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Le mani di Cee si aprivano e si chiudevano; l’angoscia e la rabbia lottavano per prendere il sopravvento in lui. entrambe impotenti e inutili. — Mi dispiace, dottore — mormorò. — Puntavano un distruttore neuronico alla testa della comandante Quinn, e io sapevo che non stavano bluffando. Ho pensato che forse lei non sarebbe venuto, visto che ce l’aveva con me. Avrei dovuto lasciare che uccidessero una sola persona. Mi dispiace, mi dispiace…

Le labbra di Quinn si piegarono in un sorriso sarcastico; un’altra goccia di sangue uscì dal taglio. — Non è il caso di chiedergli scusa con tanto fervore, Cee. L’avrebbero eliminato anche senza la tua collaborazione.

— Non deve affatto chiedermi scusa — disse Ethan con fermezza. — Probabilmente io avrei fatto lo stesso, al suo posto.

L’uomo col distruttore neuronico accennò a Ethan e a Elli Quinn di muoversi e li scortò fino alla paratia esterna, tenendosi per sicurezza una decina di metri più indietro; poi lungo le piattaforme di carico verso il portello del Molo C-12.

— Chi è questo individuo? — domandò Ethan a Quinn, accennando col capo alle loro spalle. — È lui Setti?

— Già, proprio lui. Avrei dovuto sparargli nella schiena quando ne avevo l’occasione, e riscuotere il denaro che Casa Bharaputra mi aveva promesso — sussurrò la mercenaria con aria disgustata. E aggiunse, pensosamente: — Se io saltassi addosso a questo bastardo, pensi che riusciresti a raggiungere uno di quei corridoi sulla destra prima che Rau ti abbatta con lo storditore?

C’erano cinquanta metri o forse più. e quasi tutti allo scoperto sulla strada. — No — mormorò francamente Ethan.

— Che ne dici di gettarti al riparo in quel tubolare estensibile?

— E poi? Impiccarmi con la cintura dei pantaloni prima che vengano a spararmi?

— E va bene — ringhiò lei con impazienza. — Allora fammi la grazia di un’idea migliore.

Una mano di Ethan si appoggiò sulla tasca destra dei pantaloni e incontrò un piccolo oggetto oblungo. — Forse potremmo guadagnare tempo con questo — disse, tirando fuori la capsula del messaggio.

— Cosa diavolo è quella?

— Pensavo di consegnarla alla Sicurezza. Mentre venivo qui, un uomo mi ha avvicinato per strada e me l’ha voluta lasciare per forza. Ha detto che è un messaggio per Millisor, attivabile soltanto con il suo numero di matricola militare, e che io avrei dovuto dargliela se mi fosse capitata l’occasione di incontrarlo…

Quinn s’irrigidì, e allargò una mano a stringergli un braccio. — Di che colore era?

— Eh?

— Quell’uomo. Il suo colore!

— Rosa. Cioè, aveva un completo rosa.

— Non il vestito, la sua pelle!

— Una sfumatura interessante… color caffè. Insolita ma attraente. Vorrei che Athos consentisse l’importazione di geni della razza africana terrestre, per variare…

— Ehi, tu, cos’hai in mano? Fammi vedere — disse Setti dietro di loro, in tono minaccioso.

— Dammela, dammela! — sussurrò Quinn, strappando il piccolo oggetto dalla mano di Ethan. — Vediamo. 672-191… oh, Dio, era 142 o 124? — Le sue dita si artigliarono sui minuscoli pulsanti della serratura a combinazione, poi esitarono frementi. — 421, e prega. — Si voltò. — È un messaggio per il tuo padrone — esclamò gettando la capsula verso lo stupito cetagandano. che automaticamente alzò la mano libera per afferrarla al volo. — Buttati giù! — gridò subito la mercenaria in un orecchio di Ethan. e gli si aggrappò addosso trascinandolo al suolo accanto a un nastro trasportatore.

Ci fu qualche secondo di silenzio perplesso mentre Setti, con il distruttore neuronico nell’altra mano, esaminava la capsula. Nell’aria davanti a lui s’era materializzata un’immagine olografica. — Un messaggio, eh? Molto bene. Alzatevi, voi due.

— Ah. dannazione — sospirò Quinn. pesando su una spalla di Ethan. — Ho preso un granchio.

