— Non facilmente — risposi.
— Mi procurerò vestiti nuovi al villaggio. E cibo. E utensili. Me li daranno anche se mi conoscono e possono essere quasi certi che io non sono l’Oscuro.
Avevo un registratore? Mi guardai attorno.
— Qui — disse Derek.
Lo lanciò e io lo afferrai. Era un registratore audio grande come una scatola di fiammiferi. Lo accesi. — Chi è l’Oscuro?
— Uno spirito. Giunge nei villaggi come uno straniero, di solito una donna, a volte un uomo. Spesso è una donna lacera e affamata. Può essere ammalata. Può avere un aspetto curioso.
"Hua, la donna che mi ha insegnato a lavorare il ferro, diceva che la sua vera forma è quella di una vecchia con la pelliccia nera, curva e tutta storta. Ha uno strano odore. Chiede aiuto, anche se non in modo simpatico. Il più delle volte è scorbutica.
"Se il villaggio è generoso, lei prosegue il suo cammino. Se il villaggio è avaro o scortese, allora…" Nia fece il gesto che significava "lo sai" o "che cosa ti aspetti?"
— Capitano cose spiacevoli — terminò Derek.
Nia fece il gesto dell’approvazione.
— Che genere di cose spiacevoli? — chiesi.
— Le persone si ammalano. Gli animali muoiono. Non c’è abbastanza cibo. — Fece una pausa e mi guardò. Doveva essere evidente che volevo saperne di più. — La sciamana scopre quale spirito è adirato. Allora il villaggio esegue una cerimonia. È chiamata: "Benvenuto allo Straniero". Raccolgono tutte le cose che amano di più: buon cibo, coltelli dalle lame taglienti, vestiti coperti di ricami, doni che provengono dai luoghi più lontani. Accendono un fuoco. La gente canta:
"Vedi
come ti accogliamo bene.
Vedi
i bei preparativi.
"Il cibo finisce nel fuoco. I coltelli. I vestiti. Tutto viene bruciato. Se le persone sono fortunate, l’Oscuro sarà soddisfatto. Ma ci vuole molto. È meglio darle ciò di cui ha bisogno quando arriva sotto le sembianze di una vecchia."
— Che cosa succede se l’Oscuro arriva al villaggio del Popolo il cui dono è la follia?
— Non ho mai sentito una storia a questo proposito, e non mi aspetto di sentirla.
— Perché no?
— Le storie sull’Oscuro si raccontano in estate e in autunno. È allora che la maggior parte della gente viaggia. È allora che si incontrano gli stranieri.
"Le storie sul Popolo il cui dono è la follia si raccontano in inverno, quando la neve è alta ed è impossibile viaggiare. È allora che alla gente piace sentire parlare di un comportamento stupido che ha avuto luogo molto lontano."
— La neve è alta — disse Derek in inglese. — Il vento ulula. Sediamoci presso il fuoco e ridiamo dei forestieri.
Spensi il registratore.
Nia si alzò. — Se avete intenzione di parlare in quella lingua, me ne vado.
— Vuoi mangiare? — mi chiese Derek. Parlò nel linguaggio dei doni.
Feci il gesto dell’affermazione.
Nia disse: — Sto fabbricando un arco. Ho trovato del legno che non è male, e Deragu mi ha dato una corda.
— Davvero?
— Non dirlo a nessuno.
Ce ne andammo insieme, uscendo nella caliginosa luce del sole. Nia fece il gesto del commiato e si diresse verso l’interno e la scogliera. Io e Derek andammo verso la sala da pranzo.
Mangiammo con Agopian e un nero di corporatura snella. Cyril Johnson. Faceva parte del team idrologico e la sua attrezzatura non era arrivata. Tenne un discorso sulla maledetta incompetenza a bordo della nave e nel corso di tutta la storia umana.
Ascoltammo educatamente. Mangiai qualcosa che si sforzava di essere un’insalata greca. Il formaggio era di capra e c’erano troppo poche olive. La maggior parte degli olivi erano morti durante il viaggio. Ci sarebbero voluti anni prima che i nuovi alberi fossero abbastanza vecchi da produrre olive.
— Abbiamo fissato una riunione generale per questa sera — disse Agopian. — Queste persone hanno il diritto di sapere che cosa succede.
