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Ma quando spuntarono di nuovo sul lato sud del cavo, non c’erano più tunnel. L’inclinazione era ormai fra gli ottanta e i novanta gradi, e la scalinata saliva all’esterno del cavo, senza offrire la minima protezione come la strisciolina rossa di un pacchetto di gomma da masticare.

L’idea di accamparsi su un gradino sospeso sul vuoto era inaccettabile anche perché erano a 250 chilometri dal suolo. Cirocco tossiva nel sonno, e sarebbe bastato un niente a scaraventarla giù. Così, per quanto stanche, continuarono a marciare, tenendosi ben vicine al cavo sulla loro sinistra, solido e rassicurante.

A Cirocco non piaceva quello che vedeva sopra di sé. Più salivano, più l’impresa appariva impossibile.

Dai rilievi eseguiti sul Ringmaster sapevano che i raggi possedevano una sezione trasversale ovale, con due diametri massimi rispettivamente di cinquanta e cento chilometri circa; poi si svasavano fino a incontrare l’orlo esterno. Avevano appena oltrepassato la parte svasata, e le pareti del raggio sembravano quasi verticali. Però nessuno di loro aveva previsto la sporgenza che correva attorno al mostruoso foro centrale del raggio, una sporgenza larga almeno cinque chilometri.

Il cavo entrava in un foro della sporgenza e probabilmente proseguiva verso l’alto, fino a unirsi all’elemento che lo congiungeva al mozzo. Durante una sosta, studiarono la sporgenza: sospesa sopra di loro, sembrava vicinissima, e invece era lontana due chilometri. Un tetto gigantesco che pareva protendersi all’infinito. Il foro cenrale, rimpicciolito dalla prospettiva, era un ovale di quaranta chilometri per ottanta; ma tra loro e il foro si frapponevano i cinque chilometri della sporgenza.

Gaby guardò Cirocco con aria interrogativa.

— Non facciamoci altre preoccupazioni. Finora Gea ci è stata amica. Forza, mia cara.

E Gea fu di nuovo buona con loro. Quando arrivarono al punto in cui il cavo si infilava nella sporgenza trovarono un altro tunnel che le passava attraverso.

Accesero la lampada, anche se ormai erano a corto di olio e ricominciarono a salire.

Il tunnel girava verso est come se seguisse ancora il cavo, ma loro non potevano essere sicure che il cavo ci fosse davvero. Contarono duemila scalini, poi altri duemila.

— Mi è venuta un’idea — disse Gaby. — Forse questo tunnel arriva fino al mozzo. Ma non credere che sia una buona notizia. Pensaci un attimo.

— Lo so, lo so. Avanti. — Ormai erano a corto di olio per la lampada e di cibo, e le riserve di acqua erano dimezzate. Al mozzo mancavano ancora trecento chilometri, il che significava, grosso modo, un milione di scalini.

Incollò gli occhi all’orologio. Avevano un ritmo di quasi due scalini al secondo. Bastava una spinta minima per proiettarsi in alto, allo scalino successivo. La gravità lì era circa un ottavo di quella terrestre.

A due scalini al secondo, un milione di scalini significava mezzo milione di secondi, cioè circa sei giorni, senza contare le ore di sosta. Secondo una stima approssimativa…

— Lo so cosa stai pensando — disse Gaby alle sue spalle. — Ma ce la faremo lo stesso se restiamo al buio?

Era quello il punto cruciale. Il cibo poteva durare per due settimane, e l’acqua, razionandola, sarebbe bastata fino in cima, non certo per tornare.

Il guaio era che non avevano più olio per le lampade. Avevano al massimo un’autonomia di luce di cinque ore, e procurarsi altro olio era impossibile.

Cirocco stava ancora meditando sulla situazione, cercando di trovare un modo per sopravvivere, quando emersero alla base del raggio.

