Arata, senza muovere neppure un muscolo del viso, s’era fatto più attento.
— Al contrario — disse Millisor. — Quinn ha tutta la mia ammirazione. Molte cose che prima non avevo capito mi sono adesso chiare. Se potessi la assumerei al mio servizio.
— Uh… non credo che lei sia disponibile.
— Tutti i mercenari hanno l’etichetta col prezzo. Forse non in denaro. Prestigio, potere, piacere.
— No, guardi — disse con sicurezza Ethan — Il suo ammiraglio è ostile a voi cetagandani, e Quinn sembra innamorata di lui. Io ho già visto questo fenomeno nell’esercito di Athos… adorazione di certi ufficiali che i subordinati vedono come eroi. Alcuni ufficiali abusano di questo vantaggio, altri no. Non so a quale categoria il suo ammiraglio appartenga, ma non credo che voi riuscireste a interessarla altrettanto.
Arata annuì in silenzio, con aria comprensiva.
— Anch’io conosco quel comportamento — sospirò il Ghem-lord. — Be’, peccato. — Il suo grugnito, indifferente e distaccato, costrinse Ethan a chiedersi perché si fosse lasciato indurre a prendere le difese di Quinn e della sua fedeltà ai Dendarii. Che Millisor stesse cercando di farlo avvicinare a lui per afferrarlo? Ma aveva le gambe saldamente assicurate al letto.
— Le confesso una cosa, Urquhart: lei mi lascia perplesso — proseguì il cetagandano. — Se lei non era d’accordo con Cee per cospirare ai nostri danni, allora poteva essere soltanto la sua vittima. Non riesco a capire che guadagno lei veda nel proteggere quell’uomo, dopo il brutto scherzo che stava cercando di fare ad Athos.
— Lui non voleva fare niente di male ad Athos. Voleva soltanto emigrare là. Non è certo un delitto. E da quanto ho visto finora di questa parte della galassia, devo dire che lo capisco. Io stesso ho una gran voglia di tornarmene in patria.
Le sopracciglia di Millisor si sollevarono fin quasi all’attaccatura dei capelli, uno dei pochi gesti che gli erano concessi. — Perdio! Comincio davvero a credere che lei sia lo sciocco ingenuo che proclamava d’essere, Urquhart! Eppure credevo che lei avesse capito cos’hanno fatto al materiale da voi ordinato.
— Sì. Cee ha chiesto che il fornitore ci spedisse materiale ovarico prelevato da sua moglie. Un po’ macabro, forse, dato che si trattava di un cadavere. Ma considerando chi lo ha allevato, c’è da stupirsi che non sia molto più strano.
Millisor lo guardò un attimo, incredulo, e poi scoppiò a ridere. Ethan non trovava nulla di divertente in quella situazione. Guardò il Ghem-lord, a disagio.
Millisor si calmò e scosse il capo. — Lasci che le presenti due fatti, allora. Due fatti ormai obsoleti, visto che la mentecatta colpevole di aver aperto i contenitori su questa stazione ha ormai compiuto il suo stupido sabotaggio. Uno: il complesso genetico, uh, del quale stiamo parlando… — gettò uno sguardo ad Arata, — era recessivo, e non sarebbe riapparso nel fenotipo finché non fosse stato presente in entrambe le metà del genotipo, ovvero l’ovulo femminile e uno spermatozoo maschile. Due: ogni singolo ovulo prodotto dalle colture destinate ad Athos conteneva il meccanismo per produrre l’altra metà del complesso genetico. Rifletta su questo, dottor Urquhart.
Ethan corrugò le sopracciglia.
Nella prima generazione, le nuove colture ovariche avrebbero fornito le loro caratteristiche recessive, nascoste e non attivate, ai bambini — e ben presto, dato il ritmo a cui morivano le vecchie colture, a tutti i bambini — nati su Athos. Ma soltanto allorché la seconda generazione avesse raggiunto la pubertà l’organo telepatico funzionante sarebbe apparso in una metà (statisticamente) della popolazione, dall’unione del genotipo attivato maschile con il genotipo recessivo delle colture. Nella terza generazione, metà della popolazione restante sarebbe passata dalla telepatia latente a quella effettiva, e così via, poiché la maggioranza telepatica avrebbe continuato a trasmettere il genotipo attivato a metà della minoranza non-telepatica dimezzandola a ogni generazione.
