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Nella sua ritirata strategica Ethan si fermò un momento quando fu a metà strada verso la porta. — La lascio con un’ultima considerazione su cui riflettere, colonnello: se lei avesse usato questi modi così ragionevoli la prima volta che ci siamo incontrati, invece di fare quello che ha fatto, forse mi avrebbe convinto, e le avrei dato ciò che voleva.

Le mani di Millisor si chiusero a pugno e tesero i loro legami, alla fine.

Fu così che Ethan fece ritorno alla sua camera d’albergo, quella che lui aveva preso il giorno del suo arrivo a Stazione Kline e mai più occupata da allora. Poteva ringraziare la fortuna che l’aveva indotto a pagare in anticipo, perché i suoi effetti personali erano ancora tutti dove li aveva lasciati. Fece il bagno, si rase, diede una ritoccata ai capelli, indossò finalmente abiti di sua proprietà e mangiò una leggera colazione ordinata al distributore della stanza.

Con il bicchiere di caffè sintetico in mano sedette a riflettere. Aveva buttato via due settimane — doveva controllare la data, aveva perso la cognizione del tempo — in quell’avventura, prima come specchietto per le allodole di Quinn. poi come bersaglio mobile di Millisor e oggetto delle manovre di Terrence Cee. Tutti lo avevano usato come una pallina da ping-pong, e cosa ne aveva ricavato? Un utile insegnamento? Una volta che avesse restituito la tuta rossa e gli stivali. non gli sarebbe rimasto altro souvenir che quanto aveva appreso. Tirò fuori la carta di credito e la esaminò. L’invisibile microspia di Quinn era presumibilmente ancora lì, e attiva. Se avesse detto quel che pensava di lei, avrebbe fatto fremere uno dei suoi orecchini a forma di fiore? Comunque, una persona che parlava alla sua carta di credito avrebbe senza dubbio messo a disagio chi gli stava accanto, anche lì su Stazione Kline.

Si distese stancamente sul letto, solo per scoprire che i suoi nervi erano troppo tesi per addormentarsi. Era giorno, o notte? E avevano un senso quei termini su Stazione Kline? Lui non avrebbe saputo dire se aveva conservato il ritmo del suo fuso orario di Athos, o se l’aveva perso già prima di sbarcare sulla stazione. Sentiva il bisogno di alzare la faccia sotto la pioggia, o di un freddo vento polare che gli spazzasse via le ragnatele dal cervello. Avrebbe potuto aprire l’aria condizionata, ma l’odore del deodorante chimico non sarebbe cambiato.

Dopo un’ora trascorsa a rivedere tutti gli avvenimenti di quei giorni, e ad immaginare ciò che avrebbe potuto dire e fare se fosse stato più accorto (o più duro, o più pronto alla risposta salace, o più affascinante) rinunciò disgustato, si vestì e uscì dall’albergo. Se dormire gli era impossibile, avrebbe almeno cercato di occupare il suo tempo con qualcosa di utile. Athos stava pagando quattrini sonanti per ogni minuto della sua missione.

Tornò al Livello della Passeggiata dei Viaggiatori, dov’erano quasi tutti i consolati e le ambasciate, e cominciò a fare una ricerca seria delle case produttrici di materiale biologico. Quasi tutti i pianeti più progrediti offrivano qualcosa. Su Colonia Beta c’erano diciannove diverse possibilità, fra ditte private e governative, e l’Università di Silica offriva un’interessante possibilità di scelta fra le donazioni genetiche di persone di talento, con ampie garanzie.

Benché contrario ad accettare senza riserve i suggerimenti di Quinn su qualsiasi cosa, Ethan rifletté che Colonia Beta sembrava la destinazione migliore. Non sarebbe rimasto deluso, gli assicurò la femmina che operava all’interfaccia computerizzato nell’atrio. Lui uscì convinto di aver finalmente fatto un buon lavoro. E si sentiva fiero anche per un altro motivo; aveva trattato con quella femmina come avrebbe fatto con un uomo. Poteva riuscirci, dopotutto; non era affatto difficile.

Fece ritorno in albergo per mangiare un boccone, poi sedette alla consolle di comunicazione per vedere quanto gli sarebbe costato un biglietto di andata e ritorno per Colonia Beta.

Il percorso più diretto era via Escobar, e ciò gli avrebbe offerto la possibilità di esaminare altri potenziali fornitori senza aggravare di una spesa extra il Consiglio della Popolazione. Almeno metà dei consiglieri gli avrebbero fatto i loro complimenti, qualunque fosse stata la sua scelta tecnica.

