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Cee allargò le braccia e girò su se stesso, come se la sua telepatia fosse attiva e stesse cercando di captare qualcosa. — Da questa parte — decise, indicando a sinistra.

— Ne è sicuro?

— No.

I due ripresero a correre. Arrivati all’incrocio successivo furono ricompensati dal suono di una voce femminile che gridava qualcosa, in tono di protesta, dalla traversa di destra. Seguirono quella direzione e da lì a poco videro che il corridoio sfociava in un atrio da cui partiva un pozzo antigravità per le merci.

L’uomo dal vestito di seta marrone aveva spinto Quinn faccia al muro, e le torceva un braccio dietro la schiena. Lei cercava di divincolarsi per attenuare il dolore, ma in quella posizione non aveva possibilità di opporsi.

— Avanti, signora mia — stava dicendo l’uomo dall’abito rosa. — Non farci perdere altro tempo. Dov’è il denaro?

— Se avete fretta non voglio trattenervi, andate pure — ansimò lei con la faccia schiacciata contro il muro. Quella sfacciataggine le costò cara. — Ouch! Razza di… agh! Sentite, vi consiglio di nascondervi nella vostra ambasciata prima che arrivi la Sicurezza. Fra poco sarà pieno di gente, qui, dopo quell’esplosione.

Abito rosa girò su se stesso e alzò la pistola a plasma nel sentire i passi di Ethan e di Cee che arrivavano nell’atrio.

— Si fermi! — disse il telepate afferrando Ethan per un braccio.

— Non sparate, questi due sono amici! — protestò Quinn, lottando per divincolarsi. — Sono amici, vi dico. Non c’è bisogno di sparare, siamo tutti amici, qui!

— È così, ve l’assicuro! — si affrettò a dire Ethan, stordito e confuso ma non al punto di tentare qualcosa contro quelle armi.

— I mercenari che riscuotono soldi per un contratto e poi non lo portano a termine, non hanno amici — grugnì Abito Marrone. — Hanno soltanto eredi.

— Io stavo eseguendo il contratto — replicò Quinn. — Voialtri scalzacani non apprezzate la professionalità. Qui uno non può riempire le strade di cadaveri e correre sotto la protezione di questa o quell’ambasciata. Non può neanche farsi sbattere fuori e dichiarare persona non grata su Stazione Kline, se ci tiene a lavorare da queste parti anche in futuro. Non solo io sono stata costretta a recitare due diversi ruoli, ma ho dovuto restare dietro le quinte, se volevo poter tornare qui un giorno o l’altro. A me piace fare il lavoro con professionalità.

— Hai avuto sei mesi per fare il lavoro con professionalità. Adesso il Barone Luigi rivuole indietro i soldi della Casa — disse Abito Rosa. — Questa è l’unica professionalità che io so apprezzare.

Abito Marrone le strappò un gemito, costringendola ad alzarsi sulle punte dei piedi. — Ouch! Ouch! E va bene, non c’è problema! — La vostra tessera di credito è nel taschino interno della mia blusa. Servitevi da soli.

— E dov’è la tua blusa?

— Me l’ha levata Millisor. È giù ai moli. Auch! No. credetemi, è la verità!

Nei gesti di Abito Marrone ci fu una pausa disgustata. — Potrebbe essere come dice lei — borbottò Abito Rosa.

— Quel settore dei moli è pieno di gente della Sicurezza, a quest’ora — obiettò Abito Marrone. — Potrebbe essere un trucco.

— Sentite, ragazzi, cercate d’essere ragionevoli e di mettervi nei miei panni, uh? — disse Quinn. — Il prezzo del Barone Luigi era metà in anticipo e metà a lavoro finito. E io ho già eliminato Okita. Perciò un quarto della somma mi spetta a buon diritto.

— Noi abbiamo soltanto la tua parola, su Okita. Io non ho visto il corpo — disse Abito Rosa.

— Professionalità, sergente, professionalità.

— Maggiore — la corresse Abito Rosa.

— E sono stata io a far fuori Setti, giù al molo, proprio poco fa. Questo fa metà del lavoro. Dunque siamo pari, mi sembra.

— L’hai fatto fuori con la nostra bomba — disse Abito Marrone.

— Vogliamo litigare su dettagli così meschini? Sentite, noi siamo alleati, si o no?

— Nossignora — grugnì Abito Marrone, storcendole il braccio ancor di più.

