Литмир - Электронная Библиотека
A
A

Gaby la guardò per un lungo momento, poi abbassò di nuovo la testa sulla sua spalla. Smise di piangere e di tremare.

— Come fai a essere così forte? — chiese Gaby, con la voce soffocata dalla vicinanza del corpo di Cirocco.

— E tu come fai a essere così coraggiosa? Continui a salvarmi la vita.

Gaby scosse la testa. — No, parlo sul serio. Se in questo momento non ci fossi tu, impazzirei. E tu non piangi nemmeno.

— È difficile che io pianga — disse Cirocco.

— Nemmeno se ti violentano? Dio, è stato orribile. Per te, per lui, per tutto. Non so cos’è stato peggio.

— Gaby, vorrei fare all’amore con te se questo servisse ad alleviare il tuo dolore, ma non me la sento. Fisicamente.

Gaby scosse la testa.

— Non è questo che voglio da te anche se tu lo sentissi moltissimo. Se devi sforzarti di fare una cosa, a me non va. Io non sono Gene, e preferirei essere violentata io piuttosto che capitasse qualcos’altro a te. A me, basta volerti bene.

Cosa dirle, cosa dirle? "Quello che vuoi, ma non dirle bugie", si disse.

— Senti, non so se sarò capace mai di amarti come vorresti tu. Però credimi, sei la migliore amica che io abbia mai avuto.

Gaby uscì in un sospiro tenero.

— Per ora dovrà bastarmi.

Cirocco pensò che si sarebbe rimessa a piangere. Invece l’abbracciò un attimo e le diede un bacio sul collo.

— La vita è dura, eh? — chiese, con una voce sottilissima.

— Maledettamente dura. Andiamo a dormire.

Si cercarono un posto comodo; Gaby s’indirizzò verso est, Cirocco dalla parte opposta. Fra di loro tennero il fuoco che attizzarono prima di coricarsi.

Quella notte, Cirocco si svegliò urlando. Rivedeva Gene che le puntava il coltello sotto il mento e il sudore le imperlava il corpo. Gaby, che si era addormentata un gradino più sotto di lei, era al suo fianco e cercava di calmarla.

— Da quanto tempo sei qui? — le chiese.

— Da quando ho ricominciato a piangere. Grazie per avermi lasciata salire.

Bugiarda. Ma le venne da sorridere.

Per un migliaio di scalini la temperatura continuò a salire. Le pareti scottavano, la suola delle loro scarpe bruciava. Cirocco sentì il sapore della sconfitta. Dovevano essere ancora lontane dal centro parecchie migliaia di scalini, ed era logico aspettarsi che solo al centro la temperatura scendesse.

— Altri mille scalini, se ce la facciamo — disse. — Se il caldo continua ad aumentare, torniamo indietro e proviamo a salire all’esterno del cavo. — Ma era un’idea impossibile: gli alberi erano già pochi quando erano entrate nel tunnel, e ormai l’inclinazione del cavo doveva essere di ottanta gradi. Si sarebbe trovata di fronte alla sua ipotetica montagna di vetro, la probabilità peggiore cui avesse pensato quando stava preparando il viaggio.

— D’accordo su tutto, ma aspetta un momento. Mi tolgo la camicia. Mi sto sciogliendo.

Si tolsero le camicie e proseguirono all’interno di quella fornace. Cinquecento scalini dopo, si rivestirono. Altri trecento scalini, e furono costrette a infilare i maglioni.

Le pareti erano ricoperte di ghiaccio, e sotto i loro piedi scricchiolava la neve. Si misero i guanti, alzarono i cappucci delle giacche a vento. La luce della lampada, riflessa dalle pareti di un bianco candido, era quasi abbagliante. Il loro fiato si condensava in cristalli ghiacciati. Più avanti, il tunnel si restringeva gradualmente.

— Altri mille gradini? — chiese Gaby.

— Mi hai letto nel pensiero.

Il ghiaccio che pendeva dal soffitto costrinse ben presto Cirocco ad abbassare la testa, poi ad avanzare carponi. Il buio diventò più fitto quando Gaby, che reggeva la lampada, la superò di diversi scalini. Cirocco dovette sdraiarsi ventre a terra.

— Ehi, non ci passo! — Era una situazione paurosa, ma bastava tornare indietro per liberarsi. Era contenta di non sentire toni di paura nella voce.

Lo scricchiolio che la precedeva si fermò di colpo.

