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— Ascoltami! Non intendo fare del male!

Inahooli afferrò il coltello con l’altra mano. — Come possiamo servirci della torre? Le maschere sono rovinate. La magia è sparita.

Si chinò di colpo verso sinistra. La mia sinistra. Mi voltai e sollevai la pagaia. Il coltello balenò. Sferrai un colpo. Inahooli balzò indietro.

— Ti ho presa, demonio! — esclamò.

— Che cosa?

— Non vedi il sangue sul terreno?

Abbassai per un attimo lo sguardo e vidi soltanto la spiaggia sassosa. Non c’era sangue. Con la coda dell’occhio scorsi un movimento. Inahooli. Veniva verso di me, il coltello nuovamente sollevato. Agitai su e giù la pagaia e la colpii al ventre. Lei grugnì e si piegò in due. Abbattei con forza la pagaia sul dietro della testa.

Inahooli cadde. Raccolsi il coltello e lo scagliai fra i canneti, poi mi voltai a guardarla. Giaceva a faccia in giù, immobile.

M’inginochiai e le tastai la gola, poi le passai la mano sulla parte posteriore del capo. Le pulsazioni erano forti e regolari. La testa era solida come una roccia. Bene! Ma non avevo alcuna intenzione di restare nei paraggi ad assisterla. Molto probabilmente avrebbe tentato di nuovo di uccidermi. Spinsi in acqua la canoa, vi saltai dentro e mi allontanai pagaiando dall’isola. Che cosa non facevo per conoscere la mitologia!

Quando fui ben oltre i canneti, mi accorsi che qualcosa non andava nel mio braccio sinistro. Tirai dentro la pagaia e diedi un’occhiata. C’era un taglio nella mia camicia, dal gomito al polso. Il sangue gocciolava sul legno scuro della canoa e sui miei jeans. — Maledizione. — Mi tolsi la camicia e contorsi il braccio, cercando di vedere il taglio. Provai una fitta di dolore alla spalla. Strano. Mi ero dimenticata di quanto fosse rigida la spalla. Il taglio era lungo e poco profondo. Un graffio. Niente di cui preoccuparsi. Ma sanguinava ben bene, il che avrebbe dovuto ridurre il rischio di un’infezione. Non che un’infezione fosse probabile, a meno che non fosse provocata da qualcosa che avevo portato con me. Mi arrotolai la camicia attorno al braccio e legai insieme le maniche. Poi mi rimisi a pagaiare.

Soffiava un po’ di vento, leggero e irregolare. Le onde spruzzavano la canoa. Il braccio incominciò a farmi male, e anche la spalla. Mi concentrai sulla respirazione: dentro e fuori, tenendo il tempo con il movimento delle braccia mentre sollevavo la pagaia, la portavo in avanti, la immergevo nell’acqua e la tiravo indietro.

Davanti a me c’era la riva. Dove potevo approdare? Mi riparai gli occhi con la mano. Scorsi una figura sulla riva oltre i canneti. No. Due figure. Mi facevano cenni con le mani. Girai la canoa e pagaiai verso di loro. Un istante dopo erano spariti alla vista. Le canne si piegavano sopra di me, le teste pelose che ondeggiavano, e non avevo spazio per manovrare. Immersi la pagaia nell’acqua, toccai il fondo e spinsi. La canoa avanzò fra la vegetazione e arrivò in un punto dove l’acqua era limpida. Nia e Derek mi vennero incontro sguazzando e mi tirarono a riva.

— Dov’è Inahooli? — s’informò Nia.

Mi alzai. La canoa si mosse sotto di me. Derek mi afferrò per il braccio.

— No!

Mi lasciò andare. — Che cosa c’è? — Stese la mano. Il palmo era rosso.

— Sangue. — Misi piede sulla terra asciutta, mi sedetti e svenni.

Quando ripresi i sensi ero distesa sulla schiena e guardavo in su verso il fogliame, le foglie lunghe e sottili dell’erba enorme. Brillavano, i bordi illuminati dalla luce del sole.

Derek disse: — Riesci a capirmi?

— Sì. Certo. — Girai la testa. Lui stava seduto per terra a gambe incrociate. La parte superiore del suo corpo era nuda e vidi il braccialetto sul suo braccio. L’alta fascia d’oro. L’immagine continuava a sfocarsi e a tornare a fuoco.

— Che cosa è successo?

— Quella donna. Inahooli.

— Nia me ne ha parlato. Che cosa ha fatto?

— Era convinta che fossi un demonio. Che portassi sfortuna al suo… — esitai, cercando di pensare alla parola giusta — manufatto. Quello a cui stava di guardia. Mi ha inseguita con un coltello. L’ho colpita. Derek, è viva. E se verrà a cercarmi?

