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Vidi altri animali. Uccelli. Dall’aspetto, dovevano essere grandi. Le zampe erano pesanti, i corpi rotondi e massicci. Avevano colli e teste grossi. Le bocche erano piene di denti.

— Hai notato che cosa manca? — mi chiese Derek. — Cornacurve e schieneargentate. Gli animali che consideriamo mammiferi. — Parlò nel linguaggio dei doni, ma l’ultima parola era in inglese.

Feci il gesto dell’assenso. Continuammo a camminare. C’erano altri grossi uccelli e pseudo-dinosauri. Le figure non somigliavano per niente al resto dell’arte che avevo visto sul pianeta. Quella era stata complessa e spesso astratta: un’arte fatta di disegni geometrici, un’arte decorativa. Queste figure erano semplici e realistiche. Sembravano vive, a eccezione delle persone, che sembravano disegnate da bambini.

Derek indicò la pittura di una lucertola. Aveva una lunga coda e aculei lungo la schiena. Le zampe erano palmate. Era enorme, per lo meno in confronto ai cacciatori che la circondavano. La lucertola e i cacciatori erano dipinti in nero. C’erano strisce rosse sulla lucertola. Ferite, ne ero quasi certa. Dall’animale sporgevano lance dipinte.

Derek guardò l’oracolo. — Che cos’è?

— Non lo so. Non ho mai visto un animale come quello. Forse è un mostro.

— Perché non ci sono cornacurve?

— Non lo so. — L’oracolo esitò. — Questo posto è molto antico. Riesco a sentire gli spiriti che vi risiedono, ma non so chi siano. Sono vecchi e affamati. L’avverto. Aiya! La loro fame! È come un vento nel cuore dell’inverno!

Derek si voltò a fissare l’oracolo. — Di che cosa sono affamati?

— Non lo so. Sono molte le cose che piacciono agli spiriti. Buon cibo. Bei tessuti. Ricami. L’opera delle lavoratrici del metallo. Alcuni amano fiori e rami pieni di foglie. Altri amano il sangue.

— Uh! — esclamò Derek. Tornò a guardare la parete.

C’erano altre pitture, una sopra l’altra: lucertole, uccelli e pseudo-dinosauri. La maggior parte delle specie non le riconoscevo. Quasi tutti avevano lance conficcate nel corpo.

— Dovremo chiedere ai biologi — disse Derek. — Guarda. Gli uccelli hanno delle specie di braccia.

Erano minuscole e terminavano in artigli. L’animale era senza dubbio un uccello. Il corpo era ricoperto di penne, fatte con leggere pennellate di pittura color marrone rossiccio. Aveva una coda fatta di piume, niente di simile alla coda lunga e stretta di una lucertola o di un dinosauro.

— Bizzarro — dissi.

L’oracolo si era allontanato da noi e si era diretto verso il centro della caverna. — Venite qui.

Era ritto presso un cerchio di pietre largo circa venti metri. Le pietre erano dipinte di rosso e fra di esse c’erano dei teschi. Alcuni avevano becchi, altri musi pieni di denti irregolari. Erano tutti dipinti di rosso, e tutti rivolti verso il centro del cerchio.

Al centro c’era una zona di oscurità. Il pavimento di pietra era scolorito.

— Ora lo so — disse l’oracolo. — Questi spiriti sono del genere che ama il sangue. Prendi questa. — Mi porse la sua torcia ed entrò nel cerchio.

— Sii prudente.

L’oracolo andò verso la zona di oscurità. Si abbassò su un ginocchio, poi si girò e ci guardò. Vidi il luccichio dei suoi occhi. — Venite qui. Avrò bisogno di luce.

— Non è pericoloso? — s’informò Derek.

— Entrare nel cerchio? Non lo so. Ma non dovresti essere preoccupato, Deraku. Sei intrepido quando si tratta di spiriti. Sei disposto a rubare ciò che appartiene loro.

— Può darsi che io abbia imparato qualcosa. — Derek rivolse un’occhiata all’oscurità che ci circondava. — E forse questo posto è diverso. Forse questi spiriti sono più spaventosi dell’Imbroglione.

— Penso che non ti succederà nulla — disse l’oracolo. — Parlerò per te.

Scavalcammo le pietre rosse e andammo a raggiungerlo. Aveva estratto il suo coltello e stava saggiando la lama con il pollice. — È troppo smussata. — Rimise il coltello nel fodero, poi allungò la mano. — Dammi il tuo coltello, Deraku.

