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— Il vento ci sposta, — osservò Anton.

— Lo so…

— Stai perdendo il controllo dell’astronave!

Vadim disse in fretta:

— Smettila di dare ordini o non sono più tuo amico.

— Vadim, cerchi di non fallire il bersaglio, — disse allarmato Saul.

Il carosello sullo schermo cessò. Si avvicinò in fretta una distesa bianca, poi lo schermo si oscurò e si spense. L’astronave sobbalzò.

— Finito tutto, — disse Vadim. Si stiracchiò, facendo scrocchiare le dita.

— Cosa tutto? — chiese Saul. — Ci siamo fracassati?

— Siamo atterrati, — disse Anton. — Benvenuti su Saul.

— Però, lei guida proprio come un matto, — disse Saul a Vadim.

— Proprio vero, — concordò Anton. — Sai di quanto hai mancato il bersaglio, Dimka? Di un duecento chilometri. Ma hai fatto in tempo a spegnere lo schermo, bravo.

— Per abitudine, — disse Vadim noncurante.

Anton si alzò.

— A proposito, che cos’è questa storia del “foglio bagnato che trema”? — chiese.

Anche Vadim si alzò.

— Questa, Toška, è una storia un po’ misteriosa. Esiste una antica espressione idiomatica, «tremare come un foglio bagnato». Un foglio bagnato è una specie di braciere. Lo mettevano sul pavimento dei bagni, e quando aumentavano il vapore, cioè versavano acqua nel braciere, il foglio metallico rovente cominciava a vibrare.

Saul scoppiò inaspettatamente a ridere. Rideva forte e di gusto, asciugandosi le lacrime col palmo della mano e pestando a terra con gli stivali. Né Anton, né Vadim capirono il perché, ma dopo qualche minuto ridevano anche loro.

— Un’usanza divertente, vero? — disse Vadim, riprendendo fiato.

— Davvero, Saul, perché ride? — chiese Anton.

— Oh! — disse Saul. — Sono così contento di essere arrivato sul mio pianeta…

Vadim smise di ridere.

— In fin dei conti non sono mica uno slavista, — disse con dignità. — La mia specialità è l’analisi strutturale.

— Va bene, — disse Anton, — scendiamo a terra.

Uscirono tutti dalla cabina di piotaggio. Vadim, trattenendo Saul per il gomito, disse:

— Non è una mia deduzione. È l’ipotesi più diffusa.

— Non ha importanza, non ha importanza, — rispose in fretta Saul. Si fece serio. — Questa sua ipotesi è talmente lontana dalla verità, che non ho potuto trattenermi. Se l’ho offesa, mi scusi…

— E qual è la sua idea?

Saul disse irritato:

— Non esiste l’espressione: «tremare come un foglio bagnato». Esistono le espressioni: «tremare come una foglia» e «stracciarsi come un foglio bagnato». Ma come si fa a stracciare un foglio di metallo, bagnato o no? È ridicolo!

Anton aveva aperto la membrana dell’oblò. Un’aria gelida sferzò l’astronave. Saul spinse da parte Vadim e gridò:

— Aspettate! Fatemi passare, per favore!

Anton, che già stava col piede sulla soglia, si fermò. Saul, tenendo lo skorcer sopra la testa, si slanciò avanti.

— Vuole scendere per primo? — chiese Anton sorridendo.

— Sì, — borbottò Saul, — è meglio.

Si infilò nello stretto oblò e si fermò, bloccando l’uscita. Anton, che si era infilato dietro di lui, lo spingeva con la testa.

— Avanti, Saul, — disse.

Saul pareva pietrificato. Da dietro, Vadim tamburellava nervosamente sulla schiena curva di Anton.

— Ci faccia passare, Saul, — chiese Anton.

Saul finalmente si fece da parte e Anton uscì all’aperto. Tutt’intorno c’era la neve. E altra neve cadeva a grossi fiocchi pigri. La navicella si trovava in mezzo a colline rotonde tutte uguali, che si notavano appena nella pianura bianca. Dalla neve spuntavano fuori l’erbetta corta di un verde pallido e molti fiorellini azzurri e rossi. Ma, a dieci metri dall’oblò, giaceva un uomo che la neve andava lentamente ricoprendo.

