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Poi Anton si svegliò e sentì che non aveva più voglia di dormire. Saul non era nella sala. Dal piano di sopra echeggiava la voce ormai rauca di Vadim: «Sorinaka-ba… torunaka-bu… capunori-cu…». Il prigioniero tubava qualcosa in risposta con voce di basso. Anton guardò l’orologio. Erano le tre del mattino, ora locale. Bravo il nostro superlinguista, pensò Anton con rispetto. Improvvisamente fu preso dall’impazienza. Bisognava concludere.

— Dimka! — gridò. — Come va?

— Ti sei svegliato? — rispose Vadim senza fiato. — Ora scendiamo. Aspettavamo che fossi pronto.

Saul si affacciò sulla soglia della sua cabina, dalla quale uscivano nuvole di fumo.

— È già ora? — si informò.

— Venga Saul, — disse Anton. — Ora cominciamo.

Saul sedette in poltrona e gettò sul tavolo il disegno. Dalla sala dei comandi scese barcollando il prigioniero. Aveva le guance sporche di marmellata. Si fermò senza guardare nessuno e cominciò a lanciare occhiate di canina venerazione verso Vadim, che stava scendendo con la grossa scatola lucida dell’analizzatore. Accostatosi alla tavola, Vadim posò l’analizzatore e crollò su una poltrona. Il suo volto esprimeva tripudio.

— Sono un genio! — comunicò con voce spenta. — Sono in-tel-li-gen-tis-si-mo! Sono una rupe grande e potente! Hikaritiko-udo!

A queste parole il prigioniero smise di leccarsi le dita e incrociò rispettosamente le braccia sul petto.

— Vedete? — esclamò Vadim, volgendo una mano nella sua direzione. Poi declamò:

Per qualsiasi occasione
C’è qui lo specialista:
L’astronave dispone
Del linguista superstrutturalista.

Anton lo guardò soddisfatto. Sulle tempie Vadim portava le piccole corna gialle dei cristalli mnemonici. Anche il prigioniero portava sulle tempie le piccole corna gialle dei cristalli mnemonici. Parevano dei giovani diavoli di buon carattere. No, il prigioniero sembrava piuttosto un vitello.

— Vi avverto, — dichiarò Vadim, — non bisogna rivolgergli domande astratte. È tonto come pochi. Ha una cultura da seconda elementare. — Si alzò e diede un paio di cristalli mnemonici sia a Saul che ad Anton. — Pensa solo in modo concreto. — Si girò verso il prigioniero: — Ringa bosi-ma?

«Vuoi della marmellata?», capì Anton.

Il prigioniero sorrise eccitato e di nuovo incrociò le braccia sul petto.

— Ecco, vedete? — disse Vadim. — Vuole dell’altra marmellata. Ma gli toccherà aspettare un po’. Cominciamo.

Anton rimase imbarazzato. Si era accorto improvvisamente di non avere la minima idea sul modo di condurre un interrogatorio. Vadim e Saul lo guardavano attendendo l’inizio. Il prigioniero si dondolava a destra e a sinistra con aria tetra.

— Come si chiama? — chiese Anton con la massima delicatezza. La diffidenza e l’indubbia paura del prigioniero lo mettevano a disagio.

Il prigioniero lo guardò stupito.

— Haira, — rispose smettendo di dondolare.

«Del dan dei colli», capì Anton.

— Molto piacere, — disse. — Mi chiamo Anton.

Lo stupore sul volto di Haira aumentò.

— Mi dica, per favore, Haira, che lavoro fa?

— Io non lavoro. Sono un guerriero.

— Vede, — disse Anton, — probabilmente lei si sente offeso per la violenza che siamo stati costretti ad usare nei suoi confronti. Ma la prego di non aversela a male. Non avevamo altra via d’uscita.

Il prigioniero appoggiò le braccia sui fianchi, sporse in fuori il labbro inferiore e si mise a guardare oltre Anton. Saul tossicchiò e si mise a tamburellare sul tavolo con le dita.

— Non deve aver paura, — continuò Anton. — Non le faremo nulla di male.

