Sospirando, Tony tamburellò con le dita della mano destra inferiore sulla superficie dello scaffale, cercando di controllare la propria frustrazione. Claire arrotolò strettamente il pannolino usato e fece per rimetterlo nel sacco.
— Dobbiamo proprio portarceli dietro? — chiese Tony a un tratto. — Tra un po’ tutto quello che c’è nel sacco puzzerà. E poi è già abbastanza pesante.
— Non ho visto nessuno scarico per i rifiuti — disse Claire. — Che altro possiamo farne?
Il viso di Tony rivelò il suo conflitto interiore. — Lasciamoli qui — sbottò. — Sul pavimento. Qui non c’è pericolo che galleggino per andare a infilarsi in qualche condotto di aerazione. Lasciamo tutto qui.
Quell’idea rivoluzionaria e terrificante lasciò Claire a bocca aperta. Tony fece seguire i fatti alle parole prima di perdere il coraggio e raccolse i quattro piccoli fagottini, cacciandoli nell’angolo più lontano della celletta. Poi sorrise, con un’espressione tra il colpevole e il deliziato. Claire lo guardò preoccupata. Sì, erano in una situazione fuori dell’ordinario, ma Tony non stava forse correndo il rischio di sviluppare una tendenza al comportamento criminale? Sarebbe tornato normale quando fossero arrivati… dovunque dovessero arrivare?
Sempre che fossero riusciti ad arrivare da qualche parte. Claire si immaginò un’orda scatenata all’inseguimento dei pannolini sporchi, come la scia di petali di rosa lasciati cadere dall’eroina di uno dei libri di Silver attraverso mezza galassia…
— Se l’hai rimesso a posto — disse Tony indicando suo figlio con un cenno del capo, — forse faremmo meglio a incamminarci verso l’hangar. Quella folla di terricoli dovrebbe essersi diradata, ora.
— Come faremo a prendere la navetta, questa volta? — chiese Claire. — Come faremo a sapere che non è diretta verso l’Habitat… o che non ha un carico che deve essere svuotato nello spazio? Se aprissero la stiva mentre siamo nel vuoto…
Tony scosse il capo, stringendo le labbra. — Non lo so. Ma Leo dice… per risolvere un grande problema o completare un grande progetto, il segreto è di suddividerlo in tante piccole parti e affrontarle una alla volta, per ordine. Per prima cosa limitiamoci ad arrivare all’hangar e vediamo innanzitutto se ci sono delle navette.
Claire accennò di sì con il capo e poi si rese conto che Andy non era il solo ad essere perseguitato dalla biologia. — Tony, pensi che troveremo un bagno lungo la strada? Ne ho bisogno.
— Già, anch’io — ammise lui. — Ne hai visto qualcuno venendo qui?
— No. — Individuare quel genere di cose non faceva parte della loro lista di priorità durante quel percorso da incubo, in cui avevano dovuto strisciare sul pavimento, scansare terricoli indaffarati, tenere stretto Andy per paura che si mettesse a piangere. Claire non era nemmeno sicura di rammentarsi la strada che avevano percorso per arrivare fin lì, quando erano stati costretti a lasciare il primo nascondiglio a causa della squadra di lavoro che si era diretta verso i macchinari per metterli in azione.
— Devono essercene — fu l’ottimistico ragionamento di Tony, — qui c’è della gente che lavora.
— Non in questa sezione — gli fece notare Claire, guardando le pareti ricoperte da celle di immagazzinaggio. — Qui è tutto automatizzato.
— Allora verso l’hangar. Di’… — chiese con voce incerta, — per caso hai idea di che aspetto abbia un gabinetto in un campo gravitazionale? La suzione d’aria non riuscirebbe a contrastare la forza di gravità.
In uno dei videodrammi storici contrabbandati da Silver c’era un scena in cui si vedeva una piccola baracca di legno all’esterno, ma Claire era sicura che si trattasse di tecnologia sorpassata.
Tony arricciò il naso e con una scrollata di spalle mise da parte le sue perplessità. — Lo scopriremo. — Il suo sguardo si posò con rimpianto sul mucchietto di pannolini appoggiati in un angolo. — Peccato…
— No! — esclamò Claire disgustata. — Almeno… almeno cerchiamo di trovare un bagno, prima.