III

Vadim uscì per ultimo dall’astronave e subito si rivolse a Saul:

— La cosa più semplice sarebbe di controllarlo sulle pagine di qualche antico vocabolario, Dal’ o Ušakov, per esempio. Ma a bordo…

A questo punto si accorse che Saul non lo ascoltava. Saul teneva lo skorcer pronto — con la canna sul braccio piegato — ed il suo viso era inquieto. Gli occhi correvano qua e là. Vadim si guardò svelto intorno e vide anche lui l’uomo.

— Guarda un po’, — disse, interdetto.

Anton si avvicinò all’uomo sdraiato a terra, mentre Saul rimaneva al suo posto. Possibile che l’abbia travolto con l’astronave durante l’atterraggio? — pensava Vadim atterrito. All’idea si sentì contorcere le viscere. Corse dietro Anton e si piegò anche lui sul corpo. Gli gettò solo un’occhiata, poi subito si alzò e cominciò a guardarsi in giro. Tutt’attorno si allungavano tetre colline ricoperte di neve e tutte uguali; il cielo era coperto di nuvole basse, e all’orizzonte si indovinavano i pallidi contorni di una catena di monti. Che pianeta triste, pensò.

E campi e montagne
Tutto pian piano la neve ha coperto…
E ora tutto è deserto…

Anton si inginocchiò e con cautela toccò la mano dello sconosciuto. La mano era piccola, bianca, con delle dita sottili che parevano di porcellana, le unghie lunghe avevano un riflesso d’oro.

— Allora? — disse Vadim e inghiottì.

Anton si alzò e con cura si levò la neve dalle ginocchia nude…

— È morto assiderato da qualche giorno. È anche molto deperito.

— Non c’è più speranza.

Anton annuì.

— Ormai è una pietra.

— Una pietra… — ripeté Vadim. — Come è possibile? Guarda, è solo un ragazzo… — si costrinse a guardare il viso del morto.

— Guarda, assomiglia a Valerij! Te lo ricordi Valerij?

Anton gli mise una mano sulla spalla.

— Sì, gli assomiglia.

— Mi sono così spaventato. Ho pensato di averlo urtato durante l’atterraggio.

— No, giace qui da almeno un paio di giorni. È caduto per la debolezza ed è morto assiderato.

— Ascolta, Anton, ma perché porta solo la camicia?

— Non lo so. Torniamo all’astronave.

Vadim non si mosse.

— Non capisco. Vuoi dire che non siamo i primi?

Si guardò intorno, cercando con gli occhi Saul. Saul non si vedeva.

— Anton, forse ti sei sbagliato? Forse si può ancora fare qualcosa?

— Andiamo, andiamo, Dimka.

— Ma, e lui…?

— Come faccio a saperlo? Andiamo.

Videro Saul. Scendeva lentamente lungo il pendio della collina, scivolando sulla neve bagnata. Rimasero fermi ad aspettare che si avvicinasse. Aveva un’aria tetra, sulle guance gli si scioglievano grossi fiocchi di neve. La neve gli arrivava alle ginocchia. Si avvicinò, si tolse di bocca la pipa spenta e disse:

— È una brutta faccenda, ragazzi. Là ce ne sono ancora quattro, — guardò il morto. — Pure loro seminudi. Che cosa pensate di fare?

— Torniamo all’astronave, — disse Anton, — e riflettiamo con calma.

Nel quadrato sedettero in poltrona e tacquero per un po’. Vadim tremava di freddo e, chissà perché, aveva molta voglia di parlare.

— Guarda un po’ che pianeta! — disse, serrando i muscoli delle mascelle. — Non ne avevo mai sentito parlare. Non si capisce niente. Chi sono? Da dove vengono? Eppure dicevano che qui non c’era mai stato nessuno. E soprattutto… un ragazzino. Un ragazzino qui come c’è finito? Tacque e chiuse gli occhi, cercando di scacciare la visione della faccia coperta di neve.

Anton si alzò e cominciò a girare intorno al tavolo, a capo chino. Saul riempì la pipa.

— Posso fumare? — chiese.

— Sì, prego, — disse Anton distratto. Si fermò. — Ora ecco cosa facciamo, — disse deciso. — Abbiamo un bioplano. Prendiamo cibi e vestiti e compiamo una perlustrazione intorno alla navicella. Sulle colline può essere che ci siano ancora dei vivi.

Nella voce gli risuonavano delle note dure sconosciute a Vadim. Vadim lo guardò con curiosità e Anton notò il suo sguardo.

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