Derek tirò fuori il coltello.

— Che cosa intendi fare? — chiesi.

— State zitti — disse l’oracolo. — E tenete le torce in modo che la luce cada su di me. — Prese il coltello di Derek ed esaminò la lama. — Bene. — Lo posò al suolo, poi si mise il braccio destro sul ginocchio, il palmo della mano all’insù. La pelle sul palmo era nera e senza pelo. Vidi dei calli alla base delle dita; erano di un grigio scuro. L’oracolo si palpò tutto il braccio, poi raccolse il coltello. Era mancino come la maggior parte delle persone che avevo incontrato su questo pianeta.

Fece un breve rumore, un gemito, e girò leggermente il braccio. Con la lama intaccò la carne appena sotto il gomito, quindi la tirò giù verso il polso. Il movimento era lento e accurato. Immaginai che un chirurgo si sarebbe mosso così. Sapevo che un buon medico lo faceva quando inseriva un’endovena. Arrivò al polso ed estrasse la lama. C’era sangue lungo il taglio.

— Aiya! - Asciugò la lama sulla pelliccia della gamba e restituì il coltello a Derek.

Derek lo mise via. Tornai a osservare l’oracolo. Era ancora nella stessa posizione, col braccio appoggiato sul ginocchio. Si guardava la ferita. Il sangue sgorgava attraverso il pelo, colava nel palmo della mano e gocciolava al suolo.

— L’hai fatto spesso? — domandò Derek.

L’oracolo alzò lo sguardo. — No. Il mio spirito ama la birra e il metallo lavorato. Non ha alcun interesse per il sangue. Non credo che mi piacerebbe parlare per spiriti come questi.

Derek fece il gesto dell’approvazione. L’oracolo si premette il braccio per far uscire il sangue. Pensai alle antiche cerimonie del Nord America: i danzatori del sole della pianura centro-occidentale e ì sacerdoti del Messico che si conficcavano spine nella lingua. Non erano le usanze dei miei antenati e non le capivo.

Ormai c’era una piccola pozza di sangue sul pavimento della grotta. Luccicava alla luce delle torce.

— Basta così — disse l’oracolo. — Può darsi che siano ancora affamati, ma io ho solo quel tanto di sangue. Capiranno, credo. — Si alzò in piedi.

Derek mise giù la torcia. Si tolse la camicia e l’avvolse attorno al braccio dell’oracolo, legandola. — Okay — disse e raccolse di nuovo la torcia. — Andiamocene di qui.

L’oracolo incespicò un paio di volte nell’attraversare la caverna.

— Credi di potercela fare da solo? — s’informò Derek.

— A uscire dal passaggio? Sì.

Lasciammo le torce nella grotta e uscimmo strisciando: Derek per primo, poi l’oracolo. Io fui l’ultima. Procedevo cercando a tentoni la via lungo la pietra bagnata. Davanti a me nell’oscurità l’oracolo sospirava e gemeva. Il taglio doveva essere più profondo di quanto mi fossi resa conto.

La galleria terminò. Mi alzai e vidi il fuoco di bivacco che ardeva luminoso di fronte alla cortina di pioggia. Nia era in piedi e guardava nella nostra direzione.

— State tutti bene? — chiese.

Derek disse: — La Voce della Cascata è ferito.

— Aiya! Quel pazzo!

L’oracolo gemette e vacillò.

Derek lo afferrò. — Lixia, prendi la tua cassetta del pronto soccorso. — Adagiò l’uomo peloso sul pavimento della grotta accanto al fuoco.

— Aiya! - si lamentò l’oracolo. — Non mi sento del tutto bene.

Derek slegò la camicia. Il tessuto di cotone azzurro era macchiato di sangue che sembrava nero alla luce del fuoco.

— Sarà dura togliere queste macchie. — Derek mise giù la camicia, poi osservò la ferita. — Non è brutta. Un buon salassatore. Non è profonda.

— Lo dici tu — ribatté l’oracolo. — Non mi piace il sangue. Non mi è mai piaciuto.

Derek aprì la cassetta del pronto soccorso. Pulì la ferita, poi sistemò il beccuccio al barattolo della fasciatura. — Dovrei rasare il braccio — disse in inglese. — Ma non riesco a immaginare come farlo senza far entrare peli nella ferita. Farò la fasciatura più stretta possibile. — Spruzzò.

L’oracolo emise un leggero suono lamentoso.

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