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II

Anton inserì il pilota cibernetico e, con le mani incrociate sul petto, guardò pensieroso lo schermo visore. L’astronave andava verso nord lungo il meridiano. Intorno c’era il cielo viola della stratosfera, e molto più in giù biancheggiava il velo opaco delle nuvole. Questo velo sembrava liscio e piano, e solo qua e là si indovinavano le voragini dei giganteschi imbuti delle stazioni macrometeorologiche. I meteorologi, dopo aver lasciato piovere sull’Europa settentrionale, stavano spingendo in trappola le nuvole.

Anton rifletteva sulle stranezze umane. Ricordava i tipi curiosi che aveva incontrato. Jakob Osinovskij, il capitano dell’Hercules, non poteva sopportare i calvi. Li disprezzava proprio. «E non riuscirete mai a convincermi, — diceva. — Mostratemi piuttosto un calvo che sia un vero uomo». Probabilmente, i calvi gli richiamavano delle associazioni poco piacevoli, ma non disse mai a nessuno quali. Non cambiò idea neppure dopo che divenne calvo anche lui nella catastrofe di Sarandak. Esclamava soltanto con visibile amarezza: «Sono l’unico! Ricordatevelo, l’unico fra loro!».

Walter Schmidt, della base Hatterija, aveva uno strano atteggiamento verso i medici. «I medici… — diceva a mezza bocca con imbarazzante disprezzo. — Ciarlatani erano e ciarlatani sono rimasti. Prima c’erano le ragnatele polverose e le sanguisughe, e ora il campo psicodinamico, di cui nessuno sa niente. A chi deve interessare che cosa c’è dentro di me? I cefalopodi vivono migliaia di anni senza nessun medico e sono i dominatori delle profondità…»

Volkov si chiamava Drednout, e lui ne era molto contento: Drednout Adamovič Volkov. Kaneko non mangiava mai vivande calde. Ralf Pinetti credeva nella levitazione e si allenava assiduamente… Lo storico Saul Repnin ha paura dei cani e non vuole vivere con gli uomini. Non mi meraviglierei se non volesse vivere con gli uomini proprio perché ha paura dei cani. Strano, vero? Ma non per questo diventerà peggiore.

Stranezze… Non c’è nessuna stranezza. Ci sono solo ineguaglianze. Testimonianze esteriori di un’incomprensibile attività tettonica nelle profondità della natura umana, dove la ragione lotta fino alla morte contro i pregiudizi, dove il futuro lotta con il passato. Ma noi vogliamo per forza che tutti intorno a noi siano uguali, proprio come noi, li immaginiamo a misura della nostra debole fantasia… in modo da poterli descrivere nelle funzioni elementari dell’immaginazione infantile: lo zio buono, lo zio avaro, lo zio noioso, lo zio che fa paura, lo scemo.

Ma per Saul non è affatto strano aver paura dei cani. E a Kaneko non sembra strano non sopportare niente di caldo. Così come a Vadim non verrà mai in mente che i suoi stupidi versetti a qualcuno possano sembrare non divertenti ma strani: a Galja, per esempio.

Prendiamo ora me. Ecco, io mi preparavo a partire per Pandora. Se lo avesse saputo, diciamo, il capitano Malyšev, mi avrebbe guardato meravigliato e avrebbe detto: «Se vuoi riposarti, non c’è posto migliore della Terra. Se invece hai deciso di lavorare un po’, allora occupati della stella nera EN 8742, che è la prossima in programma, oppure della superstella EN 6124 che, chissà perché, interessa agli specialisti di Tagora». E Malyšev avrebbe avuto ragione. E perché Malyšev mi capisse e smettesse di guardarmi meravigliato, avrei dovuto dirgli che ho nostalgia della compagnia di Dimka e che Dimka ha voglia di andare a sparare ai Tachorg.

Anton sogghignò. Perché tutto è così complicato? Al giorno d’oggi volano tutti su Pandora, e una volta Galja aveva detto che lì ci sarebbe andata. Ora organizzano così i voli interplanetari. E i programmi si cambiano altrettanto facilmente. Riuscirei a confessare a Malyšev che tutto il problema è Galja? Perché l’uomo non impara a vivere con semplicità? Da chissà quali patriarcali abissi senza fondo strisciano continuamente fuori vanità, amor proprio e orgoglio offeso. E c’è sempre qualcosa da nascondere, c’è sempre qualcosa di cui vergognarsi.

