— È nei parametri oppure fuori? Non ho nessuna intenzione di far compiere un balzo a mille persone verso una morte sicura, dannazione. Soprattutto se fra di esse vi sono anch’io.
— Nei parametri, nei parametri — disse Leo a denti stretti. — Solo… non fare troppi giochetti, eh? Per rispetto alla mia pressione, se non altro.
Ti borbottò qualcosa, che avrebbe potuto essere all’inferno la tua pressione, ma Leo non ne era sicuro e non gli chiese di ripetere.
Leo e la sua squadra raccolsero le apparecchiature e si allontanarono a distanza di sicurezza dal braccio della barra Necklin. La luce del sole di Rodeo era pallida e sottile, là, a un’ora di distanza dal punto di balzo del corridoio; più luminosa di una stella, ma certo non la fornace nucleare che aveva riscaldato l’Habitat nell’orbita di Rodeo.
Leo colse l’opportunità di osservare la loro nave-colonia da quell’angolazione vantaggiosa. Più di cento moduli erano stati uniti insieme lungo l’asse della nave, tutti ancora adibiti, più o meno, alle loro funzioni originarie. Che gli venisse un colpo se la disposizione non sembrava quasi voluta, in una sorta di funzionalità un po’ folle. A Leo faceva venire in mente l’eccitante bruttezza delle prime sonde spaziali del ventesimo e ventunesimo secolo.
Miracolosamente, aveva retto brillantemente durante quei due giorni di accelerazione e decelerazione costante. Si era scoperto, inevitabilmente, che qualche dettaglio qua e là era stato trascurato. Con molto impegno, i quad più giovani avevano fatto un buon lavoro rimettendo in ordine tutto quanto; il reparto Alimentazione era riuscito a nutrire tutti, anche se il menù era un tantino improvvisato; grazie ai coraggiosi sforzi di quel giovane sovrintendente della Manutenzione Sistemi di Aerazione che era rimasto con loro e della sua squadra di quad, non avevano più dovuto interrompere l’accelerazione per permettere il funzionamento degli impianti idraulici. Per un po’ Leo aveva avuto la certezza che quelle fermate, per quanto brevi, sarebbero state fatali a tutti loro, anche se non aveva certo mancato di approfittare della cosa per dare gli ultimi ritocchi al riflettore di vortice.
— Vedi del fumo? — chiese la voce di Ti.
— No.
— Allora ci siamo. È meglio che portiate dentro i vostri sederini al sicuro. E appena avrai sistemato tutto, Leo, apprezzerei una tua visita qui, nella cabina di pilotaggio.
Qualcosa, nel tono della voce di Ti gli procurò un brivido. — Oh? Che succede?
— C’è una navetta della Sicurezza in avvicinamento da Rodeo. Il tuo vecchio amicone Van Atta è a bordo e ci ordina di fermarci e desistere. Non credo che ci resti molto tempo.
— Continuate a mantenere il silenzio radio, spero?
— Oh, certo, naturalmente. Ma questo non mi impedisce di ascoltare, no? Arrivano un sacco di chiacchiere dalla Stazione di Balzo… ma non mi preoccupano come quelle che sento arrivare alle nostre spalle. Io credo che… uhm, Van Atta non sopporti molto bene il senso di frustrazione.
— È al limite, eh?
— Oltre, credo. Quelle navette della Sicurezza sono armate, sai, e nello spazio normale sono molto più veloci di questo mostro. Il fatto che i loro laser siano classificati come «armamento leggero» non significa che sia proprio salubre finirci davanti. Preferirei compiere il balzo prima che arrivino a distanza di tiro.
— Ho capito. — Leo diresse la sua squadra verso il portello del modulo-spogliatoio.
Così, erano arrivati alla resa dei conti. Leo aveva pensato a una dozzina di piani di difesa, come mine esplosive e saldatori a raggi, per l’atteso scontro fisico con il personale della GalacTech che avrebbe cercato di riprendersi l’Habitat. Ma tutto il suo tempo era stato assorbito dal riflettore di vortice e quindi in quel momento, le uniche armi pronte e disponibili erano le saldatrici e anche queste non sarebbero servite a molto in una battaglia che si svolgesse all’interno. Non faceva fatica ad immaginare qualcuno che mancava il bersaglio mentre il raggio perforava la parete penetrando nel modulo-nido là accanto. In assenza di peso, i quad potevano essere avvantaggiati in un corpo a corpo, ma le armi annullavano quel vantaggio, perché erano molto più pericolose per i difensori che per gli attaccanti. Tutto dipendeva dal tipo di attacco che Van Atta avrebbe lanciato. E Leo odiava dipendere da Van Atta.
