Ethan si aggrappò a Cee. Il suo stomaco sembrava fluttuare via indipendentemente dal resto del corpo. Si guardò attorno, sconvolto, e vide Quinn aggrappata alla paratia alquanto lontano da lì, fra il Molo C-12 e il portellone d’ingresso del settore. La mercenaria stava cercando di strappare il coperchio da un largo pannello di comandi.
Il corpo di Millisor ondeggiò a mezz’aria quando l’uomo compensò con mosse esperte l’indesiderata rotazione sul suo asse, e questo lo mise in grado di prendere ancora la mira verso Cee. La comandante Quinn, con un rauco grido, cercò di distrarlo scaraventando verso di loro il coperchio del pannello. L’oggetto roteò nell’aria davanti ai moli, ma ancor prima di aver coperto metà della distanza fu chiaro che avrebbe mancato abbondantemente Millisor. Con un’imprecazione rabbiosa l’individuo puntò la pistola ad aghi…
I moli furono attraversati da una striscia di luce bianca. Per un abbagliante momento Millisor si agitò nel raggio di plasma che l’aveva colpito, incorniciato nell’aureola di quella vampa come un martire assunto al cielo, poi i sensi di Ethan furono aggrediti dal disgustoso puzzo della carne bruciata e dei vestiti e della plastica fusa. Inorridito sbatté le palpebre, per scacciare le immagini retiniche rosse e verdi oltre le quali la forma scura e carbonizzata del Ghem-lord si contorceva in una nuvola di fumo bianco.
La pistola ad aghi era volata via, e Rau lasciò la ringhiera a cui si stava aggrappando per lanciarsi in un vano tentativo di afferrarla. Il cetagandano nuotò freneticamente nell’aria, girandosi da una parte e dall’altra alla ricerca della provenienza di quel nuovo attacco devastante. Il coperchio scagliato da Quinn rimbalzò nella paratia esterna e saettò sopra la testa di Ethan, mancandolo per pochi centimetri.
— Eccolo, lassù! — gridò Cee, che si spingeva con energia da un appiglio all’altro verso il cetagandano superstite. Il giovanotto arrivò accanto a Ethan e gli indicò le passerelle e le scalette sopra la zona interna dei moli. Una figura vestita di rosa alzò un braccio, puntando un’arma contro Rau.
— No, lui è mio! — gridò Cee. E ringhiando con furia animalesca si puntellò su Ethan, usando il suo corpo per proiettarsi in direzione di Rau. — Ti ammazzo, bastardo!
L’unico beneficio che Ethan poté vedere nell’imprudente iniziativa del telepate fu che lui venne spinto con forza in alto, verso la paratia esterna dei moli. Riuscì ad agguantare abilmente il braccio di un argano senza spaccarsi un dito a causa del momento d’inerzia del suo corpo, e mise fine a quel volo pericoloso.
— No, Terrence! — gridò dietro di lui. — Se qualcuno sta sparando ai cetagandani, dobbiamo toglierci di mezzo! — Ma la sua voce fu portata via dal vento. Vento? Si girò verso il portello danneggiato. La falla si stava allargando sempre più; da un momento all’altro avrebbe potuto verificarsi una decompressione esplosiva…
Nel pannello di comandi da cui aveva strappato il coperchio. Quinn stava cercando di accendere le piastre di gravità d’emergenza. Il peso tornava, e Rau e Cee avvinti nella lotta scesero lentamente al suolo. Ethan smise di ondeggiare come una bandiera al vento e si ritrovò a penzolare, benché ancora molto leggero, a una decina di metri d’altezza rispetto ai moli. In fretta scese giù dall’argano e raggiunse la pavimentazione, prima che Quinn facesse la stessa cosa che Helda aveva fatto con gli uccelli fuggiti.
Rau scaraventò sulla strada Cee. più snello e leggero, e mentre il giovanotto rotolava via lui corse verso il tubolare del Molo C-8, collegato con la nave ormeggiata all’esterno. Ma aveva fatto appena due passi quando il suo corpo fiammeggiò e bruciò come un tizzone nei raggi incrociati di armi al plasma, usate non da uno ma da due individui appostati sulle passerelle. Lo sventurato cadde con un tonfo molle, visse ancora qualche orribile istante mentre la sua mandibola scarnificata si apriva in un muto grido, e poi fu scosso solo dai sussulti interni delle ossa che si carbonizzavano. Poco più in là Cee, sulle mani e sulle ginocchia lo guardò a occhi sbarrati, come stupito dalla distanza ormai insuperabile che qualcun altro aveva messo fra lui e la sua vendetta.