Niente l’aveva mai fatta sentire più piccola: né O’Neil Uno, né le stelle nello spazio, né il suolo di Gea. Vedeva tutto, e il suo senso prospettico la tradiva.

Era impossibile scorgere la curvatura delle pareti. Come un orizzonte capovolto, si allontanavano da lei gradualmente e si piegavano all’improvviso. Lo spazio pareva più semi-circolare che circolare.

Tutto era immerso in una luminescenza color verde pallido. La fonte di luce erano quattro file verticali di finestre da cui partivano raggi luminosi che si incrociavano al centro.

Non era del tutto vuoto: nel centro si trovavano tre cavi verticali annodati assieme, simili a una gigantesca treccia di capelli; e dai raggi di luce uscivano volteggiando nubi strane, cilindriche, che si muovevano sotto i loro occhi.

Era quella la vera cattedrale, non la pallida imitazione incontrata a terra sotto i trefoli del cavo. Gea non cessava di sorprenderle.

— Credevo di aver visto tutto — disse Gaby, indicando la parete che avevano alle spalle. — Ma una giungla verticale?

Non esisteva altro modo di descriverla. L’interno delle pareti del raggio era folto di alberi, coi rami che si protendevano in ogni direzione. In alto, molto più in alto, a una distanza imperscrutabile, gli alberi lasciavano posto a un tappeto d’erba.

E ancora più sopra si alzava una volta grigia.

— Secondo me dovrebbero essere circa trecento chilometri.

Gaby socchiuse un attimo gli occhi, poi costruì una sorta di reticolo con le dita e cominciò a calcolare sottovoce secondo un sistema tutto suo.

— Copre l’esatto numero di gradi.

— Sediamoci un momento a riflettere.

Cirocco aveva più bisogno di sedersi che di riflettere. Fino a quel punto era convinta di potercela fare. Adesso capiva che la sua illusione nasceva solo dall’incapacità di afferrare il problema nella sua interezza. E il problema era lì, tangibile: trecento chilometri. Da superare in verticale.

In verticale.

Doveva essere pazza.

— Punto primo. Ti sembra che esista un modo per arrivare fin là in alto?

Gaby guardò in su, scrollò le spalle.

— E cosa significa? Fin qui ci siamo arrivate, no? E la strada che abbiamo percorso non si vede più.

— Giusto. Però speravamo di trovare una scala che ci portasse fino al mozzo. Tu la vedi?

— No.

— Bene. Prima pensavo che quelle scale dovessero arrivare fino in cima. Adesso comincio a pensare che si fermino qui.

— Forse. Dovrebbero aver preordinato una strada per raggiungere il mozzo. Ci sarà pure un modo per arrivarci. Probabilmente quegli alberi non dovrebbero trovarsi lì. Avranno nascosto tutto, come sul cavo.

— E in questo caso…

— In questo caso abbiamo un bel po’ di arrampicata da fare — finì Gaby per lei. — Con tutta questa giungla è difficile da vedere. Ammesso che esista un percorso, probabilmente è più facile vederlo dall’alto che da qui. Non so se riusciremo mai a trovarlo.

— Già. Però mi è venuta in mente un’altra cosa. Ammettiamo di arrivare fino al mozzo. Poni che arriviamo in alto e scopriamo che una scala non esiste proprio. In questo caso, come facciamo a ridiscendere?

Gaby si mise a ridere.

— Se vuoi propormi di tornare indietro, dillo pure. Non ho nessuna intenzione di prenderti in giro.

— Torniamo indietro? — Non aveva pensato al punto interrogativo, ma le venne spontaneo.

— No.

— Ah. Capisco. — Da tempo s’erano scordate le distinzioni fra Comandante ed equipaggio. Cirocco si mise a ridere, scosse la testa. — Va bene. Cosa proponi allora?

— Per prima cosa cerchiamo come si deve. Se ci fosse il tuo ascensore e non lo trovassimo, che figura ci faremmo?

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