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Mi faceva male il collo. Lo massaggiai. — Torno giù al villaggio. Abbiamo bisogno di coperte, se intendiamo passare la notte qui, e qualcosa in cui conservare l’acqua. Devo dire a Derek dove sono.

Nia fece il gesto dell’assenso, poi puntò il dito. — Il sentiero inizia lì.

Mi alzai e mi stiracchiai, feci il gesto dell’intesa e mi incamminai nella direzione che mi aveva indicata.

Persi il sentiero nell’oscurità e dovetti scendere carponi fra le rocce. I rami mi s’impigliarono nei vestiti, le spine mi graffiarono e cascai un paio di volte. Finalmente raggiunsi il terreno pianeggiante; davanti a me brillavano le luci del campo.

Il corridoio principale della mia cupola era deserto. Da dietro una porta chiusa provenivano delle voci: un paio di donne che chiacchieravano. Più avanti qualcuno suonava un flauto cinese. L’esecuzione era dal vivo. Lo capivo dagli errori.

Accesi la luce della mia stanza e aprii l’armadietto sotto il mio letto. Come speravo, conteneva una coperta.

Sentii la voce di Derek. — Dove sei stata? — Entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. Si era cambiato e ora indossava blue jeans e una camicia di cotone azzurro chiaro. Non aveva più la barba. La pelle del suo viso era multicolore: di un bruno rossiccio nella parte superiore, bianca in quella inferiore. Un aspetto stravagante. I capelli biondi erano molto corti.

— Hai trovato un barbiere?

Fece il gesto che significava "non ha importanza" o "parliamo di qualcos’altro". — Ho girato tutto il campo cercandoti.

— Ero sulla scogliera. Mi serve una coperta.

— Perché?

— Nia e l’oracolo si sono accampati per loro conto. Non hanno niente su cui dormire.

— Perché non vengono quaggiù?

— Non gliel’ho chiesto. Forse provano quello che provo io. C’è troppa gente qui. È tutto troppo complicato.

— E non sai che una parte delle cose. Vado a prendere la mia coperta. — Se ne andò e tornò dopo un paio di minuti. — Che altro ti serve?

— Niente cuscini. Sarà già un’impresa portare le coperte su per la scogliera. E gli indigeni non usano cuscini. Quanto a me, cercherò di decidere se voglio restare con Nia.

Gettò verso di me la coperta. Si spiegò a mezz’aria e cadde in un mucchio.

— Dannazione a te.

— Torno subito.

Raccolsi la coperta e la ripiegai. Derek tornò con un’altra coperta, che mise sul mucchio. — A Janos questa non servirà.

— Pensi di no?

— Fa perfino troppo caldo nella cupola. Ti accompagnerò fino ai margini del campo. Non mi sento del tutto a mio agio qui dentro.

Ricordai le storie che si raccontavano su Derék. Aveva una casa a Berkeley, piena di manufatti e di libri. Un sacco di libri. La maggior parte erano fatti di carta. Alcuni erano nuovi e venivano da speciali tipografie. Altri erano vecchi e fragili.

Lui lavorava in casa. Dentro ci stavano gli ospiti. Se una delle ospiti era una sua amante, restava all’interno con lei. Ma quando era solo, dormiva sotto una tettoia nel cortile. Il tetto era un pezzo di tela grossa disteso su due bambù vivi e il pavimento era costituito dall’erba. Non usava un sacco a pelo né alcun tipo di materasso. Quando faceva molto caldo, dormiva sull’erba. Con il tempo freddo, con la pioggia e la nebbia dell’inverno della California settentrionale, usava una coperta lacera.

Questa era la storia. Non sapevo se crederci oppure no.

Lasciammo la cupola e ci incamminammo nell’oscurità sotto la scogliera. Io portavo le coperte.

— Okay. — Derek si fermò. — Siamo abbastanza lontani. — Si voltò a guardare le luci del campo. — Hai consegnato il tuo registratore?

— Sì. Maledizione!

— Che cosa?

— Nia e l’oracolo stavano raccontando delle storie questa sera. Ho dimenticato che non avevo addosso un registratore.

— Non dovrebbe essere un problema per te. Conosco la tua reputazione. Se qualcosa ti interessa, te ne ricorderai.

— Uh! — dissi. — Preferisco sempre avere un sostegno.