Ma per allora anche tutti i non-telepatici avrebbero portato quei geni nelle loro cellule, potenziali padri di figli telepatici. L’intera popolazione di Athos sarebbe stata quindi permeata con quel complesso genetico, ormai impossibile da sradicare anche con estese operazioni di chirurgia microcellulare.
Dati quei meccanismi di riproduzione obbligati, la domanda Perché Athos? trovava quindi la sua risposta. Naturalmente Athos. Soltanto Athos.
L’audacia, la perfezione, la bellezza — e l’enormità — del complotto di Cee mozzò il fiato a Ethan. Tutte le tessere del mosaico cadevano al posto, ciascuna provando l’evidenza dell’altra con la chiarezza di un calcolo matematico. C’era da credere che Cee fosse orgoglioso di come aveva speso la sua montagna di denaro.
— Ora chi è che trova insopportabile incontrarsi all’improvviso con la verità? — lo derise Millisor.
— Oh — disse Ethan con un fil di voce.
— La cosa più insidiosa di quel piccolo mostro è il suo fascino — proseguì il cetagandano, guardandolo con intensità. — Lo abbiamo costruito così proprio a questo scopo, quando ancora non sapevamo che i limiti del suo talento l’avrebbero reso poco adatto come agente sul campo. Anche se. visti i guai che ha saputo darci in seguito, di talenti ne aveva fin troppi. Ma non bisogna pensare che il fascino sia una virtù, dottore. Lui è pericoloso, se non altro perché non prova la minima lealtà verso l’umanità dalla quale è uscito, e di cui non fa più parte…
Ethan si chiese se in quel contesto poteva interpretare: Umanità = Cetaganda.
— … essendo non più un uomo ma un virus, che vuole trasformare l’intero universo a sua immagine e somiglianza, un pezzo dopo l’altro. Sicuramente lei capisce che un contagio di questo genere richiede contromisure energiche. Ma la nostra è soltanto la violenza controllata della chirurgia. Lei non deve farsi convincere dalla propaganda del virus. Per quanto pieni di difetti, noi non siamo i macellai che lui vuol farci apparire.
Le mani di Millisor si girarono, nelle cinghie, aprendosi in un gesto di supplica. — Ci aiuti. Lei deve aiutarci.
Scosso, Ethan guardò l’uomo avvolto in quel camice spiegazzato. — Senta, mi spiace di… — Per Dio il Padre, stava davvero chiedendo scusa a Millisor? — No, colonnello. Vede, io ho parlato con Okita. Posso capire che un uomo diventi un killer. Ma un killer che si annoia a fare il suo lavoro?
— Okita è solo uno strumento. Il bisturi del chirurgo.
— Allora il vostro governo trasforma un uomo in una cosa. — Una citazione antica passò nella mente di Ethan: Dai loro frutti li conoscerai…
Millisor strinse le palpebre. Non insisté nelle sue argomentazioni, e dopo un breve sguardo ad Arata domandò: — Cos’ha fatto al sergente Okita, dottor Urquhart?
Anche lui gettò un’occhiata al capitano della Sorveglianza, seccato che quel nome fosse stato riportato in ballo. — Io non gli ho fatto niente. Magari ha avuto un incidente. Oppure ha disertato. — O forse, considerato il destino ultimo di Okita, era più esatto dire "dessertato"… Ethan scacciò quei pensieri morbosi. — In ogni caso, io non posso aiutarla. Anche se volessi tradire Cee per consegnarlo a voi (è questo che mi sta chiedendo, no?) non so assolutamente dov’è.
— Neppure dove sta andando? — suggerì Millisor.
Ethan scosse il capo. — Può esser diretto dovunque, per quello che ne so. Cioè: dovunque ma non su Athos.
— Ahimè, è vero — mormorò Millisor. — Fino ad oggi Cee era legato a quel materiale genetico. Se io fossi riuscito ad averlo avrei potuto mettermi a sedere, e lui sarebbe venuto da noi. Ora che le colture sono state distrutte, e che non sarà possibile da parte nostra attirarlo con qualcosa di analogo, Cee è libero di portare avanti una nuova variante della sua trama nefasta chissà dove. — Il cetagandano sospirò. — Chissà dove…
Il Ghem-colonnello, ricordò risolutamente Ethan a se stesso, era legato e impotente. Lui era libero di muoversi; spettava a lui mettere fine al colloquio prima che quell’astuta spia gli tirasse fuori altre informazioni.