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Enshi il Buffone! Non aveva mai neppure immaginato di accoppiarsi con lui. Anzitutto, pensava che lui fosse morto. Chi avrebbe creduto che sarebbe riuscito a sopravvivere al terribile inverno?

Enshi si svegliò al crepuscolo. Le lanciò un’occhiata. — Non è stato un sogno. Se gli spiriti sono responsabili di questo, li ringrazio. — L’afferrò e si accoppiarono di nuovo. Dopo di che scesero nella valle più vicina e si accamparono. La notte era fredda e ventosa. Brandelli di nuvole riempivano il cielo. Il fuoco tremolava. Enshi incominciò a parlare.

— Che cosa ci fai tanto a sud? Come mai non non ti ha presa uno degli uomini grandi prima che tu arrivassi da Enshi?

Lei rifletté per un momento. — Volevo venire quaggiù. Volevo trovare mio fratello Anasu. — S’interruppe, provando un certo stupore. Era quella la verità? Era venuta in cerca di Anasu?

— Davvero? — Enshi la fissava. — Perché?

Nia si grattò la testa. — Non lo so. Sai dove sia?

Enshi fece il gesto dell’affermazione. — Prendo da lui il mio sale. Ero solito farlo, in ogni modo. L’inverno è stato duro e non credo che mi sia rimasto qualcosa da dargli in cambio.

Nia aprì la bocca.

Enshi la guardò. I suoi occhi erano socchiusi. Aveva un’aria pensierosa, quasi astuta. — Tu vuoi che ti dica dove si trova. Non lo farò. Se sei venuta fin qui per vedere lui, allora è probabile che tu prosegua e mi lasci qui da solo, con la sensazione di essere uno stupido. Non ho intenzione di lasciarti andare, Nia. Non prima che sia finito il tempo dell’accoppiamento.

— Non si può dire che tu non sia loquace — osservò Nia.

Enshi fece il gesto dell’assenso. — Ricordati, non ho avuto nessuno con cui parlare per tutto l’inverno.

— Mi dirai dove si trova Anasu quando sarà finito il tempo dell’accoppiamento?

— Sì.

Nia fece il gesto che significava "così sia".

— Allora — cominciò Enshi — parlami di mia madre. Sta bene? Si affligge ancora per me?

Nia tracorse otto giorni insieme a Enshi. Il tempo si mantenne freddo e ventoso. Ogni tanto cadeva la pioggia, ma non era violenta. Gli alberi sopra il loro accampamento li riparavano; inoltre, mantenevano acceso un bel fuoco. Si accoppiarono spesso.

Ogni mattina Enshi andava a caccia. Al pomeriggio tornava con foglie, radici e i teneri germogli delle piante primaverili. Due volte riportò della selvaggina: un uccello terrestre, smagrito dall’inverno, e un costruttore-di-monticelli. Quest’ultimo era piccolo, ma grasso. O almeno non era magro.

— Se l’è cavata meglio di me quest’inverno — osservò Enshi.

Nia scuoiò l’animale, lo sviscerò e lo infilzò sullo spiedo. Poi si sedettero fianco a fianco a osservarlo mentre cuoceva.

— Mmm! Che profumo! Ero solito sognare il profumo della carne che cuoceva. Mi svegliavo e non trovavo nient’altro che neve. Che delusione! C’erano periodi in cui il tempo era brutto e non potevo viaggiare. Incominciavo a guardare il mio cornacurve e a pensare a lui come a un arrosto. Ma poi pensavo: no, Enshi. Morirai senza un animale da cavalcare. Poi pregavo gli spiriti; e il tempo cambiava. Andavo giù fino ai margini della mandria in cerca di un cornacurve che fosse troppo vecchio per scappare e lo uccidevo. La carne era sempre fibrosa, senza nemmeno un po’ di grasso. Bene, quei giorni sono finiti. Perché pensarci?

Nia rigirò lo spiedo. Mentre l’altro lato dell’animale cuoceva, si accoppiarono.

Il giorno seguente Nia preparò una trappola per i pesci e la sistemò nel corso d’acqua sul fondo della valle. Quella sera mangiarono pesce farcito di erbe aromatiche.

— Che brava cuoca sei — disse Enshi. — Quasi brava quanto mia madre.

Nia si sentì irritata. Sembrava che Enshi non facesse altro che parlare di sua madre. Non era giusto. Un ragazzo allevato nel modo appropriato parlava di sé o degli anziani che gli avevano insegnato a essere uomo. Non andava avanti per ore a parlare della propria madre.