Van Atta imprecò un’ultima volta nel microfono e poi rifilò un colpo rabbioso al pulsante di accensione. Da ore ormai aveva terminato il suo repertorio di improperi e sapeva di ripetersi. Volse le spalle alla consolle delle comunicazioni e lanciò un’occhiata infuriata alla cabina di controllo della navetta della Sicurezza.
Nella parte anteriore, il pilota e il copilota erano immersi nel loro lavoro. Bannerji, al comando delle forze di attacco e la dottoressa Yei (ma come aveva fatto a infiltrarsi in quella spedizione?), erano legati nelle cuccette di accelerazione, Yei in quella del tecnico e Bannerji in quella della postazione armamenti dall’altra parte della corsia, davanti a Van Atta.
— Allora ci siamo — sbottò Van Atta. — Siamo già a distanza per il laser?
Bannerji controllò uno strumento: — Non proprio.
— La prego — disse la dottoressa, — mi lasci parlare con loro ancora una volta…
— Se sono nauseati dal suono della sua voce solo la metà di quanto lo sono io, allora non risponderanno — ringhiò Van Atta. — Gli ha parlato per ore, cerchi di rendersene conto: non la ascoltano più, Yei. Ecco dove va a finire la psicologia.
Fors, il sergente della Sicurezza, sporse la testa dallo scompartimento in cui viaggiava con le altre ventisei guardie della GalacTech. — Quali sono gli ordini, capitano Bannerji? Dobbiamo infilarci le tute per l’attacco?
Bannerji sollevò un sopracciglio in direzione di Van Atta. — Be’, signor Van Atta? Qual è il piano? Mi sembra che dobbiamo cancellare tutti quelli che prevedevano la loro resa.
— L’ha detto. — Van Atta guardò cupo lo schermo comunicazioni che restava grigio e vuoto. — Appena sono a tiro, aprite il fuoco su di loro. Per prima cosa mettete fuori uso le barre Necklin, poi, se ci riuscite, i propulsori normali. Poi spariamo, apriamo un varco, entriamo e iniziamo il rastrellamento.
Il sergente Fors si schiarì la gola. — Lei ha detto che c’erano mille di quei mutanti a bordo, vero signor Van Atta? Che ne direbbe di lasciar perdere la parte relativa all’abbordaggio e limitarci a prendere a rimorchio l’intera nave, riportandola dove vuole lei? Le probabilità di riuscita di un abbordaggio non sono un tantino… uhm, sproporzionate?
— Se la prenda con Chalopin. È stata lei a rifiutarsi di reclutare gente al di fuori della Sicurezza. Ma le proporzioni non sono quelle che sembrano. I quad sono degli smidollati. Per l’amor del cielo, la metà di loro sono bambini al di sotto dei dodici anni. Entrate e stordite tutto quello che si muove. Quante ragazze di cinque anni pensa di riuscire a tenere a bada, lei, Fors?
— Non lo so, signore — rispose Fors sbattendo le palpebre. — Non mi sono mai immaginato a combattere contro delle bambine di cinque anni.
Bannerji tamburellò sulla consolle e guardò la dottoressa Yei. — Quella ragazza con il bambino, quella a cui per poco non sparavo quel giorno nel magazzino, è a bordo, dottoressa Yei?
— Claire? Sì — rispose la dottoressa in tono neutro.
— Ah! — Bannerji distolse lo sguardo dagli occhi penetranti della donna e si agitò sul sedile.
— Speriamo che la sua mira sia migliore questa volta, Bannerji — disse Van Atta.
Bannerji fece ruotare sul video i disegni di una supernave, facendo dei brevi calcoli. — Lei si rende conto — disse lentamente, — che nella realtà ci saranno un certo numero di fattori imponderabili… ci sono buone probabilità che finiremo con fare dei buchi anche nei moduli abitati mentre cerchiamo di centrare le barre Necklin.