Lui abbozzò un breve sorriso. — Di questo mi occuperò io. Tu riposa.

— Okay. — Chiusi gli occhi, poi li riaprii. — I cornacurve.

— Ne ho trovato uno. La Voce della Cascata è riuscito a tenersi in sella. Come non so. L’ha lasciato correre finché non si è sfiancato. Non aveva altra scelta, mi ha detto. Alla fine l’animale si è dovuto fermare. Lui l’ha calmato e l’ha lasciato riposare, poi è tornato indietro. L’ho incontrato al tramonto. Ci siamo accampati sulla pianura. E al mattino… — Fece un gesto che non riconobbi.

— Che cos’era quello?

— Che cosa?

— Il gesto. Il cenno della mano.

Lui sorrise. — È un gesto umano, Lixia. Significa, all’incirca, "lasciamo perdere" o "perché agitarsi" o "puoi immaginare il resto".

— Oh.

— Siamo arrivati qui a metà mattina, dopo che te n’eri andata.

— Oh. — Chiusi gli occhi, poi mi ricordai di un’altra cosa. — Le radio.

Derek rise. — Sono sull’altro cornacurve. Quello che non ho trovato.

— Merda.

— Aha. Ho ritenuto giusto assicurarmi che la Voce della Cascata facesse ritorno al lago. Domani Nia partirà con l’animale che abbiamo. Cavalca meglio di me, e questo è il suo pianeta. Con un po’ di fortuna troverà le radio. E io mi assicurerò che… come si chiama?… la donna che ti ha fatto quel taglio.

— Inahooli.

— Mi assicurerò che non provochi altri guai.

— Che cosa significa?

Lui sorrise. — Niente di drammatico. Resterò qui e terrò gli occhi ben aperti. Adesso, dormi.

Derek se ne andò. Ero preoccupata. E se Nia non fosse riuscita a trovare l’altro animale? Saremmo stati soli per la prima volta. Veramente soli su un pianeta alieno. Probabilmente sarebbero passati giorni prima che quelli sulla nave si rendessero conto che qualcosa era andato storto. Che cosa avrebbero fatto allora? Come ci avrebbero trovati? Cercai di pensare a qualche tipo di segnale. Un fuoco enorme. Sarebbe stata la cosa migliore. Ma saremmo riusciti ad accenderne uno che fosse abbastanza grosso? E avrebbero capito che eravamo stati noi a farlo?

Mi appisolai e feci dei brutti sogni. Inahooli mi dava la caccia. Correvo giù per un lungo corridoio fra pareti di ceramica. D’un tratto il corridoio spariva. Mi trovavo sulla pianura. Mi giravo e vedevo un muro di fiamma che avanzava verso di me. Un incendio della prateria! Correvo. Ma era così difficile. L’erba era alta e fitta. Continuavo a inciampare. Il fuoco si avvicinava sempre più.

Caddi, ruzzolai e aprii gli occhi. Sopra di me si ammassava del fumo. Mi drizzai a sedere, terrorizzata.

Oh, sì. Il fuoco di bivacco. Ardeva a tre metri di distanza e attorno erano seduti i miei compagni. Più in là c’erano il lago e il sole basso sull’orizzonte. Era pomeriggio inoltrato. Mi faceva male il braccio, la testa mi doleva e avevo la gola secca. — C’è qualcosa da bere?

Mi guardarono.

— Stai bene? — mi chiese Nia.

— Ho sete.

Nia mi portò una sfera verde con un foro sulla sommità: qualcosa di simile a una zucca o forse a una noce di cocco. Dove l’aveva trovata? La presi e bevvi. Il liquido all’interno era fresco e aveva un gusto asprigno. Simile a che cosa? Agli agrumi? Non del tutto. Bevvi ancora.

— Adesso riesci a parlare? — s’informò Derek. — A che cosa stava di guardia quella donna? E perché ha deciso che fossi un demonio?

Guardai Nia, accosciata accanto a me. — Avevi ragione. La tua gente ha parlato di te. Inahooli se ne è ricordata. Nia la lavoratrice del ferro. La donna che amava un uomo.

Nia si accigliò. — A volte penso che la mia gente parli troppo. Non hanno niente di meglio da fare?

— E ha capito che Derek era un uomo.

— Perché ho usato la desinenza maschile del suo nome.

— Sì.

Si alzò in piedi e serrò i pugni, poi si batté la coscia. — Sono proprio come la mia gente. La mia lingua va su e giù come uno stendardo al vento, e non rifletto. — Aprì la mano e fece il gesto che significava "così sia".

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