Il volto del prigioniero assunse un’espressione chiaramente altezzosa. Guardatosi intorno, si spostò, andò a sedersi al fianco di Anton e accavallò le gambe. Si sente a suo agio, pensò Anton. È un bene. Vadim, semisdraiato sulla poltrona, osservava la scena con soddisfazione. Saul smise di tamburellare con le dita e cominciò a battere la pipa sul tavolo.

— Vorremmo rivolgerle alcune domande, — continuò Anton in tono più sollevato, — perché ci è indispensabile sapere che cosa stia succedendo qui.

— Marmellata, — proferì Haira con voce sgradevole. — Ed in fretta.

Vadim ridacchiò divertito.

— Such a little pig![23] — disse.

Anton arrossì e sbirciò Saul. Saul si alzò lentamente. Il suo volto era immobile e annoiato.

— Perché non mi portano la marmellata? — si informò Haira senza rivolgersi a nessuno in particolare. — Adesso sarò io a far domande e voi tenete chiuso il becco. Ed oltre alla marmellata, portatemi anche delle coperte, perché questo sedile è duro.

Subentrò il silenzio. Vadim smise di ridacchiare e guardò con disappunto l’analizzatore.

— Do you think — chiese Anton confuso — we could better bring him some jam?[24]

Saul, senza rispondere, si avvicinò lentamente al prigioniero. Il prigioniero sedeva impassibile. Saul si rivolse ad Anton.

— You have taken the wrong way, boys, — disse. — It won’t pay with SS-men . — Abbassò lentamente la mano sul collo di Haira. Sul volto di Haira balenò l’inquietudine. — He is a pitekantropos, that’s what he is, — continuò dolcemente Saul. — He mistakes your soft handling for a kind of weakness.[26]

— Saul, Saul! — disse Anton allarmato.

— Speak but English,[27] — si affrettò ad ammonirlo Saul.

— Dov’è la marmellata? — chiese incerto il prigioniero.

Saul lo rimise in piedi con un violento strappo. Il volto di Haira perse le ultime tracce di impassibilità. Saul cominciò a girare lentamente intorno a lui, fissandolo da capo a piedi. Ma che spettacolo, pensò Anton con disgusto e con involontaria paura. Saul aveva un’espressione tutt’altro che gradevole. Haira, invece, aveva di nuovo incrociato le braccia sul petto e sorrideva servilmente. Saul tornò senza fretta alla sua poltrona e sedette. Haira ora non aveva occhi che per lui. Nella sala regnava il silenzio assoluto.

Saul si mise a caricare la pipa, lanciando di quando in quando a Haira brevi occhiate di traverso.

— Now I interrogate, — disse. — And you don’t interfere. If you choose to talk to me, speak English.[28]

— Agreed,[29] — disse Vadim e girò una manopola dell’analizzatore. Anton fece un cenno affermativo.

— What did you do to that box?[30] — chiese Saul insospettito.

— Took measares, — rispose Vadim. — We don’t need him to learn English as well, do we?[31]

— O.K., — disse Saul. Si accese la pipa. Haira lo guardava atterrito, movendo il capo per evitare le zaffate di fumo.

— Nome? — domandò Saul accigliato.

Il prigioniero sussultò e curvò le spalle.

— Haira.

— Che grado hai?

— Quello di portatore di lancia e di guardiano.

— Chi è il tuo capo?

— Kadaira. («Del clan dei turbini», capì Anton.)

— Che grado ha?

— È un portatore di ottima spada e capo del corpo di guardia.

— Quanti guardiani ci sono nel campo?

— Una ventina.

— Quanti uomini ci sono nelle baracche?

— Nelle baracche non ci sono uomini.

Anton e Vadim si scambiarono un’occhiata. Saul proseguì senza cambiare espressione.

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23

“Ma che maialino!”

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24

“Pensate che faremmo meglio a portargli un po’ di marmellata?”

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26

“È un pitecantropo, ecco cos’è. Scambia la vostra cortesia per una specie di debolezza”.

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27

“Parli solo in inglese!”

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28

“Ora lo interrogo io, e voi non interferite. Se mi volete parlare, fatelo in inglese”.

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29

“D’accordo”.

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30

“Che cosa ha fatto a quella scatola?”

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31

“Ho preso delle precauzioni. Non vogliamo che lui impari l’inglese, no?”

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