Prese finalmente le decisioni più importanti, la stanchezza cominciò a farsi sentire. Ethan si distese sul letto per un sonnellino di cinque minuti.

Parecchie ore più tardi un ronzio insistente del videotelefono lo trascinò fuori dalla palude di un sogno confuso. Il suo piede destro rifiutò di svegliarsi, piegato a un angolazione anomala, e gli fremette di un solleticante torpore quando si alzò per andare a sfiorare il pulsante "Ricezione".

Sulla piastra olovisiva si materializzò la faccia di Terrence Cee. — Dottor Urquhart?

— Ah. Non mi aspettavo di rivederla. — Ethan si sfregò gli occhi cisposi e sedette per entrare nel campo della telecamera. — Credevo che non sapesse più cosa farsene dell’asilo politico di Athos, visto che i suoi grandi traguardi sono ormai finiti in fumo. Un individuo materialista come lei è sicuramente più adatto all’ambiente dei mercenari, comunque. Le consiglio di esaminare l’offerta della comandante Quinn.

Cee ebbe una smorfia, mostrandosi chiaramente a disagio. — In effetti sto per partire — disse con voce rauca. — Volevo parlarle un’ultima volta per… per chiederle scusa. Possiamo vederci al Molo C-8 fra, diciamo, una mezzora?

— Be’, se proprio ci tiene. — Ethan annuì. — Ha intenzione di partire con Quinn, allora, per unirsi ai Mercenari Dendarii?

— Per il momento non posso dire altro. Mi scusi. — L’immagine di Cee si dissolse in una nevicata luminosa e la comunicazione s’interruppe.

Forse accanto a lui c’era Quinn, che gli aveva accennato di tenere la bocca chiusa. Ethan respinse la tentazione di chiamare la Sicurezza e dire al capitano Arata dove poteva trovarla. Lui e Quinn erano pari, adesso; l’aiuto ricevuto aveva pareggiato i guai in cui quella femmina lo aveva trascinato. Il mistero era stato risolto, lei aveva le informazioni tanto desiderate dal suo capo. Che se ne andasse per la sua strada.

Mentre Ethan usciva dall’albergo e si avviava sul marciapiede del corridoio, un uomo che fin’allora era stato seduto accanto alla vasca dei pesci dorati tolse la carta di credito dalla macchinetta che spruzzava nell’acqua briciole di cibo, e venne verso di lui con l’evidente intenzione di fermarlo.

Per un momento Ethan ebbe l’impulso paranoico di voltarsi e fuggire urlando lungo la strada. L’uomo non poteva essere Setti. Non corrispondeva affatto al tipo razziale cetagandano: era alto, di pelle scura, con un gran naso a becco, e indossava un completo di seta rosa gaiamente ricamato.

— Il dottor Urquhart? — domandò educatamente lo sconosciuto.

Ethan mantenne una certa distanza fra loro. Se costui era un’altra dannata spia di qualche genere, giurò a se stesso, l’avrebbe ficcato a testa in giù nella vasca dei pesci dorati. — Sì?

— Mi chiedo se non sarebbe così gentile da farmi un piccolo favore.

— Di che si tratta?

L’uomo tolse da una tasca della giacca rosa un oggettino oblungo, un piccolo proiettore olovideo. — Se le accadesse di rivederlo, vorrei che lei consegnasse questa capsula da messaggi al Ghem-colonnello Luyst Millisor. Il messaggio si attiva introducendo il suo numero di matricola militare.

Nella vasca dei pesci rossi, a testa in giù. — Il colonnello Millisor è stato arrestato dalla Sicurezza di Stazione Kline. Se vuole fargli avere un messaggio, si rivolga a loro.

— Ah. — L’uomo sorrise. — Forse lo farò. Tuttavia, chi può dire dove ci porterà il prossimo giro della grande ruota? Lo prenda ugualmente. Se non le capiterà l’occasione di consegnarlo, lo getti pure via. — Detto questo cercò di mettere il piccolo oggetto in mano a Ethan, che però fu svelto a indietreggiare. Invece di insistere e costringerlo a camminare ancora all’indietro sul marciapiede, l’uomo si fermò e scosse il capo. Appoggiò la capsula sulla panchina che Ethan aveva messo come barriera fra loro. — Lascio la cosa alla sua discrezione, signore. — Gli rivolse un inchino accompagnato da un ampio gesto del braccio, quasi una genuflessione, e si allontanò.

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