Al centro del fiume c’era un banco di ghiaia sul quale si riposavano una mezza dozzina di creature: grossi quadrupedi privi di pelo e con la coda. Uno di questi sollevò il capo e mi fissò, poi emise un brontolio di avvertimento. Si alzarono tutti quanti ed entrarono pesantemente nell’acqua.
Forse lucertole? Il nome sembrava appropriato e mi offriva una sommaria qualificazione, anche se avrei dovuto ricordare che queste creature non erano autentiche lucertole.
Arrivai al villaggio al tramonto. Sorgeva in cima alla ripida scogliera del fiume, e tutto ciò che riuscii a vedere in un primo tempo fu una barriera fatta di tronchi oltre la quale saliva del fumo. Fuochi per cucinare. Parecchi. Sulla palizzata c’erano insegne come quella che aveva tenuto in mano l’oracolo: lunghe pertiche che terminavano in corna di metallo. Le corna rosseggiavano alla luce del sole. Rame lucidato, mi dissi.
Mi inerpicai su per il sentiero fino al cancello. C’era una donna lì ferma, che osservava il sole che calava. Era scura come i due uomini nel canyon e indossava una tunica di un azzurro acceso.
— Dammi il benvenuto — dissi.
La donna si girò.
— Chi sei?
— Una viandante. La Voce della Cascata mi ha detto di venire qui.
— Davvero? Entra. Sei arrivata appena in tempo.
Entrammo. Lei chiuse il cancello e vi mise una sbarra di traverso. — Ecco! — Si ripulì le mani. — Vieni con me. Ti condurrò dalla sciamana.
La seguii lungo una strada stretta che si snodava avanti e indietro fra le case. Queste erano costruzioni ottagonali, fatte di tronchi. Gli interstizi fra i tronchi erano stati riempiti con una pianta gialla e lanuginosa che sembrava essere viva e in crescita. I tetti erano spioventi e s’innalzavano dai bordi verso il centro, dove c’era un’apertura per il fumo. Non ero in grado di vedere queste aperture, ma il fumo era ben visibile e saliva da quasi tutte le case. I tetti erano ricoperti di terriccio, un eccellente tipo di materiale isolante, e nel terriccio crescevano alcune piante. Erano piccole e scure. Mi protesi e colsi una foglia. Era rotonda, spessa e simile a cera. La schiacciai e ne sprizzò dell’acqua. Una pianta grassa o qualcosa di molto simile. Era probabile che non bruciasse, il che costituiva un grosso vantaggio. Dal foro per il fumo uscivano senza dubbio scintille e se fossero finite su una pianta secca, queste persone avrebbero avuto un incendio della prateria che infuriava proprio sulle loro teste. A che cosa serviva quella pianta? Era commestibile? O soltanto ornamentale?
La donna si fermò davanti a una casa particolarmente grande. — O sciamana, vieni fuori!
La porta si aprì. Uscì una donna, bassa e grassa, che indossava una lunga veste tutta macchiata. La veste era biancastra e le macchie si vedevano facilmente. Una scelta infelice per una persona evidentemente rozza. Aveva addosso almeno una dozzina di collane. Alcune erano comunissimi fili di perline, altre erano elaborate, con catene, campanelle e ciondoli a forma di animali. Erano tutte di rame, e tutte aggrovigliate. Pensai che in nessun modo la donna si sarebbe potuta togliere una sola collana.
— È arrivata questa stranissima persona, o santa. Sostiene di avere un messaggio della Voce della Cascata.
La sciamana mi scrutò con attenzione. — Dov’è la tua pelliccia? Sei stata ammalata?
— No. Vengo da molto lontano. La mia gente è priva di pelliccia.
— Aiya! Ciò è davvero strano. Qual è il tuo messaggio?
— La Voce della Cascata dice che vuole che tu mi aiuti.
— No.
— Che cosa?
— Quell’uomo non può aver detto così. Lui non ha desideri. Non ha opinioni. Egli è la Voce della Cascata. Quando parla, è la cascata che parla. Perciò, quello che hai detto era sbagliato. Non è quell’uomo che vuole che io ti aiuti. È la cascata che vuole che ti aiuti.
L’altra donna fece il gesto dell’approvazione.
— Di che cosa hai bisogno? — domandò la sciamana.
— Ho un’amica che è stata ferita. Si trova a una giornata da qui, verso est, nel canyon. Vuoi andare a cercarla?