— Va bene…
In lontananza si udì un ritmico ticchettio che si faceva sempre più forte. Tony, sul punto di scendere la scala, si lasciò sfuggire un gemito e si ritrasse in fretta nel cubicolo. In preda al panico, si mise un dito sulle labbra e tutti e tre si ritirarono sul fondo della cella.
— Aaah? — esclamò Andy. Claire lo prese in braccio e lo avvicinò al seno. Ma ormai sazio e stufo, il piccolo si rifiutò di succhiare, voltando la testa da un’altra parte. Claire si sistemò la maglietta e cercò di distrarlo contandogli in silenzio tutte le dita. Anche Andy, come lei del resto, se le era sporcate: non era una sorpresa, i pianeti erano sporchi. La sporcizia aveva un aspetto migliore, se vista da lontano, diciamo almeno da qualche centinaio di chilometri.
Il ticchettio si fece più forte, passò proprio sotto di loro, e infine si allontanò.
— Un uomo della Sicurezza — sussurrò Tony all’orecchio di Claire.
Lei annuì, osando a malapena respirare. Il rumore era provocato dalle rigide coperture che i terricoli avevano ai piedi e che risuonavano sul pavimento di cemento. Passarono alcuni minuti e non si udì più alcun rumore. Andy emetteva solo dei brevi suoni inarticolati.
Tony sporse cautamente la testa fuori dalla cella, guardando a destra e a sinistra, in su e in giù. — Va bene. Tienti pronta ad aiutarmi con il sacco quando passa il prossimo elevatore. Dovrò farlo cadere per l’ultimo metro, ma il suono dell’elevatore coprirà il rumore.
Insieme spinsero il pacco verso l’orlo della cella e attesero. L’elevatore automatico stava percorrendo il corridoio, con un enorme cassa di plastica grande quasi quanto il cubicolo sistemata sui bracci a forcella.
Si fermò sotto di loro, emise una serie di «bip» e compì un giro di novanta gradi. Con uno stridio, il piano dell’elevatore cominciò ad alzarsi.
E in quel momento, Claire ricordò che la loro era l’unica cella libera di tutta la fila.
— Sta venendo qui! Ci schiaccerà!
— Svelta, sulla scala, sulla scala! — gridò Tony.
Claire invece strisciò indietro per prendere Andy, che nel frattempo aveva sistemato in fondo alla cella, il più lontano possibile dallo spaventoso bordo, mentre aiutava Tony a spingere il sacco in avanti. La cella si oscurò quando la cassa giunse davanti all’apertura. Tony riuscì a stento ad appiattirsi contro la scala mentre il contenitore veniva spinto nella cella.
— Claire! — gridò Tony, picchiando inutilmente contro il fianco della cassa di plastica. — Claire! No, no, stupido robot! Ferma! Ferma!
Ma l’elevatore, ovviamente, non aveva un controllo a voce. Continuò ad avanzare, spingendo il sacco davanti a sé. Rimanevano solo pochi centimetri liberi sulla sommità e sui lati della cassa. Claire indietreggiò, a tal punto terrorizzata che le grida le si strozzarono in gola e dalle labbra le uscì solo un debole gemito. Indietro, indietro: e poi sentì la gelida parete di metallo premerle contro la schiena. Si appiattì contro di essa più che poté, rimanendo in equilibrio sulle mani inferiori e reggendo Andy con quelle superiori. Il bimbo urlava, contagiato dalla paura che Claire stessa provava, lanciando grida acutissime.
— Claire! — gridò Tony dalla scala, un urlo terrorizzato pieno di lacrime. — ANDY!
Claire vide accanto a sé il sacco che veniva schiacciato. Dall’interno si udirono deboli suoni di oggetti che si rompevano. All’ultimo momento, lei trasferì Andy dalle mani superiori a quelle inferiori, al di sotto del torace, puntellandosi contro la cassa e sfidando la forza di gravità con quelle superiori. Forse il suo corpo schiacciato l’avrebbe tenuta lontano quel tanto che bastava per salvare Andy: i servomeccanismi del robot gemettero, sovraccarichi…
E l’elevatore cominciò a indietreggiare. Claire si pentì per tutte le maledizioni che avevano scagliato nelle ultime ore contro quel sacco perché era troppo ingombrante. Niente di quello che conteneva sarebbe mai più stato come prima, ma aveva salvato loro la vita.