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— Può darsi. Non c’è alcun dubbio sulla tua abilità nel raccogliere dati. Sei in grado di imparare una lingua più in fretta di chiunque altro che io conosca.

— Salvo Gregory.

Derek fece il gesto con cui riconosceva che potevo aver ragione. — Ma senti come parli. Tu dici "stronzate accademiche" e "giochetti teorici". Ciò lascia intendere un pregiudizio. Il rifiuto di teorizzare è, di per sé, una posizione teoretica, amor mio. Purtroppo per te, non è una posizione popolare. Dove saremmo senza i nostri sistemi, le nostre gerarchie di informazioni, le nostre analisi? I nostri punti di vista e la nostra etica?

Si alzò in piedi e si stiracchiò. — Quei vostri animali non sembrano affatto più veloci dei cavalli. Posso tenere il vostro passo. — Scagliò con un calcio un po’ di terriccio sul fuoco, poi raccolse le sue cose: lo zaino e la canna da pesca, avvolta in un rotolo, un arco e mezza dozzina di frecce.

— Hai fabbricato tu l’arco?

— Naturalmente. — Si guardò i piedi. — Non posso correre in questo modo. — Si tolse gli stivali e i calzini. — Ecco. — Li consegnò a me.

Nia disse: — Se intendi viaggiare senza scarpe, resta sulla pista o, se la lasci, stai attento a dove metti i piedi. Ci sono piante che pungono sulla pianura. Non mettere i piedi su niente che abbia un aspetto insolito.

— Sempre dei buoni consigli — replicò Derek. Fece il gesto della gratitudine.

Sellammo gli animali. Io legai al mio le mie cose e quelle di Derek, poi Nia e io montammo in sella. Attraversammo il fiume sollevando spruzzi d’acqua. Sull’altra sponda trovammo una pista che serpeggiava fra l’erba enorme e ben presto ci ritrovammo sulla pianura. Si estendeva senza interruzione verso ovest, nord e sud.

In un primo tempo Derek cercò di camminare al nostro fianco, ma la pista era troppo stretta, così ci precedette, muovendosi a grandi passi. Aveva i capelli sciolti che sbattevano al vento, così come l’estremità della sua camicia. Si muoveva in modo agile e sicuro e appariva felice e rilassato.

— Quell’uomo è strano — osservò Nia. Mi rivolse un’occhiata. Io feci il gesto dell’approvazione.

— È così che sono i vostri uomini?

— No. Lui è un tipo speciale. Mette a disagio quasi tutti noi.

— Mmm!

Il terreno mutò. Adesso era ondulato. Spesso, in lontananza, vedevo fitte macchie di quell’erba enorme: alta e di un verde brillante, simile a un boschetto di alberi. Nel pomeriggio inoltrato ci accampammo in un avvallamento. Derek e Nia andarono a raccogliere sterco mentre io mi occupavo degli animali. Erano irrequieti; dovevano aver sete, decisi. Quando Nia tornò, le chiesi: — Perché non andiamo in uno di quei boschetti? Mi hai detto che crescono nelle vicinanze dell’acqua.

— C’è un animale. L’assassino-delle-pianure. Se ne sta in agguato vicino all’acqua. I cornacurve vengono ad abbeverarsi e quello gli balza addosso.

— Oh. — Riflettei un momento. — È per questo motivo che eri inquieta quando siamo arrivate al fiume.

Nia fece il gesto dell’assenso. — Sapevo che non c’era modo di aggirare il fiume. Dovevamo attraversarlo. Ma avevo paura di quell’animale.

Dopo cena chiamai la nave. Rispose Eddie.

— Perché Derek è qui?

Eddie rise. — Ce l’ha fatta, eh? Per tre ragioni, Lixia. È un ricercatore sul campo di prim’ordine, ed era sprecato se restava da solo. — Esitò un momento. — Nia è la nostra informatrice più singolare. Desideravamo una seconda valutazione di lei e delle sue informazioni. Questa è la ragione numero due. Infine, tu non chiami abbastanza spesso. Derek è lì per tenere d’occhio te e Nia.

— Oh, sì?

— Aha. Parlando dei nostri compagni dell’Asia Orientale, ci sono parecchi manifesti appesi lungo il Muro della Democrazia.

C’era un corridoio principale che attraversava gli alloggiamenti. I cinesi ne avevano rivestito una parte con tavole di sughero e l’avevano chiamato il Muro della Democrazia. Sostenevano che era necessario per la corretta espressione della volontà popolare.

