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Non quanto credi tu pensò Ethan, gettando un’occhiata in tralice al profilo di Terrence Cee. Il giovanotto era parso rinfrancato quando sembrava che avrebbero potuto avere la tyramina. Adesso era di nuovo taciturno e sospettoso, e si teneva sulle sue.

A parte la sua infelice promessa di offrire protezione a Cee, Ethan sapeva di non poter uscire da quell’intrigo finché Millisor fosse stato una minaccia per Athos. E anche se i loro scopi erano del tutto diversi e separati — quelli di Cee, quelli di Quinn e i suoi — risolvere in qualche modo la situazione avrebbe richiesto l’unione delle loro forze.

— Suppongo che potrei rubare un po’ di tyramina — disse senza entusiasmo Quinn, evidentemente conscia della freddezza di Cee. — Stazione Kline non è il luogo più adatto per rubare in un negozio, dato il continuo monitoraggio… — Tacque, rimuginando su qualche altra possibilità.

— C’è un motivo particolare per cui lei deve usare tyramina pura? — domandò all’improvviso Ethan. — Oppure basta che lei abbia nella circolazione sanguigna qualche milligrammo di tyramina, assunta in qualsiasi forma?

— Non lo so — rispose Cee. — Noi abbiamo sempre usato pasticche di tyramina pura.

Ethan corrugò le sopracciglia. Andò alla consolle di comunicazioni della camera, chiamò a schermo un indice e poi cominciò a battere sulla tastiera una lista di voci.

— Che stai facendo? — domandò Quinn sporgendosi verso di lui.

— Una prescrizione dietetica, per Dio il Padre — disse Ethan, con un sogghigno eccitato. — La tyramina si trova anche in molti alimenti, sa? Se lei si attiene a un menu che possa fornirle una certa concentrazione della sostanza… Millisor non può aver messo sotto controllo tutte le rivendite di generi alimentari al minuto e all’ingrosso della stazione, no? E non c’è niente d’illegale nell’andare a fare semplicemente la spesa. Probabilmente lei dovrà rivolgersi ai fornitori di cibi d’importazione per molte di queste cose… non credo che il distributore di questa camera possa offrire qualcosa di apprezzabile.

Quinn prese la lista che uscì dalla stampante, la lesse e inarcò le sopracciglia. — Tutta questa roba?

— Tutto ciò che lei può procurarsi.

— Il dottore sei tu. — La mercenaria scrollò le spalle e si alzò. Ebbe un sorrisetto ironico. — In ogni caso al signor Cee non farà male metter su qualche chilo.

Dopo un paio d’ore, durante le quali Ethan e Cee non trovarono niente da dirsi per ingannare l’attesa, Elli Quinn fece ritorno all’albergo con due grosse borse.

— Mi sono fatta aiutare da un’amica — disse, poggiandole sul tavolo. — Io ho già mangiato qualcosa. Questo è tutto per lei, signor Cee.

Il giovanotto biondo non parve molto entusiasta del cibo che la mercenaria cominciò a tirare fuori.

— Vedo che lei ha comprato molta roba — osservò Ethan.

— Non mi hai detto quanta avrei dovuto comprarne — ribatte Quinn. — Comunque, Cee non deve far altro che mangiare e bere finché la sua telepatia non comincia a funzionare. — Schierò come soldati le bottiglie di vino bianco, Borgogna e Champagne d’importazione, lo sherry, e i bulbi di birra chiara e scura. — O finché non perisce nel tentativo. — Intorno ai liquori dispose una forma di formaggio giallo di Escobar, un duro formaggio bianco di Sergyar, due qualità di aringhe sott’olio, una dozzina di tavolette di cioccolato, dei vasetti di sottaceti e altre cose ancora. — A meno che non vomiti tutto. — concluse.

L’unico prodotto delle vasche di crescita di Stazione Kline erano i cubetti di fegato di pollo, nella confezione autoriscaldante. Ethan pensò a Okita e scosse il capo quando Cee lo invitò ad assaggiarli. Prese qualcosa dagli articoli d’importazione, e imprecò fra i denti nel vedere le etichette col prezzo.

Quinn sospirò, con un sorrisetto aspro. — Sì, avevi ragione dicendo che non avrei trovato molto fra i prodotti nostrani. Hai un’idea di quanto sia diventato poco spiegabile il mio conto spese? — Guardò Terrence Cee, oltre le bottiglie e le confezioni sigillate che riempivano il tavolo. — Buon appetito.

