loro e che trattava di problemi che andavano dal sangue da naso a come effettuare un’amputazione. C’erano persino delle bacche che servivano da stimolanti. E c’era una bottiglietta di un unguento viola che Maestrocantore le aveva dato per "i dolori del cammino". Se ne strofinò un po’ sulla gamba, sperando che fosse efficace anche per gli umani come sembrava che fosse per i titanidi.

— Pronte? — chiese Gene.

— Direi di sì. Vai tu per primo, ma non marciare troppo forte. T’avvertirò se il ritmo mi sembrerà troppo sostenuto. Tra venti minuti ci fermiamo per una sosta di dieci minuti.

Un quarto d’ora dopo, Gene urlava di dolore. Si tolse un mocassino e cominciò a massaggiarsi il piede.

Cirocco, contenta di potersi fermare, gli passò l’unguento di Maestrocantore. Seduta sul sacco era in posizione quasi eretta, ma le sue gambe penzolavano di traverso sul cavo. Al suo fianco, Gaby non si era data neppure la pena di voltarsi a vedere cosa stesse succedendo.

— Quindici minuti di marcia e quindici di sosta.

— Come vuoi tu, capo — sospirò Gaby. — Per te mi farò scorticare viva, camminerò finché piedi e mani saranno solo monconi sanguinolenti. E se muoio, sulla mia lapide fai scrivere che sono morta come muore un soldato. E dammi un calcio quando sei pronta a partire. — Cominciò a russare pesantemente facendo ridere Cirocco. Gaby aprì sospettosamente un occhio, poi si mise a ridere anche lei.

— Qualcosa tipo Qui giace una spaziale? — suggerì Cirocco.

— Fece il suo dovere - disse Gene.

— Onestamente — sospirò Gaby — dov’è il romanticismo nella vita? Parla con qualcuno del tuo epitaffio e cosa ne ricavi? Prese in giro.

Durante il periodo successivo di riposo, a Cirocco tornarono i crampi. Questa volta in tutte e due le gambe.

— Ehi, Rocky — disse Gaby, toccandole timidamente la spalla — è inutile ammazzarci. Fermiamoci un’ora, questa volta.

— Ridicolo — rispose Cirocco. — È roba da niente. Ma com’è che a te i crampi non vengono?

— Mi faccio tirare. Ti ho legato una corda attorno al sedere e sei tu che mi tiri su.

Cirocco rise, malgrado la stanchezza.

— Dovrò abituarmi. Prima o poi andrà meglio. E comunque i crampi non mi uccideranno.

— Che ne dite di proseguire per dieci minuti e fermarci per venti? — intervenne Gene. — Almeno finché non riusciamo a tenere un ritmo migliore.

— No. Continueremo così per otto ore di fila, a meno che qualcuno non sia costretto a fermarsi. Il che significa… — guardò l’orologio di Calvin — ancora un po’ più di cinque ore. Poi ci accamperemo.

Gaby sospirò. — Guidaci, Rocky. È quello che sai fare meglio.

Era mostruoso. Cirocco continuò a soffrire di crampi, e anche Gaby perse la sua immunità.

L’unguento dei titanidi aveva un certo effetto, ma non potevano sprecarlo tutto subito. Il vasetto di Cirocco era già finito. Lei sperava che col tempo riuscisse ad abituarsi, che dopo qualche giorno i crampi sparissero.

Al termine della settima ora, si sentiva un po’ meno inflessibile. Che avesse ragione Bill? Provava davvero il bisogno di arrivare fino ai limiti estremi della propria resistenza, e magari oltre?

Si accamparono sul fondo di una gola. Accesero il fuoco, ma non montarono le tende. L’aria era calda e umida. Il fuoco serviva più che altro a dissipare le tenebre sempre più fitte. Vi sedettero attorno in circolo.

— Mi sembri un pavone — disse Gene, bevendo un sorso di vino.

— Un pavone molto stanco — sospirò Cirocco.

