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In particolare, il dottor As-Su raccontò che, centocinquanta anni terrestri prima, alla posa della prima pietra della Terza Grande Macchina, gli edili di Tagora avevano trovato nella massa di basalto del Continente Subpolare un impressionante ordigno, che in termini terrestri si sarebbe potuto definire un nido ingegnosamente costruito contenente duecentotré larve di Tagoriani in stato latente. Non si riuscì a stabilire con precisione l’età della scoperta, tuttavia era chiaro che il nido era stato collocato li molto tempo prima della Grande Rivoluzione Genetica, cioè ancora nei tempi in cui ciascun tagorese nel suo sviluppo attraversava lo stadio della larva…

— Impressionante, — borbottò Sikorski. — Possibile che già a quei tempi il suo popolo possedesse una tecnologia così sviluppata?

— Naturalmente no! — rispose il dottor As-Su. — Ovviamente, si trattava di un’impresa dei Nomadi.

— Ma perché?

— È troppo difficile rispondere a questa domanda. Non abbiamo nemmeno cercato la risposta.

— E che cosa è poi successo a questi duecento piccoli tagoresi?

— Ehm… Lei fa una strana domanda. Le larve cominciarono a svilupparsi spontaneamente e noi, ovviamente, abbiamo immediatamente distrutto questo macchinario con tutto quello che conteneva… Può veramente immaginarsi un popolo che si sarebbe comportato diversamente in una situazione del genere?

— Posso, — disse Sikorski.

Il giorno dopo, l’otto gennaio dell’anno 38, Sua Eccellenza l’ambasciatore di Tagora Unita ritornò in patria per ragioni di salute. Dopo alcuni giorni, sulla Terra e su tutti gli altri pianeti dove vivevano e lavoravano terrestri, non era rimasto nemmeno un Tagoriano. Ma dopo un mese tutti i terrestri che lavoravano su Tagora, senza esclusione, furono posti davanti alla necessità imprescindibile di tornare sulla Terra. I legami con Tagora si interruppero per venticinque anni.

Il segreto della personalità di Lev Abalkin (continuazione)

Nacquero tutti lo stesso giorno — il 6 ottobre dell’anno 38 — cinque bambine e otto bambini, robusti, dalle voci stridule, in tutto e per tutto sani neonati umani. Al momento della loro venuta alla luce era tutto già pronto. Li accolsero e li esaminarono luminari della medicina, membri del Consiglio Mondiale e consulenti della Commissione dei Tredici; li ripulirono e li fasciarono e quello stesso giorno li inviarono sulla Terra in una navicella approntata appositamente. La sera, in tredici orfanotrofi, sparpagliati in tutti e sei i continenti, bambinaie premurose già si occupavano dei tredici orfanelli postumi che non avrebbero mai visto i loro genitori, la cui unica madre da quel momento in poi sarebbe stata solo l’intera umanità. La storia della loro origine era già stata preparata da Rudolf Sikorski in persona e, con permesso speciale del Consiglio Mondiale, era stata inserita nel GSI.

Il destino di Lev Vjačeslavovič Abalkin, così come il destino dei suoi dodici fratelli e sorelle uterini, fu da quel momento programmato per molti anni a venire, e per molti anni non differì in nulla dal destino di centinaia di milioni di suoi comuni coetanei terrestri.

Così come fanno tutti i neonati, dapprima se ne stette sdraiato, poi cominciò a muoversi gattoni, poi a stare in piedi e, infine, a camminare. Lo circondavano altri neonati come lui, e di loro si occupavano adulti premurosi, come in centinaia di migliaia di altri orfanotrofi del pianeta.

Per la verità, ebbe fortuna come pochi. Lo stesso giorno in cui lo portarono all’orfanotrofio, prese servizio come semplice medico osservatore Jadwiga Michailovna Lekanova, uno dei più importanti specialisti al mondo di psicologia infantile. Chissà perché le era venuta voglia di scendere dalle sommità della scienza pura e di ritornare al punto da cui aveva iniziato alcuni decenni prima. E quando il seienne Lev Abalkin fu trasferito insieme a tutto il suo gruppo nella scuola-internato 241 di Syktyvkar, Jadwiga Michailovna decise che era ora di lavorare con i bambini in età scolare, e si trasferì come medico osservatore in quella stessa scuola.