La mercenaria si tolse le scarpe e si distese sul letto gonfiabile di Cee. con le inani intrecciate dietro la nuca e un’espressione di grande interesse sulla faccia. Ethan tolse il sigillo di plastica a una bottiglia da un litro di vino bianco, e dispose volonterosamente nel poco spazio libero le posate e i piatti usa-e-getta forniti dal distributore della camera.

Cee annusò con espressione dubbiosa i formaggi, sedette a tavola di fronte a lui e domandò: — Dottor Urquhart, è sicuro che questo metodo funzionerà?

— No — ammise lui con franchezza, — però mi sembra un esperimento abbastanza innocuo per l’organismo, se consideriamo che lei non sta assumendo sostanze pericolose.

Dal letto provenne un borbottio ironico. — La scienza è una cosa meravigliosa, no? — disse Elli Quinn.

CAPITOLO DECIMO

Tanto per far compagnia a Cee, Ethan mangiò alcuni cubetti di fegato di pollo, qualche sottaceto e un po’ di cioccolato; poi si lasciò convincere ad assaggiare i vini. Il chiaretto era aspro e scadente malgrado il prezzo, ma il Borgogna gli parve ben invecchiato e lo Champagne (come dessert) risultò all’altezza della sua fama. La leggerezza di cui si sentiva preda lo avvertì poi che quell’assaggio era già andato troppo in là. Si chiedeva come reggesse allo sforzo Cee, che seduto di fronte a lui mangiava e beveva doverosamente tutto ciò che poteva.

— Comincia a sentire qualcosa? — gli domandò Ethan. ansiosamente. — Vuole che le apra questo vasetto di aringhe? Ancora un po’ di formaggio piccante? Un bicchiere di birra?

— Un’insalata di pillole anti-nausea? — propose Quinn, premurosa. Ethan la guardò con disapprovazione. Cee rifiutò le loro offerte con un gesto e si pulì la bocca, deglutendo un ultimo boccone.

— Sono sazio, grazie — disse. Si massaggiò la nuca e il collo, e dal suo grugnito diagnosticò un incipiente mal di capo. — Dottor Urquhart, lei è certo che neppure una parte delle colture ovariche ricevute da Athos erano quelle spedite da Casa Bharaputra?

Ethan aveva l’impressione di aver risposto un milione di volte a quella domanda. — Ho aperto il contenitore io stesso, e in seguito ho esaminato il materiale ricevuto dagli altri centri. Non si trattava neanche di colture, ma di semplici pezzi di ovaie e carne morta.

— Janine…

— Se la sua, uh, donazione d’organi è stata usata per produrre cellule-uovo…

— È stata usata. Tutte e due le ovaie.

— … in tal caso non era nei contenitori. Neppure una frazione.

— Io stesso ho assistito al confezionamento dei pacchetti sigillati — disse Cee. — Ero presente quando i contenitori sono stati spediti, al reparto merci dello spazioporto, sul Gruppo Jackson.

— Questo restringe, anche se di poco, il tempo e il luogo dov’è avvenuta la sostituzione — disse Quinn. — Può essere accaduto qui su Stazione Kline, nei due mesi che il materiale ha trascorso in magazzino. Ciò lascia, se ricordo bene, uh, 426 astronavi di cui andrebbe riesaminata la lista dei passeggeri e il carico. — Sospirò. — Un lavoro, sfortunatamente, oltre le mie possibilità.

Cee versò del Borgogna in un bicchiere di plastica e bevve ancora. — Oltre le sue possibilità, o semplicemente di nessun interesse per lei?

— Mmh… e va bene, entrambe le cose. Voglio dire, se io volessi davvero rintracciare quel carico potrei aspettare che sia Millisor a fare il lavoro e limitarmi a tenerlo d’occhio. Ma l’interesse delle colture ovariche sta soltanto nel fatto che contengono un materiale genetico il quale, se ho capito bene, è anche nelle sue cellule. Una manciata di capelli o una provetta del suo sangue potrebbero bastarmi. Oppure, per fare meglio le cose, un po’ di… — Tacque, lasciando che Cee capisse a quale altro tipo di prelievo stava alludendo.

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