Che cosa c’era di male nei computer? avevamo chiesto noialtri.

I computer isolavano le persone, ciascuna seduta di fronte al suo piccolo schermo. Il muro riuniva le persone. Potevano discutere di ciò che leggevano. Potevano guardarsi attorno e vedere come reagivano i loro vicini. Potevano distinguere chi stava ascoltando.

I computer accentuavano il pensiero lineare e la logica. Il muro, al pari dell’ideogramma cinese, usava modi lineari e non lineari di organizzare le informazioni: la costante così come la sequenza, lo spazio così come il tempo. Quando si osservava il muro, si utilizzava l’intero cervello umano.

Inoltre, era tradizionale. Gli esseri umani avevano sempre scritto e disegnato sui muri.

Era difficile mettere in discussione questo concetto, e il muro aveva un certo fascino disordinato. Non c’era modo di sapere che cosa vi avrebbero affisso le persone: un disegno ingegnoso, una stupida poesiola, una maschera di cartapesta: "Cercasi… un compagno per gli scacchi". E un sacco di ragionamenti politici. Era un modo di raggiungere quelle persone che non avrebbero mai pensato di partecipare a nessuna delle reti di discussione politica.

Eddie proseguì: — Lu Jiang, l’idraulica, ha una teoria, che ha affisso al muro. Dice quanto segue: se le informazioni che abbiamo ora sono esatte, tutte le società indigene sono ferme a uno stadio di sviluppo pre-urbano. Per quanto ne sappiamo, è impossibile sviluppare una tecnologia avanzata al di fuori delle città. Senza una tecnologia avanzata, non può esserci alcun proletariato, e senza proletariato, non può esserci alcuna rivoluzione socialista. Di conseguenza, sostiene, gli sventurati abitanti di questo pianeta non raggiungeranno mai una società socialista. Naturalmente è stata criticata per aver sottovalutato il ruolo dei contadini nella realizzazione del socialismo.

— Sembra splendido.

— È pericoloso, Lixia. C’è gente che incomincia a dire che, se Jiang ha ragione, allora forse dovremmo prendere contatti con le popolazioni autoctone del pianeta; contatti formali, dicendo loro chi siamo. Forse abbiamo da offrire loro la nostra tecnologia. Se non lo faremo, li condanneremo a un’esistenza senza possibilità di progresso. Resteranno per sempre come sono.

Mi massaggiai il naso.

Lui continuò. — Ciò che vedo verificarsi è un’alleanza fra gli altruisti e i tecnologi. Coloro che amano le persone e coloro che amano le macchine. Insieme decideranno che dobbiamo aprire il pianeta alla colonizzazione.

— Eddie, ti stai crucciando anzitempo.

— Ascoltami. Mio nonno era un uomo di medicina. Vedeva le cose prima degli altri. E ti assicuro, in questo momento ho la sua stessa capacità. Riesco a vederlo come in una visione: le miniere, le raffinerie e i proletari coperti di pelliccia, che timbrano il cartellino ogni mattina.

Decisi di mettere fine alla conversazione. Eddie si stava adirando e non volevo avere alcuna parte in nessuna delle sue collere.

— Adesso spengo questo aggeggio. Voglio fare la mia ginnastica.

— Okay. Di’ a Derek di chiamare. No. Ripensandoci, lascia perdere. Lui si ricorda sempre di farlo.

Spensi la radio e feci ginnastica. Dopo di che meditai, tenendo lo sguardo fisso sull’orizzonte orientale. Il cielo laggiù era di un azzurro intenso e limpido con una sfumatura di verde. Più in alto, dove l’azzurro si schiariva e si faceva un po’ più verde, brillava un punto luminoso. Un pianeta. Mi concentrai sulla respirazione. Dentro. Fuori. So. Hum.

Alle mie spalle sentii la voce di Derek. — Stai raggiungendo l’unità con l’universo?

Mi contrassi, poi mi guardai attorno. Era fermo a circa un metro di distanza. Mi era arrivato vicino senza fare il minimo rumore. Sorrideva. — Vuoi del peyote? Ne ho portato giù un po’.

— Mi sembrava che avessimo convenuto sull’esclusione di qualunque narcotico sulla superficie di questo pianeta. A meno che, naturalmente, non fossero stati forniti dai nativi.

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