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Sì, anche Sergej Pavlovič aveva avuto questa impressione. Sollecitato e spinto dall’offesa non troppo nascosta del sempliciotto-bonario giornalista Kammerer, a poco a poco ed in modo confuso, vergognandosi per il suo alunno e per certi suoi pensieri, raccontò com’è che si erano incontrati.

Circa alle 17.00, S.P. Fedoseev lasciò in bioplano la sua tenuta «Le Zanzare» e fece rotta verso Sverdlovsk, dove doveva partecipare alla riunione di un club. Dopo quindici minuti era stato letteralmente attaccato e costretto ad atterrare in un folto bosco di pini da un bioplano sbucato da chissà dove, il cui guidatore risultò essere Lev Abalkin. Nella radura, fra i pini che stormivano al vento, ebbe luogo una breve conversazione organizzata da Lev Abalkin secondo uno schema a me già noto.

Appena si furono salutati, senza dare praticamente al vecchio insegnante la possibilità di aprire bocca, e senza perder tempo in abbracci, aveva rovesciato addosso al povero Sergej Pavlovič una serie di ringraziamenti sarcastici e velenosi per gli incredibili sforzi profusi nell’intento di convincere la Commissione per la ripartizione negli studi a inviare Abalkin non all’Istituto di Zoopsicologia, dove il liceale sciocco e senza esperienza intendeva iscriversi, ma alla scuola per Progressori, sforzi che erano stati coronati da successo e avevano reso la vita di Lev Abalkin così tranquilla e felice.

Il vecchio, colpito da un così sfacciato travisamento della verità, mollò un ceffone al suo ex alunno. Avendolo così costretto a stare zitto e attento, gli spiegò con calma che, nella realtà, le cose erano andate esattamente al contrario. Era stato proprio lui, S.P. Fedoseev, a destinare Lev Abalkin alla zoopsicologia, si era già messo d’accordo, a questo riguardo, con l’istituto e aveva presentato alla commissione le relative lettere di raccomandazione. Proprio lui, S.P. Fedoseev, saputo dell’assurda — così la riteneva — decisione della commissione, aveva protestato, a voce e per iscritto, fino al Consiglio d’Istruzione della regione. E proprio lui, S.P. Fedoseev, era stato alla fine convocato dal Settore Eurasiatico e là punito come un ragazzino per aver tentato di sconfessare come non sufficientemente qualificate le decisioni della Commissione per la ripartizione negli studi. («Mi presentarono le conclusioni di quattro esperti e, come due più due fa quattro, mi dimostrarono che io ero un vecchio scemo, e che aveva invece ragione il presidente della Commissione per la ripartizione, dottor Serafimovič»)

Giunto a questo punto, il vecchio tacque.

— E lui? — osò chiedere il giornalista Kammerer.

Il vecchio muoveva triste le labbra.

— Quello scemotto mi ha baciato la mano ed è corso al suo bioplano.

Tacemmo. Poi il vecchio aggiunse:

— Proprio allora mi sono ricordato di lei… Sinceramente, mi è sembrato che non vi prestasse nessuna attenzione… Forse, avrei dovuto parlare di lei più nel dettaglio, ma non ci ho pensato… Mi sembrava, chissà perché, che non l’avrei rivisto più…

2 giugno dell’anno 78. Una breve conversazione

Sua Eccellenza era a casa, paludato in un austero kimono nero, sedeva al tavolo da lavoro e si dedicava al suo hobby preferito: guardava attraverso la lente di ingrandimento un’orribile statuetta dalla sua collezione…

— Eccellenza, — dissi, — avrei bisogno di sapere se Lev Abalkin si sia messo già in contatto con qualcuno sulla Terra.

— Sì, si è messo in contatto, — disse Sua Eccellenza e mi guardò, mi parve, con interesse.

— Posso sapere con chi?

— Puoi. Con me.

Mi azzittii di botto. Sua Eccellenza aspettò un po’ e ordinò:

— Fai rapporto.