— Quanta strada avremo fatto, Rocky? — chiese Gaby.

— Direi una quindicina di chilometri.

— Esatto — commentò Gene. — Ho fatto la media dei passi che abbiamo percorso su un paio di crinali, poi ho tenuto il conto dei crinali. Dovrebbero essere quindici chilometri.

— Le grandi menti hanno le stesse idee — disse Cirocco. — Quindici oggi, venti domani. In cinque giorni arriveremo alla volta. — Si stiracchiò con voluttà e rimase un attimo a fissare i mutevoli colori delle foglie che li sovrastavano. — Gaby, sei tu l’eletta. Fruga in quel sacco e tira fuori un po’ di cibo. Ho tanta fame che mangerei un titanide.

Il giorno dopo non fecero venti chilometri, e nemmeno dieci. Si svegliarono con le gambe a pezzi. Cirocco era talmente indolenzita che non riusciva a piegare le ginocchia senza gemere di dolore. Si aggiravano con movimenti da ottuagenari, preparando la colazione e smontando il campo, e quindi cercarono di sforzarsi in una serie di piegamenti e di esercizi isometrici.

— Eppure lo so che questo coso è più leggero — borbottò Gaby mentre si buttava il sacco sulle spalle. — Ho mangiato due razioni di cibo.

— Il mio pesa venti chili di più — disse Gene.

— Basta con le chiacchiere. Forza, scimmie. Coraggio, un po’ di vita!

— Vita? Perché, questa è vita?

La seconda notte scese solo cinque ore dopo la prima, perché Cirocco decise che così doveva essere.

— Grazie, grande signora del tempo — mormorò Gaby, infilandosi nel suo sacco a pelo. — Con un po’ di buona volontà, forse riusciremo a stabilire un nuovo record: un giorno di due ore!

— Stasera — disse Gene — il fuoco lo accendi tu, poi prepari da mangiare. E fai piano, perché tutti quegli scricchiolii di ginocchia mi danno fastidio.

Cirocco incrociò le braccia e rimase a fissare i due.

— Così avete già deciso tutto, vero? Io invece ho buone notizie per voi: qui il capo sono io.

— Gene, l’hai sentita dire qualcosa?

— Non ho sentito neanche una parola.

Cirocco zoppicò un po’ in giro finché ebbe radunata abbastanza legna per il fuoco. Inginocchiarsi per accenderlo si rivelò presto un grosso problema che non era ben sicura di riuscire a risolvere. Dovette ricorrere a torsioni che non avrebbe mai creduto possibili.

Ma dopo un po’ i ramoscelli crepitarono, e Gaby e Gene si mossero al seguito dei propri nasi che avevano sentito l’aroma del cibo.

Cirocco trovò ancora sufficiente forza per raccogliere un po’ di terra attorno al fuoco per impedirgli di propagarsi, poi srotolò il sacco a pelo. Dormiva già quando ci s’infilò.

Il terzo giorno non fu terribile come il secondo, esattamente come l’incendio di Chicago non fu terribile come il terremoto di San Francisco.

In otto ore percorsero solo dieci chilometri, su un terreno sempre più ripido. Alla fine, Gaby disse che non le sembrava più di avere ottant’anni; le sembrava di averne solo settantanove.

Divenne necessario adottare una nuova tattica di salita. Con l’aumentare della pendenza era praticamente impossibile camminare anche a quattro zampe. I piedi scivolavano, e per non cadere all’indietro dovevano buttarsi a terra a corpo morto.

Gene suggerì che, a turno, uno di loro si arrampicasse il più in alto possibile e legasse un’estremità della loro fune a un albero; dopo di che, gli altri due potevano arrampicarsi con una certa facilità attaccandosi alla fune. Chi saliva per primo lavorava sodo per dieci minuti mentre gli altri due riposavano; poi riposava per altri due turni prima di doversi arrampicare di nuovo. In questo modo, fecero trecento metri per volta.

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