Anton guardò il mazzetto di garofani, posato davanti allo schermo. Ah! Galja! pensò. Soffiò sullo schermo e sul vetro appannato dal vapore scrisse col dito: «Ah! Galja!…». Le lettere sparirono in fretta; non fece neppure in tempo a mettere il punto esclamativo. Poi si adagiò di nuovo nella poltrona e per la centounesima volta cercò di risolvere il problema in modo logico: «Io amo una ragazza, la ragazza non mi ama, ma ha simpatia per me. Cosa fare?».

«In realtà, che cosa cambierebbe se lei mi amasse? Potrei abbracciarla e baciarla. Potremmo stare sempre insieme. Ne sarei orgoglioso. È tutto, mi pare. È sciocco, ma è tutto. Semplicemente avrei realizzato un desiderio. Come tutto sembra meschino, quando ci ragioni su in modo logico! E in un altro modo io non so ragionare. Sto diventando un uomo vuoto, un cinico». Immaginò Galja mentre parlava, il capo leggermente piegato, gli occhi ombreggiati dalle ciglia… Perché tutto è organizzato in modo così sciocco: si può salvare una persona da qualsiasi disgrazia di poco conto, da una malattia, dall’indifferenza, dalla morte, e solo da una disgrazia vera — dall’amore — niente e nessuno la può salvare… Si troveranno sempre migliaia di consiglieri, e ognuno darà un consiglio a se stesso. Sì, e quello che soffre, lo scemo, non vuole lui per primo che lo aiutino, ecco il terribile.

— Permette, dove sta andando? — chiese Saul a voce alta.

— Alla cabina di comando, — rispose Vadim.

— Aspetti! Noi, per la verità, non abbiamo ancora fatto conoscenza…

La porta della cabina di comando era aperta, Anton aveva sentito che nel quadrato si borbottava qualcosa a proposito di Tachorg, di boscaglie e della teoria delle successioni storiche. Ora si mise ad ascoltare attentamente.

— Lei, mi pare, si chiama Vadim! — disse Saul.

— Di regola, — rispose serio Vadim. — Ma a volte mi chiamano Super Strutturalista, a volte Toro Volante, e in casi particolari Dimočka.

— Vadim, dunque… E quanti anni ha?

— Ventidue anni locali-terrestri.

— Locali… Ah sì, certo… Come ha detto? Locali-terrestri?

— Sì. Con i vecchi anni siderali non ho nulla a che fare.

— Certo. Proprio così pensavo. E suo padre, scusi, chi sarebbe?

— Chi sarebbe? Probabilmente quello che è ora, un agronomo.

— Eh… Capisco, capisco… Per la verità è proprio quello che intendevo,

Subentrò una pausa.

— Un bellissimo tavolo, — disse timidamente Saul.

Di nuovo una pausa.

— È un buon tavolo. Solido.

— E sua madre?

— Mia madre? Fa il guardiano. Lavora in una stazione mesonucleare.

Si sentiva Saul tamburellare nervosamente sul tavolo con i polpastrelli.

— Non faccia così, Vadim, — disse. — Non deve farci caso… Certo, io parlo in modo strano, e probabilmente anche un po’ ridicolo… Sa com’è… Il mio modo di vita… Il mio, per così dire, modus vivendi… Io ho una specializzazione ben definita. Sono tutto nel XX secolo. Come si diceva una volta, sono un topo di biblioteca. Eternamente nei musei, eternamente con vecchi libri…

— È l’influenza dell’ambiente.

— Sì, proprio così. Sto raramente in compagnia di altri, e ora è capitato. Conosce il professor Arnautov?

— No.

— Un grandissimo specialista. Il mio oppositore ideologico. Mi ha chiesto di controllare alcuni aspetti della sua nuova teoria. Naturalmente non potevo rifiutarmi, vero? Ecco perché mi ètoccato abbandonare… lari e penati. Ecco… Ma sto sempre a parlare di me!… Lei, mi pare, fa il linguista strutturale?

— Sì.

— Un lavoro interessante?

— Perché, ci sono forse lavori non interessanti?

— Già, certo… E di che cosa si occupa?

— Mi occupo di analisi delle strutture. Ma senta, Saul, io mi sono staccato da tutto quello che è terrestre. Le racconto piuttosto qualcosa sui Tachorg.

— No, grazie, sui Tachorg non c’è bisogno. Meglio qualcosa sul suo lavoro.

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