Ethan aspettò d’essere certo che quegli uomini non avrebbero sparato a nessun altro prima d’incamminarsi verso il telepate. Gli sconosciuti stavano scendendo lungo una scaletta. Uno era l’uomo in completo rosa che l’aveva avvicinato fuori dall’albergo, l’altro, anche lui nero di pelle, vestiva un abito marrone altrettanto vistoso e ricamato. I due si avvicinarono subito a Quinn, che invece di mostrarsi lieta dell’intervento dei loro salvatori cominciò ad arrampicarsi su per la parete come un ragno spaventato.
Gli individui di pelle nera la agguantarono ciascuno per una caviglia e la tirarono giù senza complimenti, facendole sbattere la testa su una piattaforma di carico. La mercenaria cercò di colpire uno di loro con un calcio in faccia, ma il suo tentativo fu sventato da Abito Marrone e lei precipitò dalla piattaforma, in una caduta che sarebbe stata dolorosa a piena gravità e anche così non fu certo piacevole. Abito Rosa le immobilizzò le braccia dietro la schiena, e Abito Marrone le tolse la voglia di lottare ancora con un pugno nello stomaco che le mozzò il respiro.
Subito dopo, tenendola per le braccia, i due la trascinarono su per una rampa verso la luce gialla di un’uscita d’emergenza, mentre le squadre del controllo-danni della stazione, in tuta pressurizzata, stavano già entrando nel settore da altri portelli.
— Quei due stanno portando via Quinn… la rapiscono! — gridò Ethan a Cee. — Chi sono? Cosa vogliono? — Aiutò il giovanotto a rialzarsi e rimase lì a ballare da un piede all’altro, sgomento e senza sapere cosa fare.
Il telepate li guardò e scosse il capo. — Gente del Gruppo Jackson? Di Casa Bharaputra? Non lo so, ma dobbiamo fermarli!
— Preferibilmente fuori di qui, dove c’è aria da respirare…
Aggrappandosi uno all’altro per non procedere a salti troppo lunghi e incontrollati, I due attraversarono la strada più rapidamente possibile e salirono su per la rampa.
Al compartimento stagno d’emergenza dovettero aspettare per decine di terribili secondi, coi denti stretti e le dita ficcate negli orecchi per proteggere i timpani contro la pressione dell’aria che diminuiva sempre più, mentre il terzetto che li aveva preceduti passava attraverso il ciclo automatico del piccolo locale che comunicava con le zone a minore rischio della stazione. Ethan scoprì che premere tutti i pulsanti, o maledire e prendere a calci in preda al panico i comandi manuali, non serviva ad accelerare il ciclo. Il meccanismo si aprì solo quando i suoi sensori gli diedero le risposte giuste.
I due si gettarono nell’interno e poi dovettero aspettare che la pressione si ristabilisse, mentre i rapitori di Quinn aumentavano il loro vantaggio. Ethan poté riempirsi i polmoni per respirare di sollievo. S’era sbagliato sull’aria della stazione: riciclata o no, aveva il profumo più dolce che lui avesse mai sentito.
— Come diavolo hanno fatto Millisor e Rau — ansimò, nell’attesa che l’indicatore dei minibar raggiungesse la linea verde, — a fuggire dai Reparto Quarantena? Credevo che neppure un virus avrebbe potuto uscire di là.
— Li ha liberati Setti — ansimò in risposta Cee. — Si è presentato dicendo di essere l’agente che li doveva scortare nella stiva di un mercantile ormeggiato ai moli, in attesa della deportazione. O forse era veramente lui ad avere quell’incarico, non lo so. Non credo che Quinn avesse capito fino a che punto erano riusciti a infiltrarsi nell’organizzazione della stazione.
Il portello interno del compartimento stagno si aprì con un sibilo, ed Ethan e Cee corsero nel corridoio all’inseguimento di una preda già scomparsa e dalla quale, disarmati com’erano, sapevano che avrebbero dovuto restare a prudenziale distanza. Al primo incrocio si fermarono, indecisi.