— Anche questo fa parte della tua reputazione. — Mi toccò il braccio. — Ho qualcosa da dirti.

— Che cosa?

— Ho avuto un colloquio con Eddie questa sera. E arrivato dopo che te ne sei andata via con l’oracolo.

— Sì?

— Vuole che risaliamo il fiume con lui e la Ivanova. Vuole che traduciamo per loro.

— Andrà Eddie? Un uomo?

— Questo faceva parte del compromesso. Si è stabilito di mandare rappresentanti di ciascuna delle tre fazioni. A favore dell’intervento. Contro l’intervento. E la posizione di compromesso.

— Perché?

— Per spiegare il nostro problema ai nativi. Sottoporre ai nativi il nostro problema e chiedere a loro la soluzione. Visto che si tratta del loro pianeta. — Mi sembrò di avvertire del sarcasmo nella voce di Derek.

— La cosa potrebbe sembrare logica, anche se non dico che sia così. Ma perché mandare un uomo?

— Eddie è il principale sostenitore del non intervento. E si ritiene che dovremmo essere onesti con i nativi. Dobbiamo spiegare loro… mostrare loro… come siamo.

— È una follia.

— Uuh. E non è questa la cosa di cui voglio parlarti. — Derek fece una pausa. — Eddie vuole che noi mentiamo.

— Che cosa?

— Vuole che cambiamo quello che dice la Ivanova quando parla con i nativi. Vuole che ci assicuriamo che i nativi non gradiscano le sue argomentazioni.

— No! Ci scoprirebbero certamente. L’incontro sarà registrato e qualcuno controllerà la nostra traduzione. Forse non subito, ma presto.

— Gliel’ho detto. Ma lui sostiene che potremmo farlo in modo non evidente. Potremmo travisare le parole. Deformarle un po’. Cambiare l’intonazione.

— Non posso credere questo di Eddie. Lavoro con lui da anni.

— Credi che io ti stia mentendo?

Lo guardai, ma non vidi quasi niente. — No — risposi alla fine. — Che cosa gli hai detto?

— Ho detto che il rischio era troppo grande e tutto quello che ci avremmo guadagnato sarebbe stato solo un po’ di tempo. La Ivanova e i suoi non hanno alcuna intenzione di fare i bagagli e tornarsene a casa. Vogliono restare su questo pianeta. Proseguiranno fino al villaggio successivo e chiederanno il permesso di sbarcare. Dovremo mentire di nuovo.

"E che cosa conta di fare, gli ho chiesto, quando verrà giù il resto del team sociologico? Chiedere a tutti quanti di mentire? Quanto tempo passerà prima che qualcuno dica di no e si rivolga al consiglio dell’intera nave?"

— Per te questa non è una questione etica — dissi.

— Sono disposto a mentire. Ma soltanto per ragioni mie e solo se sarò sicuro di non essere scoperto. Non mentirò per Eddie. — Fece una pausa. Quando parlò di nuovo, la sua voce era cambiata. Il tono beffardo era sparito. — Non sono certo che l’intervento sia una cattiva idea. Eddie non viene da una cultura con una tecnologia preindustriale. Quando lui va sul campo, si porta una moderna cassetta di pronto soccorso e una radio. Se si trova in difficoltà, può chiedere aiuto. Non si è mai trovato a fare il genere di esperienze che abbiamo fatto noi, qui su questo pianeta. E non ha mai dovuto passare quello che ho passato io, quando stavo crescendo.

— Gli hai risposto di no.

— Gli ho detto forse. Nel modo più prudente possibile, nel caso ci fosse stato un registratore acceso. Ma lui pensa di avere una possibilità di trascinarmi dentro.

— Perché l’hai fatto?

— Non prendo mai una decisione in modo frettoloso, amor mio. E non limito mai le mie possibilità di scelta finché non sono costretto.

— Non ti capisco.

Lui scoppiò a ridere.

Aspettai.

— Eddie riconosce che il suo piano servirà soltanto a guadagnare tempo. Interessante, vero, come le metafore sul guadagnare e vendere siano rimaste nel linguaggio? Noi guadagnamo tempo. Vendiamo il nostro onore. Lui sostiene di non sapere realmente che cosa ne farà del tempo, ma non vuole lasciare che queste persone facciano la stessa fine del suo popolo nelle Americhe. È disposto a rischiare ogni cosa nella speranza di impedirlo.

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