— Com’è Anasu di questi tempi? — gli chiese.

Enshi fece il gesto che significava "chi può dirlo?". — L’ho incontrato due volte. La prima volta ho cercato di parlargli ma lui ha detto: "Non voglio fare conversazione, Enshi. Che cos’hai che sei disposto a darmi?". Non ha voluto aggiungere altro. Io ho tirato fuori una delle tazze di bronzo di mia madre e l’ho deposta per terra. Lui ha tirato fuori un sacchetto di sale, poi mi ha fatto cenno di indietreggiare. Quando sono stato abbastanza lontano, è venuto a prendere la tazza, poi ha messo giù il suo sacchetto. Tutto qui. Se ne è andato e io ho raccolto il sale. La seconda volta che l’ho incontrato, non ha neppure aperto bocca. — Enshi esitò per un momento, poi proseguì. — È più amichevole degli altri uomini. Non fa mai boccacce e non agita le armi contro di me.

Non sembrava promettere bene. Anasu sarebbe stato disposto a parlare con lei? Nia non lo sapeva.

Il periodo dell’accoppiamento terminò. Nia diede a Enshi i suoi doni. Lui pareva a disagio. — L’inverno è stato duro. Ho perso la maggior parte dei miei doni di addio. Prima un assassino-delle-foreste ha trovato il mio nascondiglio e l’ha distrutto, poi ho perso gran parte di quel che restava questa primavera mentre attraversavo un fiume. Ma compongo poesie. Posso offrirtele?

— Sì.

Ne recitò nove o dieci. In seguito Nia se ne ricordò solo una. Parlava di un albero che lui aveva visto qualche giorno prima.

— Tutti i rami erano spogli e la corteccia si stava staccando. Ciò nonostante, c’erano virgulti tutt’attorno all’albero, che crescevano dalla sua base. Erano lunghi come il mio braccio. Avevano foglie e fiori. Ho pensato che questo doveva avere un senso. E ho composto una poesia. Fa così:

"Se tu non ti arrendi

vecchio albero…

Non lo farò

nemmeno io."

— Quella mi piace — disse Nia.

Lui la recitò di nuovo. — È sufficiente? Abbiamo fatto uno scambio equo?

— Dov’è Anasu?

— Oh, sì. Segui la pista finché non si biforca. Allora va’ a sud. Arriverai presso una grossa pietra con sopra dei segni. La pietra è magica e nessuno pretende mai che si trovi nel suo territorio. Le persone vanno lì a scambiare doni. Aspetta presso la pietra. Se Anasu è da qualche parte lì attorno, verrà.

— Grazie. Abbiamo fatto uno scambio equo.

Si dissero addio. Nia sellò il suo cornacurve, poi montò in sella e si allontanò. Era una giornata soleggiata e soffiava una lieve brezza. Gli uccelli zufolavano. Si sentiva appagata.

Al crepuscolo giunse presso la pietra. Era alta e stretta, con incise delle linee. Riusciva a mala pena a scorgerle e non sapeva che significato avessero. Erano state delle persone a farle? Nessuno che lei conoscesse incideva linee nella pietra.

Legò il suo cornacurve e accese un fuoco. La notte era serena. Nia si coricò sulla schiena. Su nel cielo, sorse la Grande Luna. Era all’ultimo quarto. Restò a osservarla per un po’ di tempo, poi si addormentò.

La mattina seguente osservò la pietra. Le linee raffiguravano degli animali, per lo più cornacurve. Ma c’era un altro animale che non riconosceva. Aveva un corpo grosso e corte corna. Che cos’era? Nia si grattò la testa. C’erano cacciatori sulla pietra: uomini con archi. Formavano un circolo attorno agli animali. Su un lato, a una certa distanza, c’era un uomo da solo. Era più grande degli altri, e aveva delle corna. Erano corte, come quelle dell’animale sconosciuto. Chi era? Una qualche specie di spirito, a quanto pareva. Ma nessuno spirito che lei conoscesse. Il Signore delle Mandrie aveva lunghe corna ricurve. Lo Spirito del Cielo era privo di corna. Si grattò di nuovo la testa. Poi si preparò la colazione.

A mezzogiorno comparve Anasu. Arrivò cavalcando lungo la pista che portava alla radura in cui c’era la pietra. Trattenne il suo cornacurve.

Nia si alzò in piedi. — Fratello.

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