Lui si tirò in piedi, lamentandosi. — Cosa diavolo credevi di…

L’improvvisa esplosione li scaraventò dall’altra parte del nastro trasportatore, facendoli rotolare storditi fra i cavi di un argano accanto alla piattaforma di carico. Per qualche momento Ethan non riuscì a sentire né a vedere niente. La sua testa echeggiava come se fosse un tamburo di bronzo, e la vista gli si era oscurata.

— Lo sapevo che non poteva essere un messaggio amichevole — mugolò Quinn soddisfatta annaspando sulla sua schiena. Si puntellò su di lui per alzarsi, cadde, si tirò ancora in piedi e sbandò contro la paratia, sbattendo le palpebre e agitando le mani davanti a sé.

Le sirene d’allarme cominciarono a ululare come bestie impazzite in tutti gli angoli del settore. Le luci gialle d’emergenza si accesero qua e là sui moli (Ethan fu sollevato nell’accorgersi che non era diventato cieco) e in distanza ci furono i tonfi dei portelli stagni che si chiudevano uno dopo l’altro.

Più vicino, meno rumoroso ma assai più allarmante c’era il sibilo, sempre più acuto, dell’aria che stava sfuggendo nello spazio dal portello del tubolare estensibile dinnanzi al punto dove si trovava Setti, danneggiato dall’esplosione. Un turbine di cristalli di ghiaccio si allargava attorno alla falla.

D’istinto Ethan si trascinò in direzione opposta, sulle mani e sulle ginocchia. La gravità artificiale aumentava e diminuiva con effetti sconvolgenti sul suo stomaco, e il vento gli scompigliava i capelli. Girandosi vide che le piastre metalliche della piattaforma di carico erano divelte per un paio di metri. Di Setti non c’era traccia da nessuna parte.

— Per Dio il Padre — mugolò, storditamente, — è proprio un’esperta nel far sparire la gente…

Spinse lo sguardo attraverso il vasto spazio deserto della strada e vide Terrence Cee che correva come un cervo inseguito dagli altri due cetagandani. Non andò lontano, perché Rau si tuffò su di lui e lo fece cadere al suolo. Millisor li raggiunse da dietro, prese la mira per sferrare un calcio alla testa del giovanotto biondo, poi sembrò riflettere che quello era un punto troppo prezioso e lo colpì invece al plesso solare. La loro preda rimase faccia al suolo, senza fiato. Millisor e Rau lo agguantarono ciascuno per un braccio e presero a trascinarlo di peso in direzione del corridoio estensibile con la luce accesa, quello che comunicava con la loro astronave.

Ethan vacillò in piedi e cominciò a correre verso di loro. Non aveva la minima idea di cos’avrebbe fatto dopo averli raggiunti, salvo che tentare di fermarli in qualche modo. Quello era l’unico imperativo. — Dio il Padre — ansimò, — dev’esserci un premio in paradiso per gli stupidi come me…

Aveva il vantaggio di un’angolazione più breve da attraversare, mentre Millisor e Rau erano ostacolati dalle contorsioni della loro preda. Ethan riuscì a balzare davanti all’entrata del tubolare estensibile con qualche metro d’anticipo e la bloccò allargando le braccia e le gambe. Era in posizione perfetta per sferrare un pugno a chi l’avesse aggredito per primo, a parte il grave handicap di doversi difendere senza armi. Aiutatemi, qualcuno pensò. — Non provateci! — disse, raucamente.

Con sua sorpresa i due si fermarono. Rau aveva perduto il suo storditore da qualche parte nella lotta con Cee. ma Millisor estrasse dalla blusa una piccola quanto micidiale pistola ad aghi e gliela puntò addosso. Ethan sapeva che i sottili proiettili ad ago si espandevano al contatto del bersaglio, squarciando come una raffica di rasoi la carne umana. L’autopsia del suo corpo sarebbe stata una faccenda molto sanguinosa…

Terrence Cee si liberò di Rau con una spinta e barcollò fra Ethan e Millisor, spalancando le braccia in un futile gesto di protezione. — No! Lui no!

— Razza d’idiota, credi che io sia obbligato a tenerti in vita solo perché le colture di quella cagna non ci sono più? Mi basta un chilo della tua carne… e sai quale parte di te congelerò? — Millisor rise, inferocito. — Proprio quella che da ragazzo mi davi così poco volentieri, stupido mutante. E adesso muori, perdio! — La mano con cui puntava l’arma oscillò. — Ma cosa… — L’uomo s’inclinò di lato quando i suoi piedi si staccarono dal pavimento metallico, e agitò le braccia per ritrovare l’equilibrio.

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