Lev Abalkin crebbe e si sviluppò come tutti gli altri bambini, incline, forse, a una leggera malinconia e introversione, ma non si scostava dalla norma del suo tipo psichico né presentava possibili anomalie. Le cose andavano altrettanto bene per quanto riguarda il suo sviluppo fisico. Non si distingueva dagli altri né per una maggior robustezza, né per una forza eccezionale. In breve, era robusto, sano, in tutto e per tutto un ragazzo normale, che si distingueva fra i suoi compagni di scuola, in massima parte slavi, solo per i capelli lisci blu-neri, di cui era molto fiero e che cercava di farsi crescere fino alle spalle. Fu così fino al novembre dell’anno 47.

Il 16 novembre, durante un normale controllo, Jadwiga Michailovna scoprì sulla piegatura del gomito destro di Lev un piccolo livido con un leggero gonfiore. I lividi dei ragazzini non sono una gran rarità, e Jadwiga Michailovna non vi diede alcuna importanza e, ovviamente, se ne sarebbe scordata se una settimana dopo, il 23 novembre, non fosse risultato che il livido non solo non era scomparso, ma si era stranamente trasformato. Non lo si poteva più chiamare livido, era piuttosto qualcosa di simile ad un tatuaggio, un piccolo segno marrone giallastro dalla forma di una lettera «Ž» stilizzata. Un prudente interrogatorio dimostrò che Lev Abalkin non aveva idea di come e perché gli fosse venuto. Era chiaro che, semplicemente, non si era accorto che gli fosse spuntato qualcosa alla piegatura del gomito destro.

Dopo qualche incertezza, Jadwiga Michailovna ritenne suo dovere informare di questa piccola scoperta il dottor Sikorski. Il dottor Sikorski accolse l’informazione senza il minimo interesse, tuttavia alla fine di dicembre chiamò all’improvviso Jadwiga Michailovna al videofono e si informò su come stavano le cose con il neo di Lev Abalkin. «Senza variazioni», rispose un po’ sorpresa Jadwiga Michailovna. «Se per lei non è un problema, — chiese il dottor Sikorski, — fotografi il neo in modo che il ragazzo non se ne accorga, e mi mandi la fotografia.»

Lev Abalkin fu il primo dei “trovatelli” a cui era apparso il segno alla piegatura del gomito destro. Durante i successivi due mesi i nei, che avevano forme più o meno bizzarre, erano comparsi anche ad altri otto “trovatelli” in condizioni assolutamente uguali: un livido con gonfiore all’inizio, nessuna causa esterna, nessuna sensazione di malattia e, dopo una settimana, un segno marrone-giallastro. Alla fine dell’anno 48 «il marchio dei Nomadi» lo portavano tutti e tredici. Ed allora fu fatta una scoperta veramente sorprendente e terribile che diede luogo al concetto di “detonatore”.

Chi sia stato il primo a introdurre questo concetto ora non è più possibile stabilirlo. Secondo Rudolf Sikorski, definiva la sostanza della cosa come non si sarebbe potuto fare più precisamente e più minacciosamente. Ancora nell’anno 39, un anno dopo la nascita dei “trovatelli”, gli xenotecnici che si occupavano di smontare l’incubatrice vuota avevano trovato al suo interno una lunga scatola di ambra, che conteneva tredici dischi grigi con alcuni segni sopra. All’interno dell’incubatrice furono trovati altri oggetti ancora più misteriosi della scatola.astuccio, e perciò nessuno vi prestò particolare attenzione. L’astuccio fu trasportato al Museo delle Civiltà Extraterrestri, e venne descritto in un volume segreto, Materiali sul sarcofago-incubatrice, come un elemento del sistema di conservazione della vita, superò felicemente il fiacco assalto di uno studioso che si sforzava di capire cosa fosse e a che cosa potesse servire, e poi venne messo nel settore specifico, già sovraffollato, degli oggetti di cultura materiale di uso ignoto, dove fu fortunatamente dimenticato per dieci interi anni.

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