Литмир - Электронная Библиотека

— Forse di più, col tempo. Potrebbero vivacizzare il posto… magari migliorare il nostro esercito.

Quinn sembrò divertita da quel pensiero. — Cosa posso dirti? Dottor Urquhart, mi hai convinto.

Lui balzò in piedi e le strinse la mano con entusiasmo.

Ethan prese appuntamento con Elli Quinn telefonandole a casa di suo padre, e poi andò a incontrarla in un bar poco frequentato dai turisti, in una galleria laterale della Passeggiata dei Viaggiatori. La bruna mercenaria era arrivata in anticipo e stava bevendo un liquore azzurro da un calice a forma di fiore, che sollevò un po’ per farsi vedere e un po’ per salutarlo mentre lui s’avvicinava fra i tavolini.

— Come sta? — s’informò subito lui, sedendosi.

Quinn si appoggiò pensosamente una mano sul lato destro dell’addome. — Bene. Avevi ragione, non me ne sono neppure accorta. Non sento niente. Quasi mi dispiace di non avere neppure una cicatrice con cui dimostrare la mia generosità. — Sembrava che dicesse sul serio.

— L’ovaia ha reagito benissimo al trattamento di coltura — le assicurò Ethan. — le cellule si stanno già riproducendo. Fra quarantott’ore saranno pronte per essere surgelate e spedite. E subito dopo, se non ci saranno contrattempi, anch’io partirò per Colonia Beta. Lei quando se ne andrà? — La vaga ipotesi (speranza?) che potessero viaggiare sulla stessa nave gli attraversò la mente.

— Io parto stasera. Prima di trovarmi in altre difficoltà con la polizia della stazione — rispose lei, cancellando le possibilità di conoscerla meglio che Ethan cominciava a figurarsi. Non aveva avuto il tempo di chiederle nulla dei pianeti dove lei era stata nel corso dei suoi viaggi. — Voglio essere molto lontana da qui prima che arrivino dei cetagandani a indagare sulla morte di Millisor. In effetti è più probabile che vadano sul Gruppo Jackson, dove possono sempre trovare qualcuno disposto a raccontargli tutto per denaro… non escluso lo stesso Barone Luigi. Gli auguro di divertirsi, ma io ho altro da fare. — Si appoggiò allo schienale, soddisfatta come una gatta che avesse fatto piazza pulita nella gabbia e si leccasse via dai baffi un’ultima piuma.

— Anch’io conto di non incontrare nessun cetagandano — disse Ethan, — finché è possibile.

— Non dovrebbe esserti troppo difficile. Per tua tranquillità, potrei dirti che dopo la sua fuga dal Reparto Quarantena il Ghem-colonnello Millisor ha mandato un rapporto ai suoi superiori, informandoli che Helda ha distrutto le colture ovariche fatte dai bharaputrani. Questo dovrebbe distogliere da Athos l’interesse del governo di Cetaganda. In quanto a Terrence Cee è un altro paio di maniche, perché lo stesso rapporto conferma la sua presenza qui su Stazione Kline. Almeno, questo è ciò che Millisor e Rau hanno detto in mia presenza giù ai moli, intanto che aspettavamo il tuo arrivo.

«Questa mattina — continuò Quinn, — ho cominciato a lavorare alla mia relazione conclusiva per l’ammiraglio Naismith. Ce n’è abbastanza da dargli da pensare per mesi. Sono felice di non essere io a dover decidere cosa fare con quel materiale. Bene. Per rendere perfetta la mia ultima giornata a Stazione Kline ci mancava soltanto una cosa… e sembra che stia venendo da questa parte giusto ora. — Rivolse un cenno del capo a qualcuno alle spalle di Ethan, e lui si voltò a guardare.

Terrence Cee stava attraversando la galleria verso i tavolini del bar. La sua tuta verde da operaio gli dava un’apparenza comune, ma Ethan notò che quegli occhi azzurri facevano voltare tre o quattro clienti di sesso femminile.

Il giovanotto trovò una sedia e la portò al loro tavolo; annuì verso Quinn e sorrise brevemente a Ethan. — Buon pomeriggio comandante, dottore.

Quinn sembrava felice di vederlo. — Buon pomeriggio, signor Cee. Posso offrirle un drink? Borgogna, sherry, Champagne, birra…

— Un thè nero — disse lui. — Grazie.