La sciamana corrugò la fronte e si grattò il mento. Poi fece il gesto dell’assenso. — Domani. — Si voltò e tornò in casa. La porta si chiuse.
— Aiya! - esclamò l’altra donna. — È una cosa che lei non fa mai. Non va mai dalle persone, sono loro che devono venire da lei. Ma tutti ascoltano la Voce della Cascata. E quell’uomo un tempo era suo figlio, e lei gli voleva molto bene. Vieni con me.
La seguii fino a un’altra casa. All’interno c’era un unico, vasto locale con grossi pilastri che sostenevano il tetto. Erano stati intagliati e dipinti di rosso, bianco, nero e marrone. I disegni erano complessi, costituiti da linee ricurve. Sembravano raffigurare degli animali. Qui e là vidi delle facce e delle mani munite di artigli. Le facce avevano occhi di rame e lingue di rame che sporgevano arrotolate dal pilastro.
Al centro della casa un fuoco ardeva in una buca e lì vicino erano sedute tre persone. Erano bambini abbastanza grandicelli. Stavano facendo un gioco. Uno scagliava una manciata di bastoncini, un altro si chinava a osservare il disegno che avevano formato. — Aiya! Che fortuna che hai!
Il terzo guardò nella nostra direzione. — E questa che cos’è?
— Una persona. Sii cortese. Portaci qualcosa da mangiare.
Ci sedemmo. La donna disse: — Io sono Eshtanabai, la mediatrice. È stata una fortuna che ci fossi io al cancello invece di una donna qualunque.
— Tu sei che cosa?
I bambini ci portarono delle scodelle di poltiglia e una caraffa piena di liquido. Il liquido era aspro. La poltiglia era quasi insapore. Mangiammo e bevemmo. Eshtanabai mi spiegò.
— Le persone si arrabbiano le une con le altre. Non si parlano. Se ne stanno sedute nelle loro case e tengono il broncio. Io vado da ciascuna di queste persone. Ascolto ciò che hanno da dire. Dico: "Questa controversia non è bene. Non c’è un modo per mettervi fine? Che cosa vuoi? Quale soluzione ti soddisferà?". Allora vado avanti e indietro, avanti e indietro finché tutti sono d’accordo su ciò che andrebbe fatto. È un lavoro difficile. Mi causa dei gran mal di testa.
— Posso immaginarlo.
— Qualcuno deve farlo. La sciamana è troppo santa. La Voce della Cascata non sempre parla in modo logico. Come potrebbe un uomo, perfino quell’uomo, appianare una controversia?
Non avevo una risposta a quell’interrogativo. Finimmo di mangiare, poi mi coricai, usando il mio zaino come guanciale. Uno dei bambini mise altra legna sul fuoco. Un altro bambino incominciò a suonare un flauto. La melodia era dolce e malinconica. Chiusi gli occhi e ascoltai. Un momento dopo mi addormentai.
Mi svegliai nel cuore della notte con un terribile torcicollo. Il fuoco era quasi spento. Attorno a me, nella casa buia, sentivo il suono del respiro. I miei compagni dormivano. Mi tirai su a sedere e mi massaggiai il collo, poi tornai a coricarmi. Questa volta non usai lo zaino come guanciale. Quando mi svegliai di nuovo era mattina. La luce del sole splendeva attraverso la porta aperta. Eshtanabai era seduta accanto al fuoco. I bambini erano spariti.
— La sciamana ha lasciato il villaggio — mi disse. — Con lei sono andate altre persone. Porteranno qui la tua amica.
— Bene. Quando?
— Domani o il giorno dopo.
Feci colazione, ancora poltiglia, poi uscimmo. Il cielo era sereno, l’aria tiepida. Odorava di mucchi di letame. Decisi di dare un’altra occhiata alla pianura. Trovai il cancello del villaggio e lo varcai.
Una pista conduceva attorno al villaggio. La seguii. La pianura si estendeva verso sud e verso est, quasi assolutamente piatta. C’erano animali in lontananza: puntini neri che di quando in quando si muovevano. Mi riparai gli occhi con la mano, ma non riuscii a distinguerli.
Sul lato settentrionale del villaggio c’erano orti che somigliavano in tutto e per tutto agli orti del villaggio di Nahusai. Mi fermai nei pressi di uno degli orti.