Nel corridoio si stavano avvicinando delle voci, e rumori di veicoli e di attrezzature, dalla parte dei moli. Abito Rosa s’infilò la pistola al plasma in una fondina ascellare, sotto la blusa ricamata. — E ora di andare.

— E vuoi passargliela liscia? — domandò Abito Marrone.

Abito Rosa scrollò le spalle. — Metà lavoro l’ha fatto. Diciamo che gliela passiamo liscia a metà. Tu sei mancina o destra, comandante Quinn?

— Destra.

— Saldiamo il conto del Barone sul suo braccio sinistro, e andiamocene.

Abito Marrone lasciò cadere in ginocchio Quinn, le fece allungare il braccio sinistro sul bordo di un grosso vaso da piante e premette con fredda e calcolata energia. Il lieve crack cartilaginoso fu quasi udibile. La mercenaria scivolò al suolo senza un gemito. Per la seconda volta Cee trattenne Ethan dal precipitarsi avanti. I due bharaputrani di pelle nera entrarono nel pozzo antigravità, si diedero una spintarella verso il basso e sparirono.

— Dannazione, credevo che non se ne sarebbero più andati — mugolò Quinn tirandosi a sedere. — L’ultima cosa di cui ho bisogno è che la Sicurezza mi veda con quei due figli di puttana e tragga le sue conclusioni. — Si girò con la schiena contro il vaso, pallida in faccia. — La prossima volta mi farò assegnare a una missione di combattimento. Questo lavoro dei Servizi Segreti non mi piace come mi aveva assicurato l’ammiraglio Naismith.

Ethan si schiarì la gola. — Comandante, lei ha… uh, bisogno di un medico?

La mercenaria cercò di sorridergli. — Forse. E tu?

— Già. — Ethan sedette pesantemente accanto a lei. Gli ronzavano gli orecchi, e le pareti di quell’atrio sembravano pulsare. Ruminò sul commento di lei. — Questo non sarà per caso il suo primo lavoro per il Servizio Segreto, eh?

— L’hai detto.

— La mia solita fortuna. — Ethan poggiò le mani al suolo. Il pavimento antiattrito non gli era mai sembrato così invitante.

— La Sicurezza sta arrivando — osservò lei. Alzò lo sguardo verso Cee. che si protendeva su di loro con ansiosa ma impotente sollecitudine. — Che ne dice di far loro un favore e semplificargli un po’ la scena? Sparisca, signor Cee. Se si allontana con aria indifferente, quella tuta verde la farà arrivare dove vuole. Vada al lavoro, o da qualche altra parte.

— Io… io… — Cee allargò le braccia. — Come potrò mai ripagarvi? Voi due avete fatto molto per me.

Lei si teneva il braccio, con una smorfia. — Non si preoccupi, penserò a qualcosa. Nel frattempo io non ho visto nessun telepate qui attorno, oggi. E tu, dottore?

— Neppure uno — annuì blandamente Ethan.

Terrence Cee scosse il capo, frustrato, gettò uno sguardo verso il corridoio e sparì verso l’alto nel pozzo antigravità.

Quando gli agenti della Sicurezza fecero finalmente la loro comparsa, arrestarono Elli Quinn.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Ethan passò attraverso il rivelatore d’armi senza provocare un solo fremito di reazione nei sensori che lo avevano analizzato da capo a piedi fino alla profondità delle ossa, e respirò più liberamente. Il Reparto Detenzione di Stazione Kline era un ambiente spoglio capace di mettere soggezione a chiunque, privo delle sottigliezze della psico-architettura e dei colori studiati per rallegrare i turisti. Se quell’effetto era voluto, certo otteneva il suo scopo. Ethan si sentiva in colpa per il solo fatto d’essere entrato in visita al Settore Minima Sicurezza, dov’erano tenuti i carcerati in attesa di giudizio o ritenuti non pericolosi.

— La comandante Quinn è nell’Infermeria Numero Due, ambasciatore Urquhart — lo informò il secondino incaricato di fargli da guida. — Da questa parte, prego.

Su per un pozzo antigravità, a destra e a sinistra lungo corridoi dalle pareti metalliche non verniciate. La gente che viveva da generazioni in una stazione spaziale, rifletté Ethan, doveva aver finito per sviluppare un senso dell’orientamento molto particolare basato su cose come le differenze di gravità, o di pressione, che caratterizzavano il passaggio da un settore all’altro. Per non parlare della sensibilità a certi dettagli.

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