— Hai ragione — ribatté Derek. — Ce l’hanno. Purtroppo, noi non abbiamo alcuna idea.
— Sapete sui nativi più di chiunque altro.
— Pensate che ci lasceranno restare? — chiese Cyril.
— Non lo so — risposi.
Lui aggrottò la fronte e serrò le labbra. Un altro esempio di maledetta incompetenza.
Finii il mio caffè e portai il mio vassoio al tavolo riciclante. Agopian mi seguì. Uscimmo. Il cielo era sereno, l’aria calda e umida. Mi tolsi la giacca.
— Verrò con voi — disse Agopian.
— Su per il fiume?
Fece cenno di sì col capo.
— Sono certa che la Ivanova ha un buon motivo per portare un navigatore spaziale. — Guardai la banchina. Entrambe le imbarcazioni erano ormeggiate. C’erano persone che lavoravano a bordo, occupandosi della manutenzione o di qualche riparazione.
— Sono anche uno storico.
— Della storia del lavoro, mi sembra che tu abbia detto.
— Ogni società ha lavoro e lavoratori.
Gli lanciai un’occhiata. Oggi non portava l’uniforme dell’equipaggio. Al contrario aveva un aspetto quasi americano: jeans scoloriti e una camicia di cotone a sottili righe verticali bianche e blu. Huaraches ai piedi. La cintura aveva una grossa fibbia di metallo con su un aeroplano a razzo e dei caratteri in alfabeto cirillico.
— In Nordamerica l’avremmo chiamata una camicia da ferroviere.
Lui sorrise. — L’ho comprata a Detroit, nel negozio di articoli per regalo presso il Museo dela Cultura della Classe Lavoratrice.
Ci incamminammo verso il lago.
— La cintura viene dal negozio di articoli per regalo sulla Stazione di Trasferimento Numero Uno. L’ho presa quando mi sono aggregato alla Kollontai. Sono… ero… un gran collezionista di souvenir.
— Non lo sei più?
— Non proprio. Anche se non mi dispiacerebbe portarmi a casa qualcosa da qui. Se torneremo.
— Se?
— È un lungo viaggio, e non abbiamo idea di come sarà la Terra quando ci torneremo. Qui, forse, abbiamo un futuro. Laggiù saremo solo curiosi resti di un lontano passato, come i mammut che abbiamo ricostruito.
— Credevo che sarebbero diventati le nuove bestie da soma in Siberia.
— Sono più stupidi degli elefanti, e il loro carattere non è affidabile. Non è facile addomesticare una nuova specie. O, in questo caso, una specie molto antica.
Ci fermammo sul bordo dell’acqua. C’erano i soliti minuscoli uccelli bruni che correvano sui ciottoli, cacciando e beccando.
— Come diavolo ti sei ritrovato con una laurea in navigazione spaziale?
Lui rise. — Ti stai chiedendo se Derek non abbia ragione e io non sia… com’è quella parola?… un vegetale.
— Penso che tu ti riferisca a una pianta.
Annuì. — O a un topo campagnolo.
— Tutt’a un tratto il tuo inglese sta peggiorando.
— Ho qualche problema con il linguaggio della paranoia. Non mi viene naturale.
— Oh.
— Ho preso la laurea perché ero un fallimento come funzionario politico.
— Davvero?
Annuì di nuovo. — Devi capire, fin da quando ero un ragazzo avevo due sogni. Due passioni. Lo spazio e la teoria politica.
Una ben strana combinazione, pensai. Ma non c’erano spiegazioni per i gusti e le passioni.
— Sapevo dall’inizio di voler diventare un funzionario politico nella flotta sovietica. Ci sono riuscito, e ho scoperto che era inutile. — Spinse una pietra con la punta dello stivale. La pietra si capovolse, rivelando un insetto di un giallo vivace. L’insetto fuggì.
— La Kollontai era una nave da carico. Credo di avertelo detto. L’equipaggio era costituito dal genere di individui che si trovano nei magazzini e sulle navi. Ne hai mai incontrato qualcuno?
Feci il gesto dell’affermazione.
— C’è qualcosa nelle persone che trasportano merci. Sono uguali, in tutto il mondo e perfino nello spazio. Come potrei descriverle? Robuste? Coi piedi per terra? Sebbene sembri strano quando parlo di gente che viaggia nello spazio.