Feci rapporto. Entrambe le conversazioni, parola per parola, — le mie conclusioni in breve, e alla fine aggiunsi che, secondo me, c’era da aspettarsi che Abalkin al più presto si recasse da Komov, Rawlingson, Gorjacëv e da tutte quelle persone legate, in un modo o nell’altro, al suo lavoro con i Testoni. E anche da questo dottor Serafimovič, l’allora presidente della Commissione per la ripartizione. Visto che Sua Eccellenza taceva e non alzava la testa, mi permisi ancora una domanda:

— Si può sapere di che cosa ha parlato con lei? Mi meraviglia molto che abbia cercato proprio lei.

— Ti meraviglia molto… Anche me. Ma fra noi non c’è stato alcun dialogo. Mi ha fatto lo stesso scherzo che ha fatto a te: non ha acceso l’immagine. Mi ha guardato, mi ha riconosciuto e, probabilmente, ha spento.

— Ma perché pensa che fosse proprio lui?

— Perché si è messo in contatto con me attraverso un canale che era noto a una sola persona.

— Allora, forse, era quella persona…

— No, non può essere… Per quanto riguarda la tua ipotesi, non regge. Lev Abalkin era diventato un eccellente residente, amava il suo lavoro e non avrebbe acconsentito a cambiarlo per niente al mondo.

— Sebbene secondo il suo sistema nervoso fare il Progressore…

— Questa non è cosa di tua competenza, — disse brusco Sua Eccellenza. — Non ti distrarre. Al lavoro. Annullo l’ordine di trovare Abalkin e di tenerlo sotto osservazione. Va’ sulle sue tracce. Voglio sapere dove è stato, con chi si è incontrato, e di che cosa ha parlato.

— Capito. Ma se mi capita di imbattermi in lui?

— Fagli un’intervista per il tuo libro. E poi riferisci a me. Né più, né meno.

2 giugno dell’anno 78. Qualcosa sui misteri

Intorno alle 23.00 feci in fretta una doccia, diedi un’occhiata nella stanza da letto e mi convinsi che Alena stesse dormendo. Allora tornai nello studio.

Decisi di cominciare da Ščekn. Ščekn, ovviamente, non è un terrestre e nemmeno un umanoide, e poi ci voleva tutta la mia esperienza — e tutta la mia abilità, non lo dico per vantarmi — nell’uso dei canali di informazione, per avere le informazioni che riuscii ad avere. Faccio notare, fra parentesi, che la stragrande maggioranza dei miei compagni di pianeta non ha la minima idea delle reali possibilità di questa ottava (o forse è già la nona) meraviglia del mondo — Il Grande Servizio di Informazioni Interplanetarie. Ammetto, del resto, che nemmeno io, nonostante la mia grande esperienza ed abilità, posso pretendere di riuscire completamente ad utilizzare la sua immensa memoria.

Posi undici domande — tre risultarono superflue — e alla fine ottenni le seguenti informazioni sul Testone Ščekn.

Il suo nome completo era Ščekn-Itrč. Dall’anno settantacinque a tutt’oggi faceva parte della missione permanente del popolo dei Testoni sulla Terra. A giudicare dalle sue funzioni nelle relazioni con l’amministrazione terrestre, era una specie di traduttore-relatore della missione. La sua reale funzione non era chiara, poiché i rapporti all’interno del collettivo della missione rimanevano per i terrestri un assoluto mistero. Stando ad alcune dichiarazioni, Ščekn era a capo di una specie di cellula familiare all’interno della missione, cellula di cui non si conosceva, però, né l’entità né la composizione, sebbene questi siano dati molto importanti per risolvere tutta una serie di problemi di natura diplomatica.

Nel complesso, informazioni su Ščekn, come su tutta la missione, ce n’erano in gran numero. Alcune erano sorprendenti, ma tutte, con il passare del tempo, entravano in contraddizione fra loro, oppure venivano completamente smentite da nuove osservazioni. Pareva che la nostra xenologia tendesse ad alzare (o ad abbassare, a piacimento) le braccia davanti a tanta segretezza. E molti xenologi in gamba avrebbero condiviso il parere di Rawlingson, che dieci anni prima, in un minuto di debolezza, avrebbe detto: «Secondo me, ci stanno semplicemente prendendo in giro!..».

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