— Okay — le rispose Gaby. — Mi sembra che il tunnel qui si allarghi. Vado avanti a vedere per una ventina di metri, poi ti dico.

— Va bene. — Rimase in ascolto del suono che svaniva davanti a lei. Scese l’oscurità, e lei ebbe abbastanza tempo da farsi venire i sudori freddi prima che riapparisse la luce. In un attimo Gaby era tornata.

La sua faccia era incrostata di cristalli di ghiaccio.

— Questo è il punto peggiore.

— Allora passerò. Non sarò arrivata fin qui per restare intrappolata come una scema.

— Mangia meno dolci, cicciona.

Gaby tirò fuori la piccozza e cominciò a picchiare sul ghiaccio, scrostandone un po’ dalle pareti.

— Lascia andare il fiato — disse a Cirocco, poi l’afferrò per le mani e tirò. Cirocco riuscì a passare dall’altra parte.

Alle loro spalle, una lastra di ghiaccio lunga un metro cadde sugli scalini e volò giù, verso la luce.

— Dev’essere il cavo che si flette — disse Gaby. — Dev’essere per questo che il passaggio è aperto. Se non facesse cadere ogni tanto un po’ di ghiaccio, questo passaggio sarebbe ostruito.

— Quello, e l’aria calda che sale dietro noi. Comunque muoviamoci e stiamo attente che non ci arrivi qualcosa sulla testa.

Ben presto il ghiaccio scomparve e loro poterono rimettersi diritte. Si tolsero i maglioni, chiedendosi che altro le aspettasse.

Il rombo iniziò quattrocento scalini dopo. Divenne sempre più forte. Dovevano esserci delle macchine in azione dall’altra parte del muro del tunnel. Una delle pareti era calda, ma non in maniera insopportabile.

Senza dubbio era l’aria che veniva risucchiata dal posto dei venti e risaliva in alto, verso una destinazione ignota.

Altri duecento scalini, e si trovarono in una zona calda. La superarono di corsa, senza nemmeno togliersi i vestiti perché sapevano di essere vicine alla fine del tunnel. Il caldo raggiunse punte estreme, da sauna, che Cirocco stimò essere sui cinquanta gradi; poi Gaby, sempre in testa, vide la luce. Era solo una piccola striscia argentea che apparve alla loro sinistra e diventò sempre più grande, finché non si trovarono su una sporgenza che usciva dal cavo. Si diedero una pacca sulla schiena, poi ricominciarono a salire.

Si trovavano sulla cima del cavo e sempre arrampicavano mentre il cavo s’inarcava sempre più, su verso l’ampia gibbosità e in giù verso la lontanissima base. Adesso il cavo era assolutamente nudo: né alberi, né terreno. Per la prima volta, Gea sembrava l’incredibile, enorme macchina che era, costruita da esseri che forse vivevano ancora nel mozzo. Il cavo saliva, liscio e diritto, con un’inclinazione di sessanta gradi, avvicinandosi sempre più all’orlo svasato del raggio. Ormai, lo spazio che le divideva dal raggio era di due chilometri appena.

A sud, la scalinata entrò in un altro tunnel. Si avventurarono senza timori, sicure di non avere sorprese. Superarono la prima zona calda e si stavano congratulando l’un l’altra quando la temperatura cominciò a diminuire. Arrivò a livelli di freddo glaciale, insostenibile.

— Dannazione! Qui la disposizione è diversa. Andiamo, presto!

— Da che parte?

— Indietro no, sempre avanti. Forza!

Sarebbero state in pericolo solo se una di loro due fosse caduta e si fosse ferita, e questo spaventava Cirocco, che dovette ricordare a se stessa di non prendere mai nulla per scontato su Gea. E dovette anche ricordarsi che il cavo era composto da un centinaio di trefoli intrecciati, e che quindi il percorso dei fluidi caldi e freddi che vi scorrevano attraverso doveva essere molto complesso.

Oltrepassarono una zona di vibrazioni, sempre al centro; un’altra zona fredda, meno rigida della prima; e riemersero sul lato nord del cavo.

Dopo di che, infilarono un altro tunnel, e tornarono a emergere sul cavo.

In due giorni superarono altri sette tunnel. La loro marcia venne ritardata dal quarto, così incrostato di ghiaccio che nemmeno Gaby riuscì a evitare di strisciare. Impiegarono otto gelide ore per scavarsi un sentiero nel ghiaccio.

49
{"b":"119648","o":1}