Quinn infilò la sua carta di credito in una fessura del tavolo automatico. La stazione, evidentemente, non importava tutti i generi voluttuari. Un thè assai profumato, una varietà nera coltivata nella serra di Stazione Kline, uscì dal distributore in una tazza di cristallo fumante.

Anche Ethan ordinò un thè nero, celando sotto modi noncuranti il lieve disagio che gli dava la vicinanza di Cee. Il telepate non poteva avere più nessun interesse per Athos, a quel punto.

Cee sorseggiò. Ethan sorseggiò. — Bene — disse Quinn. — Me li ha portati?

Cee annuì, bevve un altro sorso e mise sul tavolo tre dischetti, più una scatola sigillata larga la metà di una mano. Il tutto scomparve subito nella blusa di Quinn. All’occhiata interrogativa di Ethan, la mercenaria rispose: — Tutti quanti commerciamo in carne umana, qui, a quanto pare. — Dal che lui comprese che la scatoletta conteneva i campioni di tessuto organico promessi dal telepate.

— Credevo che Terrence venisse con lei, per lavorare coi Mercenari Dendarii — disse Ethan, sorpreso.

— Ho cercato di convincerlo e di costringerlo, ma ahimè… comunque l’offerta resta sempre valida, signor Cee.

Terrence Cee scosse il capo. — Quando sentivo sul collo l’alito di Millisor, mi sembrava quasi la sola possibilità. Lei mi ha aperto una via d’uscita mentre mi vedevo in trappola… e spero di averle dimostrato la mia riconoscenza, comandante Quinn. — Un cenno verso il pacchetto nascosto nella blusa di lei indicò che quella era la forma tangibile della sua gratitudine.

— E più di quanto speravo — annuì seccamente lei. — Se in seguito cambiasse idea, può sempre venire a cercarci. Non so dove saremo, ma lei si faccia indicare un posto agitato, cerchi un piccoletto dalla mente acuta in mezzo ai guai più rognosi che vede e gli dica che la manda Quinn.

— Me lo ricorderò — promise Cee in tono non impegnativo.

— Ad ogni modo, uh… non viaggerò sola soletta. — Quinn ebbe un sogghigno storio. — Ho intrappolato un’altra recluta da cui farmi portare le valigie. Un emigrante volonteroso… deciso a viaggiare dappertutto in cerca di fortuna. Vorrei farglielo conoscere, signor Cee. La cosa che lei apprezzerebbe di questo bravo ragazzo è che ha all’incirca la sua età, la sua altezza, stessa corporatura… capelli biondi, anche. — Alzò il calice a forma di fiore con quel che restava del liquore azzurro. — Confusione sui nostri nemici.

— Le sono grato, comandante — disse Cee, colpito.

— Dove, ah… dove pensa di andare, allora, se non le interessa il lavoro dei mercenari? — gli domandò Ethan.

Cee allargò le mani. — Mi si presentano molte scelte. Troppe, in realtà, e tutte ugualmente vuote di significato… scusatemi. — Fece del suo meglio per ritrovare un’espressione meno lugubre. — Da qualche parte, lontano da Cetaganda. — accennò ancora col capo verso la blusa di Quinn. — Spero che non abbia difficoltà a contrabbandare quel pacchetto. Dovrà surgelarlo in un contenitore termostatico al più presto, però. Uno molto piccolo, magari. Sarebbe prudente che nella lista dei suoi bagagli non apparisse nessun contenitore del genere.

Lei sorrise appena, grattandosi un dente (le sue unghie erano di nuovo ben curate) e mormorò: — Uno molto piccolo, oppure… mmh. Penso di avere la soluzione ideale a questo problema, signor Cee.

Ethan guardò con interesse mentre Quinn deponeva l’enorme scatola bianca per le spedizioni di materiale a temperatura controllata sul bancone dei MAGAZZINI REFRIGERATI — INGRESSO 297-C.

Il tonfo riuscì a distrarre l’attenzione della giovane femmina grassottella dallo schermo su cui si svolgeva un dramma sentimentale. Le immagini svanirono in attesa di un momento migliore, e l’impiegata si tolse l’auricolare.

— Sì. signora?

— Sono venuta a riprendere i miei tritoni — disse Quinn. Si protese verso il computer e infilò la ricevuta di plastica con l’impronta del suo pollice nella fessura rossa sotto lo schermo.

— Oh, sì, mi ricordo di lei — disse l’impiegata. — Una cella refrigerata da due metri cubi. Scatolone di plastica verde. Lo vuole scongelato subito? Occorrono venti minuti.

60
{"b":"120347","o":1}